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LA RESPONSABILITÀ DELL’EUROPA PER UNA PROSPETTIVA DI PACE

Italico Brass Assalto di notte presso Monfalcone 1916

Immagine: Italico Brass Assalto di notte presso Monfalcone – 1916

Di Gerald Häfner

(video pubblicato il 24 febbraio 2022 sul sito www.goetheanum.tv)

Trascrizione e traduzione di Alessandra Coretti

Gerald Häfner, nato nel 1956, ha svolto attività politica nei Verdi, membro del Parlamento tedesco (1987 – 2002) e del Parlamento europeo (2009 – 2014). Autore e insegnante Waldorf, è cofondatore di Democracy International. Dal 2015 è il direttore della sezione di Scienze sociali al Goetheanum.

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Cari amici, cari lettori,

oggi condividiamo un contributo tratto dalla serie Voce del tempo dedicato al conflitto che da tre settimane è in corso in Ucraina. Gerald Häfner si è espresso sulla situazione offrendo un quadro del contesto storico e geopolitico, che riteniamo interessante e utile per provare a comprendere i drammatici eventi in est Europa. Esiste una via tra est e ovest? Qual è il ruolo che l’Europa potrebbe assumere, e in quale forma? A queste domande il relatore comincia a rispondere con la sua prospettiva di un’Europa unita e portavoce di una attiva neutralità su modello della Svizzera.

Dal momento che la situazione è in costante sviluppo, segnaliamo ai lettori che il discorso che qui riportiamo – pronunciato il giorno stesso dell’invio delle truppe russe – ha preceduto di pochi giorni la decisione presa dal governo svizzero di appoggiare le sanzioni economiche varate contro la Russia, scostandosi per la prima volta dalla sua consueta politica neutrale: un dato da tener presente nel tentativo di considerare lo stato aggiornato dei fatti. Se il modus operandi della Svizzera – al di là della sua recente presa di posizione, ma con uno sguardo al suo ruolo chiave nella gestione di ingenti risorse finanziarie internazionali – sia il modello più compiuto a cui ispirarsi, è naturalmente una domanda che ogni lettore è invitato a vagliare individualmente. Ci limitiamo a offrire il punto di vista del relatore: un contributo di pensiero. L’idea di un’Europa culturalmente unita e volonterosa nell’affrontare la grande missione storica che sarebbe alla sua portata – essere il solido ponte tra est e ovest nel nome della pace – sostiene il nostro pensiero e alimenta la grande speranza di un futuro diverso. Perché un futuro diverso è sempre possibile.

Buona lettura e buona riflessione.

 

«È incredibile. È guerra. È di nuovo guerra in Europa. I carri armati avanzano, le persone sono in fuga. Sono sconcertato e devo ammettere che fino all’ultimo momento ho creduto che fosse possibile un’altra via. Ero infatti convinto che la guerra come strumento politico non fosse più un’opzione possibile, che fosse una cosa definitivamente legata al passato, almeno in Europa. Ora invece possiamo vedere come tutto vacilla. Settimana dopo settimana, giorno per giorno ci siamo avvicinati sempre più a quello che sta accadendo ora, cioè l’avanzata militare russa in Ucraina, questo attacco a tenaglia da nord, da est e da sud contro un paese libero che nel 1991, in un referendum con oltre il 90% di voti a favore, ha dichiarato la propria indipendenza. È veramente spaventoso.

Ed è tempo di riflettere su come sia potuta accadere una cosa del genere, su come, adesso e in futuro, possiamo fare il meglio per evitare scenari di questo tipo. La guerra che è appena iniziata è una ricaduta nei tempi più bui e nelle peggiori forme della politica che abbiamo vissuto in Europa. È una ricaduta nel XX° secolo, e molto torna a ripetersi, in particolare molto dell’inizio del secolo scorso, tanto che dobbiamo chiederci: non abbiamo imparato nulla come umanità?

Vorrei accentuare questa domanda, perché ho l’impressione che stiamo affrontando le crisi del presente servendoci dei pensieri e degli strumenti del passato. Che ci siano delle crisi è una cosa normale, è naturale; tutto sta nel trovare risposte sempre nuove a queste crisi. Il problema è che il pensiero è come fissato quando continua a muoversi in forme superate, come possiamo constatare nella situazione attuale.

