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Guerra – cosa succede tra le persone?

Articolo di Louis Defèche, pubblicato in Das Goetheanum il 20 luglio 2022

Cari lettori,

il contrario della guerra è la pace? Il dilemma della guerra è antico come il mondo, e non accenna a perdere nemmeno un briciolo di attualità. La guerra ai nostri giorni è costantemente presente, e non soltanto a causa del vicino conflitto in Ucraina: è presente nell’idea di evoluzione, nelle nostre economie competitive, nell’impulso a difendersi dal male e nei rapporti tra le persone. Nemmeno la fratellanza è una concreta garanzia di pace, se non nasce da un intenso lavoro spirituale condiviso.
Con questi temi si cimenta l’articolo di Louis Defèche, che vi proponiamo qui di seguito in traduzione: una documentata riflessione che accompagna le ombre con momenti di luce dirompente – momenti che non vogliamo perdere – e ci ricorda che agli antipodi della guerra, prima ancora della pace, vi è l’amore.
Buona lettura!
Alessandra Coretti

Louis Defèche ha studiato psicologia e arte della parola. Dopo molti anni di esperienza in ambito artistico, ha circoscritto la sua attività al lavoro di traduttore e di redattore per il settimanale Das Goetheanum. Suoi interessi particolari sono la spiritualità nell’età moderna, la relazione tra l’essere umano e la tecnica, la storia del movimento antroposofico.

Kephisodotos, Eirene e Ploutos

La questione della guerra e della pace impegna l’umanità da millenni. Già il commediografo greco Aristofane prese posizione contro la guerra, quando scrisse l’opera intitolata La pace. Di fatto, sarebbe auspicabile che la civiltà, grazie al proprio sviluppo tecnico e morale, imparasse a evitare le distruzioni causate dalle guerre – ma le cose non stanno così. A partire dal XX° secolo la guerra ha assunto una forma nuova e ancora più spaventosa. Alla luce di questa considerazione è importante riflettere sulle origini della guerra e comprendere il perché, fin dall’inizio e in ogni sua aspirazione, il movimento antroposofico si caratterizza come un movimento di pace.

Era il 14 agosto 1898 quando venne prospettata la prima conferenza di pace dell’Aia. Il ministro degli esteri dello zar Nicola II indirizzò una lettera al papa Leone XIII informandolo del piano per un congresso internazionale con lo scopo di «porre fine all’interminabile corsa agli armamenti e cercare mezzi e strategie per scongiurare le calamità che minacciano il mondo intero». Il risultato di questa iniziativa furono ulteriori congressi e progetti per creare i presupposti per una pace nel mondo, poi la nascita della “Corte permanente di arbitrato” all’Aia, una nuova istituzione per evitare i conflitti, e in seguito il Palazzo della Pace, futura sede della Corte di giustizia. Il Palazzo della Pace all’Aia, con i suoi ornamenti dedicati alla divinità della pace Irene, venne inaugurato nel 1913. Nello stesso anno venne posata anche la pietra di fondazione del primo Goetheanum, a sua volta un edificio ispirato a obiettivi di pace mondiale. Tali importanti iniziative non impedirono tuttavia che scoppiasse la Prima guerra mondiale nell’anno seguente, e poi la Seconda e tutte le altre guerre che si sono susseguite e che infuriano ancora oggi. Afghanistan, Irak, Jugoslavia, Siria, Yemen, Ucraina…
Di fronte a questa inarrestabile spirale di violenza, odio e distruzione può prendere il sopravvento il senso di impotenza. La guerra – o anche soltanto il pericolo di una guerra imminente – ci impone delle domande esistenziali. Ci interroga su ciò che è umanità. Al di là delle giustificazioni o dei pregiudizi dell’uno o dell’altro partito, la guerra pone una domanda all’umanità intera. Senza dubbio è importante indagare le origini dei conflitti, come pure gli sviluppi delle relazioni diplomatiche, la storia della formazione degli Stati e anche le differenze tra culture e religioni, ma tutto questo non risponde alla domanda sulla guerra da una prospettiva umana generale. Nel momento in cui assumiamo il punto di vista dell’umanità nel suo insieme, non sono più le attribuzioni di colpa a essere rilevanti, bensì il fatto che possiamo sentirci tutti responsabili, e il sentore che siano all’opera forze più profonde, che celano in sé la guerra come potenziale e delle quali la guerra esteriore non è che un sintomo.

