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Essere in condizione di impotenza

Pietà Rondanini (Michelangelo Buonarroti, 1552-1553)
Immagine: Pietà Rondanini (Michelangelo Buonarroti, 1552-1553)

L’oculare del presente

Di Christine Gruwez, articolo pubblicato su Das Goetheanum il 18 marzo 2022

Traduzione di Alessandra Coretti

Care amiche e cari amici, oggi vorremmo presentarvi una prospettiva diversa sui fatti a noi contemporanei, che ci raggiungono dai notiziari e dalle pagine dei giornali. Il punto di osservazione che sceglie Christine Gruwez  però è interiore: il primo passo è renderci conto del sentimento di assoluta impotenza che proviamo di fronte agli eventi.

La coscienza di oggi, sostiene l’autrice, è come un oculare che può ingrandire determinati elementi, o rimpicciolirne altri, estrapolandoli dal divenire cui appartengono. Questa “funzione” della coscienza ci rende spettatori del nostro tempo, tuttavia non siamo condannati a rimanere tali, perché ogni individuo porta in sé l’amore, che è dedizione, è attenzione – massima attenzione, e per Simone Weil questa era pura religiosità. Essere contemporanei allora significa imparare a guardare nelle ombre del proprio tempo (Agamben), e già Rudolf Steiner aveva insegnato a intendere i fatti storici, il passato già divenuto, come sintomi in divenire: senza estrapolarli dal contesto dinamico cui appartengono.

L’essere umano del quinto periodo postatlantico ha il compito di occuparsi del mistero del male senza evitarlo, è chiamato a riconoscere e a guardare il male dentro di sé, come reale potenzialità e senza servirsi del filtro di un oculare. Nel momento in cui compie questo passo, l’uomo di oggi smette di essere uno spettatore passivo e, anche solo per un attimo, annulla ogni separazione tra sé e il mondo.

Buona lettura!
Alessandra Coretti

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Simile a un’onda, una condizione di profonda impotenza pervade il mondo. Si è verificato l’inimmaginabile e ne siamo sconcertati. Che cosa significa essere un uomo di questo tempo e rivolgersi agli eventi non attraverso le lenti di un telescopio, ma in una relazione [N.d.T. Zusammenhang, da qui in poi tradotto anche come: contesto, nessi] vivente?

«Come possiamo aiutare?» domandava il frontespizio della rivista Die Zeit (2 marzo 2022, num. 10). Stare a guardare e basta appare insostenibile. Ma aiutare come? Le forniture di armi aiutano? Le sanzioni aiutano? Cosa significa “aiutare”? Senza dubbio bisogna prestare soccorso – è stata espressa una impressionante solidarietà –, ma la situazione continua a irrigidirsi in se stessa. Gli spiragli attraverso cui potrebbe venir accolta una svolta diversa si aprono sempre meno. Analisi e commenti si avvicendano in un vortice caotico, ci si aggrappa con forza a interpretazioni, fino a venir nuovamente sopraffatti dalla complessità del tutto. Subito sotto a «Come possiamo aiutare?», nell’articolo di apertura del Die Zeit si legge «Come possiamo difenderci?».

Qui ha inizio l’esperienza dell’impotenza, che scava nel più profondo dell’anima, diventando una delle esperienze più radicali cui un essere umano può aver parte. Soltanto l’amore ha un’impronta simile. Queste due esperienze ci invadono interamente e non lasciano aperta nessuna via di fuga. Nell’impotenza prendono il sopravvento paura e disperazione, ci si sente paralizzati dentro, è una condizione dalla quale non è possibile una ritirata, perché un indietro non c’è più. E, allo stesso tempo, sembra non ci sia più nemmeno un avanti. Che cosa sostiene, quando nulla più sostiene? Chi sostiene me?

L’anima cosciente come un oculare

Christian Huygens (14 aprile 1629 – 8 luglio 1695) fu uno dei più grandi scienziati dell’età moderna. Visse in un’epoca stimolante, quanto mai turbolenta dal punto di vista politico, un’epoca di grandi mutamenti nella quale – come egli stesso scrisse – «gli uomini erano innamorati delle proprie idee», e volevano far valere il «diritto di proprietà» su un’idea. Assunse così sempre più importanza non tanto il contenuto di un’idea, bensì chi l’aveva concepita. Lo spazio e il tempo vennero misurati, le carte geografiche divennero sempre più esatte, vennero tracciati confini lungo territori e mare. Il cielo e la terra vennero divisi. 