Vorrei descrivere brevemente il contesto da entrambe le prospettive. Dal punto di vista dell’Occidente, il presidente russo Putin, come un sovrano, ha progressivamente fortificato la propria sfera di potere liberandosi di tutti i suoi rivali mediante un comportamento politico che è diventato sempre più totalitario e nazionalistico. Ha annientato i suoi oppositori – prendiamo come esempio Aleksej Navalny internato in Siberia, o Anna Politkovskaja che fu assassinata per strada – , così come molti altri dissidenti, giornalisti e difensori dei diritti civili, e come molte iniziative della società civile che sono state criminalizzate, vietate e divenute perseguibili. Dall’Occidente, dunque, si è visto chiaramente tutto questo; si è visto come in questo regime vengano soffocate le persone, la libertà e la democrazia, come si manifesti sempre di più un ritorno alle fantasie da superpotenza nella politica della minaccia e anche, di nuovo, nella politica militarista (questo, già in Georgia nel 2009, poi con l’aggressione della Crimea nel 2014 e adesso con l’aggressione dell’intera Ucraina).

Dal punto di vista dell’Est, della Russia, la questione appare piuttosto diversa. Nell’ottica russa, al tempo di Gorbaciov c’era la grande idea di una “casa comune europea”. Ma di questa idea noi abbiamo accolto solo quello che allora ci era utile. Il muro di Berlino cadde – ma perché cadde? Perché i cittadini lo fecero cadere. Furono i civili a riuscirci, non i politici, non i militari e nemmeno gli agenti segreti – al contrario: le forze armate e i servizi segreti stavano lì, sconcertati, senza poter intervenire e senza sapere come dovevano comportarsi. Furono le persone, con candele, canzoni e pensieri di pace a rendere possibile il grande passo storico della caduta del muro. Furono i civili a tendersi le mani gli uni agli altri sopra a quella trincea che divideva l’Europa e che si era fatta sempre più profonda nei decenni della Guerra fredda. I civili iniziarono di nuovo a lavorare insieme.

E cosa abbiamo fatto noi di tutto questo? Una parte di ciò che venne concordato allora fu la sovranità dello stato tedesco e la riunificazione del paese con i trattati sullo stato finale della Germania (in tedesco, il “Zwei plus Vier Vertrag”). Da parte sovietica, mediante Gorbaciov, era stata posta una condizione, e cioè: l’assenso all’unificazione della Germania (che per la Russia significava la perdita di un’importante regione orientale, importante anche militarmente) a patto che la NATO, l’alleanza militare occidentale, non si fosse allargata ulteriormente a est».

Gerald Häfner ricorda di aver vissuto direttamente il processo delle trattative, perché a quel tempo era nel parlamento tedesco come corrispondente sul tema del trattato di unificazione tra le due Germanie. Tutti i delegati che parteciparono a quei colloqui, racconta, in seguito hanno confermato che di fatto esisteva quella clausola di sicurezza con solido consenso di tutte le parti; tuttavia, essa non venne inserita per iscritto nel trattato, il quale regolava esclusivamente le questioni territoriali che allora interessavano la Germania ovest (BRD) e la Germania est (DDR), senza specificazioni in merito alla condizione degli altri stati esteuropei.

«Ma poi,» continua il relatore «a partire dal 1999 e in ondate progressive, si realizzò l’ampliamento della Nato a est, al punto che oggi sono diventati suoi membri ben 14 stati che prima non lo erano. La Nato è cresciuta quasi del doppio e la Russia si sente sempre più accerchiata, sempre più minacciata, e ha la sensazione di dover porre un chiaro freno. Questa è la storia russa.

Inoltre, la storia russa è anche il fatto che l’Ucraina sostanzialmente non esiste. Secondo l’ottica russa l’Ucraina (nome che, tradotto dal russo, significa “terra di confine” oppure “al margine”) di fatto non sarebbe uno stato, bensì sarebbe il confine tra la Russia e ciò che si estende a ovest, sud e nord di essa – e infatti la Russia non ha mai riconosciuto pienamente l’indipendenza dell’Ucraina.