I germi della guerra
Nel marzo 2022, allo scoppio della guerra in Ucraina, il politologo italiano Riccardo Petrella, pacifista e attivista per i diritti umani scrisse:

«Lo spirito di guerra è intrinseco all’economia dominante. L’economia di mercato finanziarizzata ci ha educato alla guerra, ci ha educato a pensare, a cooperare e a partecipare alle guerre: per il petrolio, il grano, i computer, i media, i container, i vaccini, gli smartphones, le automobili, il riso, le banane, le università; per le reti, i brevetti, l’intelligenza artificiale, per lo spazio. La guerra è nelle nostre teste, in varie forme e parole: competitività, redditività, leadership, numero 1, conquista del mercato, resilienza, adattamento, innovazione…» (1)

Già nel 1933 la filosofa francese Simone Weil, che era attiva in cerchie rivoluzionarie marxiste e osservava l’avanzata del totalitarismo e del fascismo, propose un’analisi simile nelle sue Riflessioni sulla guerra. Anche a suo parere, nelle sue strutture fondanti la società moderna è costruita al servizio della guerra. L’oppressione della classe operaia mediante l’ingranaggio dell’industria capitalistica in guerra raggiunge il suo apice. Ancor prima che la guerra si scateni sui campi di battaglia, il suo germe è riposto nelle società moderne e nella loro vita economica, nella modalità in cui gli esseri umani si organizzano e danno forma alle loro reciproche interazioni: «La guerra moderna si differenzia in modo assoluto da tutto ciò che sotto i regimi passati veniva definito con questo nome. Da una parte, la guerra è soltanto il prolungamento di quell’altra guerra che si chiama concorrenza e che fa della produzione stessa una semplice forma di lotta per la supremazia; dall’altra, tutta la vita economica contemporanea è orientata verso una guerra futura». (2)
Nel suo libro Schiavitù e libertà dell’uomo il filosofo russo Nikolaj Berdjaev, nel 1946, accanto al capitalismo indicava anche il potenziale di guerra proprio del nazionalismo, che fino ad oggi è saldamente ancorato nelle menti e nelle strutture statali: «Nel momento in cui il potere dello Stato e della nazione viene annunciato come il massimo valore, la guerra è già praticamente dichiarata, tutto è già predisposto a quella possibilità, sia dal punto di vista spirituale che dal punto di vista materiale, e la guerra può scoppiare in qualsiasi istante.». Ma l’autore porta anche l’attenzione su una certa “atmosfera psichica”:

«Il regime capitalista sarà sempre causa di guerre, e dietro a governi con tendenze pacifiste ci saranno sempre quelli che le preparano commerciando con cannoni e gas mortali. La guerra ha come presupposto una determinata atmosfera psichica, che si può creare in diverse maniere, e spesso in modo impercettibile. La stessa paura della guerra può generare un’atmosfera che favorisce una politica di guerra. Timore e paura non portano mai a nulla di buono». (3)

Mediante concorrenza e lotte per il potere l’atmosfera della guerra pervade la società capitalista, soprattutto quando a ciò si sommano tendenze nazionalistiche che individuano nello Stato il valore più alto. Oggi proprio questi fattori sociali sono diffusi quasi dappertutto nel mondo. Al di là delle circostanze esteriori, si tratta di come le persone pensano, di ciò che accade nelle loro menti, nei loro cuori e nell’atmosfera della vita collettiva umana. In questo modo veniamo rimandati a noi stessi, alla nostra vita interiore.

Come si può pensare l’evoluzione?
Nell’autunno del 1905 Rudolf Steiner tenne due conferenze pubbliche a Berlino sul tema della “guerra” (4). Sorprendentemente egli non prende l’avvio dalle questioni sociali ma si volge invece alle scienze naturali, segnalando il fatto che a partire da Darwin il concetto di “lotta per l’esistenza” permea completamente la nostra rappresentazione dell’evoluzione di ciò che è vivente. Secondo tale rappresentazione lottare per sopravvivere sarebbe il motore principale dell’evoluzione. In coerente linea con questa idea, il darwinista Haeckel considerava la guerra una leva culturale: la lotta rende forti e il debole è destinato all’estinzione – nella sua ottica, una benedizione per la cultura. E qui ci spostiamo dalle scienze alla questione sociale: questa concezione – tuttora ampiamente condivisa – venne definita dai suoi critici come “darwinismo sociale”. Proprio questa visione (tipo di comprensione) della lotta di tutti contro tutti determina un’atmosfera che compenetra la vita interiore delle persone.