Matematico e anche inventore, tra le altre cose Huygens scoprì gli anelli di Saturno e la sua luna, Titano. Questa scoperta la dovette al suo oculare, un sistema di due lenti per l’ingrandimento integrato in telescopi e microscopi. Con tale strumento gli era possibile avvicinare a sé ciò a cui egli non poteva avvicinarsi, in modo da separare l’oggetto dalla totalità,  dalla relazione. Di fatto, il suo oculare puntava all’occhio e non al cielo stellato; esso strappava dai suoi nessi ciò che dall’osservatore era bramato. L’oculare divenne così occhio (oculus). Nell’oculare Huygens aveva l’immagine di Saturno vicina e davanti a sé come non mai, però, nel momento dell’osservazione, perdeva la prospettiva umana: la totalità del cielo stellato e il collegamento con gli uomini attorno a lui. Solo lui aveva accesso a quello che vedeva, poté trarne una deduzione scientifica e la fece sua. Divenne sua proprietà esclusiva e la firmò dandole il proprio nome, l’oculare di Huygens, com’era consuetudine anche per i suoi contemporanei.

M.C. Escher, Galleria di stampe, litografia, maggio 1956

M.C. Escher, Galleria di stampe, litografia, maggio 1956

Una delle caratteristiche della coscienza attuale è l’incapacità di immedesimarsi a tutta prima nella condizione dell’“altro”, inteso non solo come il nostro prossimo, ma anche, allo stesso modo, come ciò che noi chiamiamo natura, mondo, fino ad intendere per “altro” pure colui che risveglia l’alterità in ognuno di noi. Questa condizione dell’altro e dell’alterità può comunque venir osservata e percepita, persino interpretata in ogni dettaglio, restando però “fuori dalla porta”: per l’incapacità di sperimentare una situazione da dentro, cioè nei suoi nessi. Se anche possiamo renderci comprensibile ogni fatto, non vi siamo ancora “dentro”. Ogni situazione nasce da una configurazione di fatti ed eventi che si susseguono di continuo, e che si sono già svolti; di conseguenza, nonostante la loro diversità, gli eventi hanno in comune il fatto che sono già accaduti. Essi appartengono al passato, la loro origine comune, il loro vivente rapportarsi l’uno all’altro non ci sono più.

La società borghese, all’opera o al teatro, si è servita volentieri di un binocolo per avvicinare alla vista un attore piuttosto che una cantante, e per averli un momento solo per sé. Questo può valere come un affascinante tratto caratteristico di una determinata epoca, però osservandolo meglio è anche un chiaro esempio di come la nostra coscienza si sia posta in rapporto col mondo esteriore. Molto spesso sperimentiamo degli avvenimenti così come ci vengono presentati sugli schermi, come su un palcoscenico, senza avere la possibilità di intervenire direttamente. A seconda del caso, modifichiamo il nostro pensare, sentire e volere in modo tale che avviciniamo o allontaniamo quello che si sta svolgendo, zoomiamo in avanti o indietro, mettiamo a fuoco in primo piano una cosa qualsiasi che ci va e ne selezioniamo un’altra come sfondo. Questo diventa evidente ai nostri occhi soltanto nei tempi di crisi così come li viviamo adesso. Per esempio nella cronaca, lì è palese. Nel momento in cui “irrompe”, ogni fatto diventa un’immagine ingrandita, isolata e sciolta dal contesto, un’immagine che nasce dall’oculare della coscienza. Poiché viene a cadere fuori dai suoi nessi possiamo ingrandirla; e viceversa: poiché la ingrandiamo, essa perde la sua relazione vivente con la totalità. Diveniamo così osservatori del nostro tempo, trovandoci al di fuori dell’attualità [Zeitgeschehen] e non dentro. Questo è un passo nell’attuale evoluzione della coscienza. Ma siamo condannati a guardare soltanto?

 

Escher. Balcone, 1945. Litografia

M.C. Escher, Balcone, 1945. Litografia

Poiché la vicinanza all’altro così spesso anelata non risulta qualcosa di ovvio, di evidente e dato, allora tentiamo di portare l’altro dalla nostra parte [N.d.T. proviamo a far sì che lui conosca noi, o conosca il nostro oculare]. E proprio come attraverso un oculare, separiamo dalla totalità un singolo elemento ingrandendolo oltre se stesso. Ingrandimenti del genere affollano i social network, da Tik Tok a Instagram. Se anche fossero reali, rimane il loro scioglimento dal contesto – molto spesso, anche da un contesto vivente. La distinzione tra vero e falso, tra reale o fake – per quanto importante possa essere – non è l’unica! Esiste anche la differenza molto più ardua tra il dentro e il fuori da una relazione. E poiché un momentaneo ingrandimento-oltre-se-stessi corrisponde al nostro bisogno di immediata rassicurazione e di controllo, abbiamo paura di riportare lo sguardo sul contesto.

