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EDIFICARE IL PRESENTE (p.1)

Shamsia Hassani murale

La tragicità del secondo Goetheanum

(prima parte)

Cari lettori,

questa settimana riprendiamo il filo del discorso che qualche mese fa ci ha accompagnato nel ricordo della distruzione del primo Goetheanum.

Il 1° gennaio 1923, nel giorno successivo all’incendio, Rudolf Steiner comunicò ai soci che un dolore di quella portata non poteva che essere un incentivo a continuare a realizzare al meglio quello che si riteneva giusto e si sentiva come proprio compito, fintanto che se ne avessero le forze. In occasione della prima riunione dopo l’evento, i presenti lo accolsero alzandosi in piedi, ed egli disse loro: «Signore e signori, potete esser certi che non mi lascerò mai distogliere dalla mia via, qualsiasi cosa accada; finché vivrò porterò avanti le mie cose, e nello stesso modo in cui l’ho fatto fino a questo momento. E naturalmente spero che non subentrerà alcuna forma di interruzione, così che anche in futuro potremo lavorare insieme, nello stesso modo, in questo stesso luogo». (1)

Il lavoro con gli operai e con i soci che seguì non fu un nuovo inizio, fu più una continuazione; alla Società comunicò che l’elemento tragico nella storia del mondo è sempre il medesimo, cioè il collasso delle condizioni esteriori, e che però la forza interiore rimane, come capacità di continuare a lavorare a partire dal centro dello spirito.

Così, per la prima grande conferenza pubblica successiva, che si tenne a Basilea, scelse un titolo provocatorio: Cosa voleva il Goetheanum e cosa deve fare l’antroposofia, alludendo al passato dell’edificio e al presente della scienza dello spirito. Per i giornalisti che vi presenziarono, quell’evento affollato fu impressionante. Da parte del relatore si sarebbero aspettati lamentele e accuse in merito all’accaduto, e invece, come poi scrissero per il quotidiano di Basilea, «in lui non si poteva riconoscere alcun segno di disfattismo o avvilimento. Il dottor Steiner ammise schiettamente che il dolore per quella perdita fosse troppo grande per poter essere espresso, e tuttavia dalle sue parole si sprigionò così tanto ardore interiore, e una forza così inflessibile, che addirittura noi, che non condividiamo i fondamenti della sua antroposofia, siamo giunti alla convinzione che nella notte di San Silvestro il movimento a Dornach non abbia perso nulla della sua forza vitale, ma, al contrario, che abbia accolto un nuovo impulso significativo». (2)

In senso antroposofico, quel “nuovo impulso significativo” può essere molto importante per noi oggi, a cento anni di distanza da quei fatti e sulle orme di Rudolf Steiner, nel trovare un senso alle piccole e grandi distruzioni esteriori di ogni tempo, perché gli impulsi interiori ideali non vi muoiono affatto, anzi vengono vivificati. Il rapporto con la tragicità – la coscienza della tragicità – è l’elemento su cui si concentra l’analisi di Irene Diet, autrice dell’articolo Rudolf Steiner und der Brand des Goetheanum – Ein Lehrstück für die Gegenwart (Rudolf Steiner e l’incendio del Goetheanum – un insegnamento per il presente), pubblicato in Der Europäer anno 27 / 4 / Febbraio 2023, che qui proponiamo in traduzione.

Buona lettura!

Alessandra Coretti

 

Irene Diet, dopo studi universitari di storia e filosofia nella nativa Lipsia e a Parigi, lavora come autrice freelance e scrittrice, conferenziera di antroposofia in Germania, Svizzera e Ungheria, nell’intento di cogliere l’essenza dell’antroposofia di Rudolf Steiner in modo che possa assolvere al suo compito di essere la risposta al «desiderio dell’umanità del presente».

 

«Se si vuol prendere sul serio il fatto che le idee, i pensieri, e soprattutto gli impulsi di coscienza sono delle realtà, allora si deve credere a questi stessi sentimenti e impulsi di coscienza, si deve credere alla loro forza e non agli aiuti che essi potrebbero ricevere dall’esterno. Allora occorre avere la certezza che, nonostante ogni apparente fallimento esteriore, ciò che attinge a tali impulsi raggiunge il suo giusto obiettivo – l’obiettivo assegnatogli nel mondo spirituale – persino nel caso in cui, un giorno, venga inizialmente annientato del tutto a causa delle circostanze esteriori proprie del mondo che ci circonda». (3)

Stefan Krauch «Affinché germi d’anima, rilucendo…», Calendario dell’anima versetto 37

Stefan Krauch «Affinché germi d’anima, rilucendo…»,Calendario dell’anima versetto 37

Catastrofi che destano le anime

L’incendio del Goetheanum il 31 dicembre del 1922 fu un avvenimento del tutto inaspettato e oltremodo doloroso per gli antroposofi di allora.