Come ultimo elemento bisogna aggiungere che l’Ucraina è un paese dilaniato e alla ricerca della propria identità, e che tra Luhansk e Lemberg, per esempio, ci sono differenze enormi di natura culturale, linguistica, economica e politica».

Nell’est del paese – spiega il relatore – ci sono parti della popolazione che sono di fatto russe e si sentono molto vicine a Mosca, poi c’è la gran parte degli ucraini che è più orientata a ovest, e a sud ci sono i tatari. Questo paese così vasto storicamente è sempre stato conteso e calpestato dalle grandi potenze, come pochi accenni ad alcuni avvenimenti del secolo scorso bastano a ricordare: «In Ucraina sotto il regime di Stalin si è consumato l’Holodomor, cioè la terribile morte per fame di milioni di persone (le stime oscillano tra i 2,5 e i 14 milioni). Seguì poi l’eliminazione in massa degli ebrei: nella sola Ucraina ne vennero assassinati 1,5 milioni, e con la politica della terra bruciata città, villaggi e comunità ebraiche vennero completamente annientate (sia per mano dei nazionalsocialisti tedeschi sia per mano dei russi). E poi ci fu (ora faccio un grande salto) il caso di Chernobyl, lo spaventoso incidente nucleare che ha avvelenato per sempre una parte dell’Ucraina. L’Ucraina è veramente un paese martoriato – e al contempo è uno dei paesi più ricchi, se guardiamo alle risorse del sottosuolo, alla fertilità dei campi, alla sua posizione in mezzo all’Europa. Essa è stata definita da molti la terra “cuore” dell’Eurasia, e gli esperti di geopolitica, sia dell’est che dell’ovest, hanno sempre affermato che chi possiede quel territorio possiede l’Eurasia stessa.

La mia impressione è che al momento non si tratti affatto dell’Ucraina. L’Ucraina è piuttosto la palla con cui i potenti giocano. Le persone che vivono lì non vengono interpellate. Sono in ballo interessi geostrategici nella prospettiva occidentale americana, secondo cui noi siamo l’unica grande potenza di fronte alla rivale, la Cina: essa si appresta ora a controllare la maggior porzione possibile di Europa e al contempo a impedire che la parte occidentale dell’Europa e la Russia si congiungano veramente. In quel caso, potrebbe infatti sorgere una forza ancora maggiore della più grande potenza occidentale – ma non voglio approfondire ora la prospettiva cinese.

Quanto alla prospettiva russa: si può percepire come questa grande potenza di un tempo aneli a essere riconosciuta e tenti di non tramontare, si può percepire come Putin e il governo russo tentino di affermare il proprio modello e le proprie idee lì dove non hanno più influenza, ricorrendo al nazionalismo e alla forza militare. Si vede un aggressore, lo si guarda in faccia e al contempo si percepisce come esso sia messo alle strette. Si vede Putin messo alle strette. Si vede Biden messo alle strette, e si vede l’Europa messa alle strette. Ho l’impressione che ciò che accade ora sia qualcosa di cui nessuno vuole davvero le conseguenze: una guerra con possibili migliaia di morti, forse centinaia di migliaia, una guerra che in fondo nessuno vuole ma a cui nessuno ha voluto rinunciare. Nessuno aveva la sensazione di poter venire incontro alle richieste della parte opposta. E le persone che si ritrovano direttamente coinvolte, gli abitanti dell’Ucraina, non sono stati interpellati da nessuno.

Quale potrebbe essere dunque la soluzione? Una soluzione potrebbe essere nel non voler risolvere i problemi del XXI° secolo con i pensieri, le rappresentazioni e gli strumenti del XIX° e del XX° secolo. Il nostro problema è che siamo rimasti indietro nella coscienza. La storia va avanti, ma le nostre rappresentazioni restano indietro, come restano indietro i nostri concetti. E in questo confronto è terribile vedere come anche i governi europei siano ricaduti nel modo di pensare del passato, come si parli solo di reciproco riarmo delle parti, di minaccia e di intimidazione, mentre da nessun lato sia stato veramente offerto qualcosa.