Autoritratto allo specchio sferico. Maurits Cornelis Escher, 1935, litografia

M.C. Escher, Autoritratto allo specchio sferico. 1935, litografia

Il primo amore

Ogni essere umano viene al mondo con un potenziale portato dall’io: la capacità del primo amore. Questo primo amore è puro inizio, cioè non ha ancora un oggetto, né una determinazione [N.d.T. Bestimmung, significa anche: destinazione, individuazione]. Non ha nemmeno una causa, è primordiale: origine del suo essere e della sua realizzazione. Il primo amore si mostra nell’attenzione come intenzione, che continua poi a svilupparsi come capacità. Nel bambino molto piccolo si mostra nel suo incondizionato aprirsi a tutto ciò che gli viene incontro, e già per questo il primo amore si differenzia da tutte le ulteriori attuazioni di tale capacità. Ciò però non significa che esso possa realizzarsi soltanto una volta. Poiché “inizio”, come puro mettere-in-movimento la potenzialità, che solo durante il movimento potrà trovare e troverà la propria destinazione, è ogni volta inizio e ogni volta nuovo. Dipende da come viene esercitata l’attenzione. Essa è forza di dedizione, che si esercita senza conoscere o stabilire prima ciò che a questa dedizione verrà incontro.

Nessuno ha vissuto e rappresentato con tanta comprensione questo potenziale dell’attenzione pura come Simone Weil. Nel segno della sua assoluta umanità solidale [Mitmenschlichkeit, un “farsi prossima”] non ha mai smesso, di seguire anche in se stessa le tracce della fonte originaria di ogni umana forza creatrice.

In L’ombra e la grazia scrive: «La facoltà creatrice nell’essere umano scaturisce dalla più elevata attenzione, e questa attenzione più elevata sarà sempre attenzione religiosa. La misura di genialità creativa di un’epoca è strettamente proporzionale alla misura dell’attenzione più elevata, dunque, alla misura di religione autentica in un’epoca». E anche: «L’attenzione depurata in tutto e per tutto da ogni aggiunta è preghiera».[i]

In un breve testo intitolato Che cos’è il contemporaneo? il filosofo italiano Giorgio Agamben scrisse quanto segue: «Contemporaneo è chi non si lascia accecare dalle luci del suo tempo e riesce a scorgere in esse la parte di ombra. […] Chi osserva l’oscurità del suo tempo come una questione che ha a che fare con lui. Come qualcosa che si rivolge a lui ancor molto più di ogni luce, e che lo riguarda in particolare. Contemporaneo è chi riceve in pieno viso il fascio di tenebra che proviene dal suo tempo». [ii]

Vocazione di San Matteo (1599-1610 Michelangelo Merisi detto Caravaggio)

Vocazione di San Matteo (1599-1610 Michelangelo Merisi detto Caravaggio)

In questo scritto, nato durante un anno in cui era docente all’Università di Venezia, Agamben esorta a porsi faccia a faccia con l’oscurità, a volgere il proprio viso all’oscurità, di modo che non venga abbandonata la luce che si dibatte sparpagliata in essa. Già per il fatto che ci si rivolge completamente alle tenebre, la luce ottiene la possibilità di un nuovo inizio, cioè la possibilità di raccogliersi ancora e di darsi forma nel proprio luogo di origine, a nuovo – come se fosse la prima volta.

Quel che Agamben ritrae è uno spostare radicalmente la visuale [Blickwechsel], che in modo del tutto diverso si può trovare anche in Rudolf Steiner come trasformazione della visione [Blickwandel]: dal fatto al sintomo, da ciò che è divenuto a ciò che è in divenire.

«Da precedenti conferenze tenute su questi argomenti, ci è noto che per la scienza dello spirito la storia, normalmente intesa, va trasformata in uno studio di sintomi. Questo significa che quanto di solito si chiama storia e s’insegna nei manuali scolastici non rappresenta ciò che vi è di realmente importante nell’evoluzione dell’umanità, ma va soltanto considerato come una serie di sintomi superficiali; attraverso questi si deve penetrare con lo sguardo entro le profonde origini degli avvenimenti, e in essi si rivela quale è la realtà del divenire umano.

