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EDIFICARE IL PRESENTE (p.2)

Shamsia Hassani murale caring

La tragicità del secondo Goetheanum

(Seconda parte)

Gentili lettori,

la seconda parte dell’articolo di Irene Diet vi giunge subito dopo Pasqua, in un clima di Resurrezione, quando sorge un Evento straordinario. Una realtà importante è scomparsa, traumaticamente – il tema di partenza è stato l’incendio del Goetheanum, con la successiva morte di Rudolf Steiner – ma qualcosa di nuovo è davvero nato, e attende di nascere in noi. Per esempio, per l’uomo o per gli antroposofi di allora, di nuove condizioni di coscienza. Queste però sono libere e quindi omissibili, o non è ancora evidente che siamo ormai in grado di realizzarle: in prima battuta infatti di solito vengono omesse. … Ma gli Angeli continuano a domandare: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto» (Lc. 24, 5-6).

Prima di prendere coscienza della realtà di tutto il nuovo che è risorto – di cogliere davvero in un clima di libertà quell’essenziale che agli occhi risulta invisibile – regnano una serie di illusioni, ancora legate a vecchie rappresentazioni: di ciò che è “bene, morale, evolutivo”, o di ciò che è “male, o nemico” – anche a queste lo scritto che segue accennerà. Ma solo il singolo uomo può via via “disilludersi”, a nulla giova che da fuori veniamo redarguiti, nemmeno in nome di tempi ormai corti o maturi – conquistando la forza interiore di vivere in due realtà: una che manifesta angosciosamente morte e tragedia, un’altra che è come un cosmo in formazione, originale e solo incipiente, quasi inapparente, ma vivo di vera vita.

Aggiunta redazionale

(…continua dalla prima parte)

A partire dal «centro dello spirito»…

Insieme alla dissoluzione del Goetheanum in fuoco e fumo, venne a vacillare anche il punto di appoggio [Halt]*, ancorato nella dimensione sensibile, per le persone che da dieci anni avevano contribuito alla sua edificazione con tutte le proprie forze. Il già citato “indebolimento” di cui si fece esperienza allora provocò la ricerca di un supporto nuovo e saldo. Per questo la cosa più ovvia era voler recuperare quel punto di appoggio riedificando il Goetheanum. Il discorso di Grosheintz e la reazione dei presenti testimoniano questa necessità. Tuttavia, nel profondo dell’anima di chi voleva cancellare il più velocemente possibile quanto era accaduto viveva qualcosa di diverso, che era in eclatante contraddizione con quanto vissuto coscientemente. Rudolf Steiner dedicò il suo discorso a questa lotta tra ciò che è esteriore e manifesto e la celata interiorità dell’anima.

L’atteggiamento [Haltung] di cui egli diede esempio allora è quel supporto [Halt] a cui noi oggi dobbiamo anelare, in un tempo che sta diventando sempre più povero di appigli.

All’inizio del suo discorso egli parla di ciò che va conquistato nell’interiorità dell’anima, che consiste nel «non lasciarsi fuorviare dalle impressioni del mondo esteriore, tanto da quelle più dolorose quanto da quelle edificanti, in questo particolare lavoro e intendimento interiore che scaturisce dal centro». Questo però significa che «di fatto successo e fallimento in realtà non significano nulla, che la sola cosa che ha significato è ciò che deriva dalla forza interiore e dagli impulsi interiori della cosa stessa». Così sarebbe stato per esempio possibile – continuò Rudolf Steiner – «trovare anche tra gli antroposofi anime che si fossero chieste: perché le forze spirituali buone in quel frangente non ci hanno protetto?»

A questo punto alcuni degli ascoltatori avranno rizzato gli orecchi. Non era proprio questa la domanda che dalla notte dell’incendio non dava tregua? Proprio questa: perché le forze spirituali buone non ci hanno protetto, e, soprattutto, perché Rudolf Steiner ha consentito questo incendio? Il Goetheanum non era qualcosa di cui il mondo non poteva fare a meno? Non era forse un emblema che contrapponeva la forza dello spirito a un mondo privo di spirito? E di seguito, nelle parole di Rudolf Steiner: «Si può credere all’efficacia di un movimento che viene abbandonato in questo modo dagli spiriti buoni?» Oppure, nei pensieri degli ascoltatori: si può aver fiducia in una guida spirituale che non è in grado di impedire una disgrazia del genere?

Stefan Krauch, Ogni uomo che si immerga nella pace interiore…

Essenzialmente, la risposta di Rudolf Steiner a queste domande che si agitavano nei suoi ascoltatori era: «Un tale pensiero si collega all’elemento esteriore, non si collega a ciò che emana unicamente dal centro interiore della cosa, indisturbato da quanto è esteriore».