Quale potrebbe essere un’offerta? Potrebbe essere quello che era sul tavolo già nel 1989, e che noi non abbiamo compreso e riconosciuto. Cioè l’idea non solo di superare questo muro, bensì di cooperare veramente in Europa, tra est e ovest; di comprendere che è falsa la proiezione, che si indirizza a tutti gli stati d’Europa, del voler appartenere o all’est o all’ovest, proiezione di fronte a cui ora si trova l’Ucraina; di comprendere che si agisce come se esistesse solo la decisione o di esser parte del patto occidentale o di appartenere allo stato e all’impero russo. L’Europa non è né est né ovest. L’Europa è – in ogni caso vista in prospettiva europea – nel mezzo tra i due e deve costruire ponti anziché scavare tombe.

Quale potrebbe essere la via? Come sarebbe se non rispondessimo alle domande del presente con i pensieri del passato, ma se sviluppassimo nuove idee, come l’idea che l’Europa e il mondo secondo me aspettano dal 1989, l’idea che è stata posta allora? Perché non è bastato abbattere fisicamente il muro tra le due parti della Germania – l’unificazione deve andare avanti. Deve compiersi anche nelle menti e nei cuori. Ciò significa: se noi veramente in Europa iniziamo ad abbattere muri, a colmare di terra le trincee e a costruire ponti, a comprenderci come un’Europa comune da est a ovest, cioè con la Russia, con l’Ucraina; se in Europa sviluppiamo questo tipo di spazio comune e condiviso di reciproca sicurezza collettiva, dove vengano deposte le armi, dove ci si prometta vicendevolmente che mai più uno stato aggredirà militarmente un altro, che tutti i conflitti che il futuro genererà verranno risolti pacificamente e mediante trattative anziché combattimenti.

Io mi trovo in Svizzera, a Dornach, al Goetheanum. Non solo il Goetheanum è un luogo particolare, bensì la stessa Svizzera è uno stato particolare. Già nel XVI° secolo gli svizzeri decisero di proclamare che non avrebbero mai più aggredito un altro stato. Avevano dei validi motivi per farlo, in quanto avevano appena subito una pesante sconfitta, benché avessero la fama di soldati invincibili. Questo avvenimento li segnò nel profondo, al punto da promettere che mai più avrebbero attaccato terzi. Nacque così la politica della neutralità attiva, e oggi la Svizzera è uno stato che è coinvolto da protagonista nella soluzione di molti conflitti nel mondo, in quanto tutti, almeno in questo ambito, hanno fiducia in essa e sanno che non persegue interessi propri e non nutre ambizioni da grande potenza, bensì che può aiutare e servire in qualità di mediatore pacifico nei grandi confronti del presente. Io credo che l’intera Europa dovrebbe considerarsi e organizzarsi come uno spazio di questo tipo, uno spazio di neutralità attiva.

Lavoriamo in questo senso, incontriamo questa crisi e le prossime crisi con forme di pensiero costruttive. Cosa sarebbe stato se nel periodo tra il 1989 e oggi, per due o tre decenni, non avessimo continuato ad armarci sempre di più, non avessimo sviluppato la tecnologia militare investendo in essa tutte le nostre risorse mentali e finanziarie? Bensì se avessimo sviluppato ulteriormente il nostro pacifismo, se avessimo comunicato di più reciprocamente, debellando così le minacce? E questo inizia sempre dalla propria parte, cioè con il fatto di chiarire che non attaccheremo mai più altri. Ciò rende allora possibile agli altri di fare altrettanto. In Europa si è sempre tesa ancora la mano. E anche Putin, all’inizio del suo mandato nel 2001 – quando era ancora un giovane “reggente”, se così si può dire – ha teso la mano in occasione di un discorso al parlamento tedesco. Quella mano però non venne stretta. E si può osservare come nei 21 anni da allora la Russia si sia isolata sempre di più, e la sua politica sia divenuta sempre più aggressiva. La storia dell’Europa e di questo conflitto in Ucraina è anche una storia di occasioni mancate. Ed è una storia di come i falsi pensieri alla fine si manifestano nei fatti.

Per questo: iniziamo a pensare alla pace in Europa, a un’Europa comune, nella quale non venga mai più condotta una guerra contro l’altro e nella quale noi lavoriamo assieme sul piano culturale, economico, e politico; abbattiamo i confini e vediamo come possiamo, insieme, rafforzare la libertà, l’uguaglianza e anche la solidarietà e la fratellanza».