L’edificio realizzato a costo di grandi sacrifici, che come un punto di riferimento doveva rendere visibile l’essenza del suo intimo anelare e che, come una prova del suo diritto di esistere, dalla collina di Dornach risplendeva su un mondo fondamentalmente ostile, venne divorato dalle fiamme nel corso di una notte. Dieci anni di lavoro colmo di abnegazione, dieci anni di scomode lotte con il legno, il vetro e i colori si dissolsero in nere nuvole di fumo nella notte di San Silvestro.

Non è possibile rappresentare con sufficiente drasticità quel che provarono gli antroposofi di allora. Perché ci è accaduto questo? Da quel momento, la domanda li tormentava notte e giorno. Perché era divampato l’incendio? Non era forse un segno della debolezza dell’antroposofia, della quale il Goetheanum era il simbolo? E perché il “Doktor” (Rudolf Steiner), o le «forze spirituali buone», non avevano potuto salvare l’edificio? Dove erano quelle forze nella notte dell’incendio? E come si doveva continuare? Esisteva ancora un futuro per quell’ideale che il mondo non aveva compreso, e al quale pur apparteneva con tutta la propria anima?

Possiamo immaginare che questa catastrofe abbia come “indebolito”, o disarticolato le fondamenta interiori di tutti coloro che l’ebbero vissuta. Per opera dell’incendio, una parte essenziale della loro immagine del mondo, fino a quel momento ancora salda, si ritrovò a vacillare pericolosamente. Tale immagine doveva venir scossa a fondo ancora una volta, e in modo più forte che nella notte dell’incendio, il 30 marzo del 1925, il giorno della morte di Rudolf Steiner. Di nuovo, e con maggior radicalità, vennero sospinti in superficie tutti i dubbi e le domande sopiti nel profondo. Di nuovo gli antroposofi persero il loro punto di appoggio. E questa volta, il 30 marzo 1925, persero non “solo” il segno esteriormente visibile del loro agire, bensì con la morte di Rudolf Steiner persero il centro stesso dell’attività.

Quanto vissuto nella notte dell’incendio può quindi valere come l’inizio di un’esperienza condivisa della morte di Rudolf Steiner, fu come un atto decisivo all’interno di un processo di morte che si completò il 30 marzo del 1925. Gli antroposofi di allora si trovavano entro un processo di morte che non riuscivano a comprendere e gli avvenimenti che seguirono mostrano quanto poco ciò venne allora compreso. Nella storia spirituale dell’umanità, i seguaci di un orientamento spirituale non si sono mai accaniti con tanta veemenza e brutalità gli uni contro gli altri come gli antroposofi dopo la morte di Rudolf Steiner. L’incomprensione dei fatti accaduti si trasformò in un’incomprensione nei confronti dell’altro, senza che di questo si diventasse coscienti.

Ciò che allora era a malapena possibile – la comprensione di questi processi di morte –, oggi per noi è divenuto un doveroso compito. Il tratto distintivo dei grandi avvenimenti storici successivi alla morte di Rudolf Steiner, e in particolare il tratto distintivo degli ultimi tre anni, è straordinariamente tragico. Tuttavia, questa tragicità è un elemento necessario: soltanto essa potrà operare sulla formazione della volontà, di modo che possano venir scoperti entro l’anima nuovi ambiti [Gebiete] per il futuro. Di questi nuovi luoghi dell’anima si tratta, e non di un qualche lavoro di rattoppo inteso ad arrestare il corso degli eventi. La fatalità nella quale l’umanità si trova resterà priva di senso fino a quando non si saranno conquistati tali campi dell’anima.

In questo processo un compito centrale spetta agli antroposofi, che sono nati in una intima relazione animica e di destino con Rudolf Steiner. Tale compito consiste in primo luogo nel riconoscere come tale la propria ordinaria condizione di coscienza. L’opera di Rudolf Steiner, così come la sua vita, in questo senso sono per noi una sorta di “esempio”, con l’ausilio del quale possiamo conquistare il necessario orientamento interiore. E l’atteggiamento [Haltung] che Rudolf Steiner manifestò in occasione dell’incendio del Goetheanum porta proprio quel particolare carattere distintivo che può renderlo un insegnamento per noi oggi.

verità soggettive

«Perché noi stiamo continuando a restare sotto l’impressione…»

Tale tratto distintivo risulta particolarmente evidente nelle trascrizioni stenografate della decima assemblea generale ordinaria dell’Associazione per il Goetheanum, che ebbe luogo il 17 giugno 1923. Il 15 giugno era stato versato dall’assicurazione contro gli incendi un risarcimento di circa 3 milioni di franchi. Come si doveva procedere, ora che era arrivata quella somma di denaro? Per discutere la questione ci si raccolse nella sala della falegnameria la mattina del 17 giugno. Si decise di riedificare il Goetheanum – tuttavia, quella decisione fu preceduta da alcuni fatti che vorrei qui menzionare.