Come bisogna comprendere questo? Non è forse il segno di un agire fruttuoso e giusto, quando le «forze spirituali buone» (proprio come Rudolf Steiner) accompagnano questo agire proteggendolo? Perché un pensiero del genere rimanda a un collegamento con «quanto è esteriore»? Per comprendere la posizione di Rudolf Steiner dobbiamo chiarirci da quale mondo di rappresentazioni sia scaturito quel pensiero. Cosa c’è alla base di un pensiero di questo tipo?

Un pensiero di questo tipo poggia sul presupposto (rimasto di certo inconscio) di attribuire il proprio mondo di rapprentazioni, di opinioni, anche alle «forze spirituali buone» (o a Rudolf Steiner). Non ci si rende conto della profonda differenza tra il proprio mondo di rappresentazioni e la natura di quelle forze, e si collega il pensiero che sia nel senso dell’evoluzione universale difendere e salvare il Goetheanum, con la rappresentazione che ci si fa di quelle forze. Chi prenderà coscienza del tipo di rappresentazione, banale e ingenua, che rende possibile tali pensieri sarà subito in grado di constatare che le cose non stanno affatto così. In una tale presa di coscienza del sostrato rappresentativo si trova fondata la prima forma di un’attività interiore. E si tratta sempre di questa attività, quando Rudolf Steiner si appella al «centro interiore di un movimento spirituale» o al «punto più interiore dell’animo umano». Perché soltanto un’attività dell’anima che diviene cosciente del suo proprio pensare può generare quella forza che crede in se stessa – «nonostante ogni apparente fallimento esteriore».

La tragicità del nuovo Goetheanum

Questi nessi diventano ancora più chiari nella continuazione del discorso di Rudolf Steiner. Di nuovo, valeva e vale fino a oggi prendere con molta precisione le sue parole. Egli disse:

«…l’ho ripetuto più volte: il primo Goetheanum, la forma del primo Goetheanum, questa casa dell’antroposofia, come edificio, quale esso lì si ergeva, non è da ricostruire, non può venir ricostruito».

Egli l’aveva affermato spesso. (4) Ma ciò era stato ascoltato, era stato compreso? Certo, – si può pensare -, il vecchio Goetheanum è andato in fiamme, come si dovrebbe dunque ricostruirlo? Eppure, ne verrà edificato uno nuovo, che svolgerà la stessa funzione del primo. Anche questo risplenderà dalla collina di Dornach come un potente emblema dell’antroposofia nel mondo. Non erano però esattamente queste le parole di Rudolf Steiner, bensì: «questa casa dell’antroposofia, come edificio … non può venir ricostruito».

Le sue affermazioni seguenti hanno di certo colpito fortemente i suoi ascoltatori. Quelle affermazioni sono essenzialmente più che un semplice diniego per una costruzione antroposofica futura. Esse possono valere come archetipo del rapporto e del comportamento generale che ancora abbiamo da conquistare, se siamo pronti a sostituire le vecchie rappresentazioni di “bene” e “male”, “giusto” e “sbagliato”, “amico” e “nemico” con una visione che va a fondo nella realtà, una visione che, tuttavia, diventa possibile solo grazie a un continuo sforzo indirizzato al «centro interiore della cosa». Rudolf Steiner spiegò che la somma di oltre tre milioni di franchi versata dall’assicurazione per lui non era un lieto evento come per altri, bensì «una fatto enormemente doloroso, enormemente triste»:

«E delle sofferenze che ho avuto a partire dall’incendio del Goetheanum fa parte questa in modo molto particolare, cioè che ho dovuto dirmi: ciò che è ora avvenuto in questa assemblea deve venir portato avanti nel modo migliore e più energico, deve appunto accadere per necessità; però, deve venir portato avanti qualcosa che di fatto non ha nulla a che fare con il centro del movimento antroposofico, qualcosa che si trova del tutto al di fuori dal punto centrale di azione di questo movimento».

Come bisogna comprendere questa frase? Perché deve accadere per necessità qualcosa che «non ha nulla a che fare con il centro del movimento antroposofico»? Perché tale necessità, se essa è in contraddizione con quel centro?

Il primo Goetheanum, così continuò Rudolf Steiner, era stato costruito con abnegazione, era stato «interamente costruito sulla base di comprensione interiore. Ogni singolo franco era stato devoluto sulla base di comprensione interiore per la cosa». Invece quel Goetheanum che è da edificarsi sul fondamento della somma versata dall’assicurazione, «osservato da un punto di vista interiore spirituale sarà un edificio del tutto diverso»; sarà un «Goetheanum costruito tragicamente» e iniziato «sotto le lacrime».