Bullismo e darwinismo sociale

Come contrappeso a questo concetto di evoluzione, Steiner sposta l’attenzione su un ricercatore, lo zoologo russo Karl Fëdorovic Kessler, che sosteneva la tesi diametralmente opposta: la leva dell’evoluzione non sarebbe la lotta per la sopravvivenza, bensì il “mutuo aiuto”. Tale teoria si basava sulle ricerche e osservazioni sulla fauna dei vertebrati che Kessler aveva svolto in Ucraina, lungo il Dnepr e sulle coste del mare di Azov e del mar Nero, e che aveva pubblicato nel libro Storia naturale delle province del distretto formativo di Kiev. Secondo lo studioso, gli esseri viventi che continuano a evolversi al meglio sono quelli che sono in grado di aiutarsi a vicenda. Questo assunto – cooperazione anziché competizione – si è poi sviluppato in una generale corrente di pensiero. (5)

Borneo, un orango aiuta l’uomo

Con la sua teoria dell’evoluzione basata sull’aiuto reciproco Kessler influenzò il pensiero sociale mediante il geografo e anarchico russo Pëtr Alekseevi Kropotkin, a sua volta citato da Steiner nella stessa conferenza. Kropotkin fu il fondatore del comunismo libertario, definito in particolare nella sua opera aiuto reciproco nel mondo animale e umano. Il suo impegno politico ebbe come conseguenza la prigione, in Russia e in Francia. La filosofia di Kropotkin ottenne fama mondiale ed egli divenne uno dei padri dell’anarchismo; le sue idee riuscirono a concretizzarsi al meglio proprio in Ucraina, tra il 1917 e il 1922, per opera dell’anarco-comunista Nestor Machno e del suo movimento, la Machnovšcina. Si tentò allora di costruire tutto sul modello del mutuo aiuto, sciogliendo lo stato unitario e introducendo strutture federali e consigli autonomi che raggruppavano comunità cooperanti in modo paritario e libero. Questo tentativo, tuttavia, non riuscì a resistere a lungo alla pressione delle grandi potenze confinanti.

Marte e Mercurio
Non affermava Eraclito che la guerra, il conflitto, fosse il padre di tutte le cose? La lotta per la sopravvivenza, che sta alla base della guerra, può esser vista come necessario principio formatore nel contesto dell’evoluzione. Proprio come il bambino impara a dire “no!”, ad affrontare il mondo e a imporsi come individuo, così gli esseri umani hanno percorso un processo di autoaffermazione e di individualizzazione per poter esperire il proprio “io”, la propria autonomia morale e la libertà. Questo principio della contrapposizione, che è necessario in una certa fase dell’evoluzione, rimanda alle forze di Marte, il dio della guerra. Tuttavia, quale portatore del principio ultimativo della guerra, della guerra di tutti contro tutti, a un determinato stadio della sua evoluzione Marte esige che gli venga affiancato un altro principio, capace di immettere un nuovo impulso in questa evoluzione. Questo nuovo principio, che non si fonda sullo scontro e sulla lotta, bensì sullo spazio intermedio [Zwischenraum] tra gli esseri, è legato a Mercurio, il messaggero divino, il dio che unisce e che incoraggia la comunicazione e il fluire del movimento. Questo principio è legato tanto al dialogo, all’interazione e allo scambio, quanto alla medicina e alla guarigione, in quanto aiuta a superare gli impulsi di tipo unilaterale, i vicoli ciechi dell’isolamento e le chiusure, come anche a risolvere contrapposizioni e conflitti.
A livello immaginativo si può riconoscere questa polarità fin nella visione scientifica della materia che si è sviluppata nel corso del XX° secolo, cioè nel dualismo di onde e particelle. Da una parte, la materia può venir considerata come somma di corpuscoli, di unità sempre più piccole centrate in sé e separate le une dalle altre, che, come mattoncini, si agglomerano dando forma al mondo materiale. Esse rappresentano le forze formatrici proprie del passato. Ma, allo stesso tempo, la medesima realtà materiale può venir rappresentata anche in forma di onde e di vibrazioni. Allora si spalancano prospettive e spazi di vita: onde e vibrazioni sono infatti espressione di interazioni, e si trovano in uno spazio intermedio che consiste di intervalli, di musicalità.

Fine prima parte

Guariento di Arpo, Arcangelo Michele

Note

1) Riccardo Petrella, Per porre fine alla guerra in Ucraina occorre impedire le nuove guerre (pressenza.com)

2) Simone Weil, Riflessioni sulla guerra, in Incontri libertari, Milano 2001 (trad. e cura Maurizio Zani).

3) Nikolaj Berdjaev, Schiavitù e libertà dell’uomo, Bompiani 2010.

4) Rudolf Steiner, Die Welträtsel und die Anthroposophie (Gli enigmi dell’universo e l’antroposofia), O.O. 54.

5) Vedi per es. Eric Tariant, Nous sommes l’espèce la plus coopérative du monde vivant, in Le Temps, 2, gennaio 2018.