Mentre di solito la storia considera gli avvenimenti nel loro valore assoluto, noi li esamineremo soltanto come qualcosa che rivela il corso più profondo e vero delle cose, qualcosa cioè capace di svelarle, quando sia esaminato in modo giusto».[iii]

Tre mondi. Maurits Cornelis Escher, 1955, litografia

M.C. Escher, Tre mondi. 1955, litografia

Ciò che qui Rudolf Steiner chiama “avvenimenti storici”, quell’evento che è come qualcosa caduto fuori dal contesto, ha da trasformarsi in una direzione dello sguardo [Blickrichtung] in cui possa svelarsi la realtà nel divenire dell’umanità. Si tratta di invertire la direzione dello sguardo. In questo senso, ogni sguardo sul divenire è al contempo un nuovo inizio. Ciò che è in divenire per sua natura non può venir ingrandito, ogni ingrandimento andrebbe ad alterare ciò che è in divenire: lo porterebbe ad arrestarsi. Con lo sguardo rivolto a ciò che è in divenire non è possibile isolarsi [absondern] né separarsi da esso.

Il secondo amore

Scoprire in sé la possibilità dell’isolare-se-stessi rappresenta il primo passo sulla strada che va dallo stare a guardare alla contemporaneità. Il primo amore, col quale sono venuto al mondo, mi apre la possibilità di riconoscere pienamente questo: è una conoscenza del male, perché l’essere del male si chiama isolamento, isolamento da un nesso vivente. Il male, per quanto si sia espresso come fatto ed evento, è sempre là. Alla sua presenza mi desto. Lo percepisco come prima, ora però mi si rivela che io porto in me, come facoltà, la possibilità di ogni forma di male. In merito a questo Rudolf Steiner parla di “predisposizione” [Neigung] e di “iniziazione al mistero del male”.

Al mondo non esiste alcun atto malvagio al quale, nel suo inconscio, non abbia predisposizione ogni essere umano in quanto appartenente al quinto periodo postatlantico. Se in un caso o nell’altro essa conduca poi esteriormente a un’azione malvagia, dipende da fattori del tutto diversi dalla disposizione stessa.[iv]

Come posso riconoscere questa propensione dentro di me? Sono in grado di farlo? Infatti, conoscere il male in me come “predisposizione” non è lo stesso che prendere atto delle espressioni del male fuori di me.

Si tratta di un incontro, che può avere luogo solo in me. Io sono l’unica persona che può realizzarlo e come tutti gli incontri ha bisogno di uno spazio, di uno spazio interiore che soltanto io posso creare. È uno spazio nel quale posso ascoltare e dove può crearsi una risonanza. Allo stesso tempo, è anche lo spazio in me dove mi aveva bloccato l’impotenza, là dove non potevo più andare avanti. Ma poiché ho cambiato la direzione del mio sguardo, questo spazio torna ad aprirsi. L’insostenibile resta insostenibile. E anche ora non riesco a sostenerlo. Però posso restare desto, posso restare lì, fosse anche solo per un istante.

Nel momento in cui riconosco il male dentro di me si mostra la tragedia del mio tempo. Vengo iniziato all’essere degli eventi attuali e questo essere porta l’impronta del male. Ora però mi trovo faccia a faccia con gli eventi attuali, senza un oculare tra me e loro. La tragedia acuta o cronica che percepivo da spettatore non è più soltanto la mia, bensì è la tragedia del tempo. Non soltanto io conseguo questa conoscenza, ma anche essa si svolge in me; diventa vera.

L’esperienza dell’impotenza, nella quale non potevo sostenere me e nella quale non ci riesco tuttora, mi ha reso capace di accogliere e di sostenere altro da me. Per la durata di un momento la separazione è sparita. Divento uno che sostiene insieme agli altri, rendo testimonianza al mio tempo e altri sostengono me.

Inizia il secondo amore: «L’amore è stato liberato, e non c’è più separazione». (Novalis)

Traduzione di Alessandra Coretti

Pietà Rondanini (Michelangelo Buonarroti, 1552-1553)

Pietà Rondanini (Michelangelo Buonarroti, 1552-1553)

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[i] Simone Weil, L’ombra e la grazia, Bompiani 2002

[ii] Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo?, Nottetempo 2008

[iii] Rudolf Steiner, prima conferenza, 18 ottobre 1918 (L’inizio degli impulsi dell’anima cosciente) in Lo studio dei sintomi storici, O.O. 185, Editrice Antroposofica

[iv] Ibidem, conferenza del 26 ottobre 1918