 

Disegno di uno scorcio del secondo Goetheanum

Disegno di uno scorcio del secondo Goetheanum

 

Ora si potrebbe pensare, continua Rudolf Steiner, che sarebbe possibile devolvere la somma ricevuta dall’assicurazione a una qualche iniziativa di beneficenza e costruire il nuovo Goetheanum ancora una volta grazie allo spirito di sacrificio degli amici. Questo però «sfalserebbe dall’altra parte ciò che deve accadere», infatti:

«L’energia e la forza non consistono nel fatto che si sceglie la via più comoda, anche se la via più comoda in senso egoistico può venir presentata come estremamente morale; l’energia consiste invece nel fatto che, anche se la via deve essere tragica, ci si tuffa, se così posso dire, nella tragicità. Questo però non può accadere dormendo, bensì bisogna tuffarsi con coscienza nella tragicità».

Questa tragicità comporta dolore. Tuttavia, «non si può scansare il dolore» chiarisce Rudolf Steiner di seguito, «se si vuole lavorare nell’ambito della realtà».

La scelta cosciente della tragicità come necessità interiore

Edificare il nuovo Goetheanum sulla base della somma versata dall’assicurazione e al contempo essere perfettamente coscienti di non creare così una “casa dell’antroposofia”, bensì un edificio che nelle proprie fondamenta contiene l’ostilità: in questo caso, secondo Rudolf Steiner, si lavora «nell’ambito della realtà» e non in quello dell’illusione, nel quale gli uomini vivono «con una certa voluttà». Un lavoro di questo tipo egli lo definì come «la formazione di un’isola all’interno di un mondo che costruisce sulle illusioni»:

«Allora, nel mondo che costruisce sulle illusioni, può irradiare ciò che è una forza reale».

Alla base di tale forza che irradia verso l’esterno, forza di essere realtà e non illusione, vi è una forza interiore che deve prima venir conquistata. Alla fine del suo discorso Rudolf Steiner menziona nuovamente le “forze spirituali buone” – senza tuttavia riferirsi direttamente alla rappresentazione secondo la quale esse avrebbero potuto impedire l’incendio. Eppure, per quelli “che avevano orecchi” – ma in modo particolare per noi, che possiamo guardare alla catastrofe di allora da una distanza di cento anni – queste parole possono indicare la direzione. Perché esse danno anzitutto un senso a ogni catastrofe, anche ai molteplici processi di morte che oggi si svolgono direttamente davanti ai nostri occhi. E conferiscono un senso tale che noi percepiamo noi stessi interiormente attivi, e in questo essere attivi iniziamo a prendere confidenza con ciò che avalla la certezza di un mondo futuro. Oppure, con le parole di Rudolf Steiner:

«Se a un certo punto può sembrare che gli dèi scompaiano, che non siano più presenti, che abbiano abbandonato l’umanità, allora la saggezza degli dèi consiste nel fatto che gli uomini devono ricevere gli impulsi a cercarli proprio nei luoghi dove essi non si mostrano più, senza lamentarsi della loro scomparsa e della loro inattività. Voler avere la Terra come un soffice letto su cui riposare e definirla divina solo quando essa si mostra corrispondente a come si vorrebbe, è cosa che non potrà mai definire l’intenzione di un movimento spirituale, perché quella non è forza, ma assenza di forza. E non porteremo avanti il Goetheanum colorato tragicamente partendo dalla mancanza di forza, bensì solo sviluppando forza, e mediante la consapevolezza che dove gli dèi sembrano essersi ritirati, proprio lì devono venir cercati da noi, proprio nel luogo in cui sono apparentemente celati».

Il luogo in cui dobbiamo cercare gli dèi è la nostra stessa interiorità dell’anima, che va coltivata mediante le parole e le affermazioni di Rudolf Steiner. Questa “interiorità” da conquistare sarà in grado di superare un mondo di mere rappresentazioni illusorie, come quello che si è manifestato nel discorso di Grosheintz. Infatti, le vere “attività”, “volontà” e “realtà” non si mostrano in un agire orientato all’esterno e assetato di successo. Successi di quel tipo appartengono al regno dell’illusione, e gli avvenimenti futuri ci insegneranno a comprenderlo. Non sarà un agire di quel tipo a creare i fondamenti per un futuro dell’uomo, eppure non lo possiamo evitare; esso è infatti parte del percorso di formazione della nostra anima, che dovrà trovare la propria via passando attraverso la tragicità degli eventi a venire.

 

Piero della Francesca, Resurrezione

Piero della Francesca, Resurrezione

Note:

* la parola tedesca Halt, che significa perno, appoggio, sostegno: è imparentata con “Haltung”, parola già citata nella prima parte dell’articolo, che si ripresenta anche tra poche righe, e significa atteggiamento interiore -. Halt e Haltung hanno la medesima radice, ma la prima rimanda a un appiglio esteriore, mentre l’altra a un’àncora interiore. Una sorta di gioco di parole molto significativo. [N.d.T.]

Le citazioni che seguono, dove non specificato, sono tratte da questo testo.

4) Conferenza del 9.4.23 (O.O. 84).