Rudolf Steiner iniziò il suo intervento […] con queste parole: «…vi parlerò, oggi, in modo diverso e con altri presupposti rispetto a quanto poteva accadere nelle assemblee degli anni passati. Perché noi stiamo continuando a restare sotto l’impressione della scomparsa del nostro amato edificio antroposofico, il Goetheanum».

Emil Grosheintz, il presidente dell’Associazione, si era appena espresso, e poco dopo anche Rudolf Steiner prese la parola: egli annunciò che avrebbe parlato «in modo diverso e con altri presupposti». Ma leggiamo attentamente questa frase: egli non avrebbe parlato ai suoi ascoltatori sulla base di altri presupposti – questo lo faceva sempre – come si intende dalle sue parole, quel giorno avrebbe parlato in modo tale che quei presupposti sarebbero comparsi in modo evidente insieme al discorso. Ciò gli sarebbe stato possibile perché, in quel particolare giorno, l’elemento nascosto (occulto) che sempre sottintendeva alle proprie parole, e che restava impercettibile ai più, egli lo voleva esprimere. E soprattutto: lo poteva esprimere. Il motivo di questa possibilità per lui stava nel fatto che «noi stiamo continuando a restare sotto l’impressione della scomparsa del nostro amato edificio antroposofico, il Goetheanum». La formulazione di questa frase è insolita, comunemente si direbbe piuttosto che “permane l’impressione della scomparsa del nostro amato edificio”. […]

L’espressione «noi stiamo continuando a restare sotto l’impressione…» riesce a riprodurre la condizione animica che Rudolf Steiner, nei suoi ascoltatori, vedeva: su di loro gravava permanente l’impronta che la notte dell’incendio aveva impresso. Essi però continuano a restare sotto quell’impressione, e così rimangono indietro mentre l’edificio già se n’è andato. Nell’immagine di coloro che sono rimasti sotto l’impressione dell’incendio – di coloro che non possono né seguire il Goetheanum, né riportare indietro quanto si è dissolto in nuvole di fumo – si esprime tutto il dolore e tutta l’incomprensione degli ascoltatori del discorso di Rudolf Steiner. E così quelli “che avevano orecchi per udire”, proprio da queste ultime parole avrebbero potuto avvertire la propria condizione animica, così come avrebbero potuto accorgersi della profonda preoccupazione di Rudolf Steiner. È anche essenziale sapere che questa frase di Rudolf Steiner fu pronunciata subito dopo un altro discorso, quello di Emil Grosheintz.

«Appello all’azione»?

Emil Grosheintz (1867 – 1946) era stato uno dei primi e dei più fedeli membri della Società teosofica e poi antroposofica. Alla sua donazione risale il terreno su cui venne edificato il Goetheanum, e dal 1915 egli fu il presidente dell’Associazione per la costruzione dello stesso. Il suo discorso rispecchia in certo qual modo dal “centro” della Società antroposofica l’approccio coscienziale [Bewusstseinshaltung] degli antroposofi di allora, e proprio questa qualità lo rende per noi così interessante. Dopo aver descritto il coraggio con cui, nonostante l’incendio, non erano state interrotte le attività, esclamò: «Miei cari amici, a noi serve però più che questo coraggio passivo del sopportare un rovescio del destino! Noi dobbiamo sviluppare un coraggio attivo. La distruzione del Goetheanum è un appello all’azione».

Subito di seguito dichiarò la sua «volontà di edificare un nuovo Goetheanum» e indirizzò a Rudolf Steiner la preghiera di renderlo possibile. Poi si volse verso tutti i presenti e disse: «Se questa è la vostra volontà, vi chiedo cortesemente di alzarvi in piedi.» E il protocollo registra: «Tutte le persone riunite si alzarono dai loro posti». […]

È a malapena possibile tratteggiare un atteggiamento di coscienza più “ordinario” di questo: le rappresentazioni di coraggio, azione e volontà vengono collegate esclusivamente a un’attività esteriore. Con ciò non si vuole esprimere un giudizio sul conto degli antroposofi riuniti attorno a Rudolf Steiner; evidentemente, un atteggiamento diverso da questo non era ancora possibile allora, o lo era solo con difficoltà. Tuttavia per noi, a cento anni di distanza, risulta chiaro: l’incendio del Goetheanum ebbe una corrispondenza diretta con l’essenza del destino della Società che lo subì.

Dalla prospettiva di oggi è fuori discussione che questo incendio, come anche la morte di Rudolf Steiner, furono delle necessità imposte dalla condizione animica della comunità antroposofica; interiormente dominava l’anelito a un’evoluzione che fosse conforme all’essere dell’antroposofia, e tale anelito produsse quei rovesci del destino.

Prima parte (continua…)

Note:

1) Discorso del 5.1.23, O.O.259.

2) Wolfgang G. Vögele, Der andere Rudolf Steiner. Dornach 2005.

3) Rudolf Steiner, Allocuzione in occasione della decima assemblea generale ordinaria dell’Associazione per il Goetheanum, 17.6.23 (in O.O. 252 e 259).