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L’EPOCA DELL’IPERMORALISMO

Stefan Krauch, Ho deciso di vedere le cose in modo diverso

Cari lettori,

fin da bambini ci è stato insegnato che si deve agire in modo “morale”. Ma cosa accade quando si sconfina in forme di ipermoralismo?

Alexander Grau, filosofo e autore tedesco, nel suo saggio Hypermoral. Die neue Lust an der Empörung, Claudius Verlag 2021 (Ipermoralismo. Il nuovo piacere di indignarsi) ha sviluppato un’analisi di un fenomeno che è ben lontano dall’esaurirsi: il moralismo pervasivo è divenuto l’ideologia portante del nostro tempo. Questa settimana abbiamo scelto di percorrere alcune delle sue riflessioni, espresse in vari saggi e interviste, che riportiamo in forma discorsiva qui di seguito con l’intento di ascoltare con sensi più desti la voce del presente. Troverete anche delle citazioni che vorrebbero restituire, accanto ai concetti, la vivezza e la verve del libero pensatore che li esprime.

La società in cui viviamo – Grau si riferisce in particolare al mondo occidentale – è affetta dall’ossessione per l’ottimizzazione di sé, dalla fede negli “esperti” e da una saccenteria che spesso assume tratti missionari. Fondamentalmente, il comportamento sociale collettivo è determinato dalla pretesa di … fare tutte le cose “giuste”: separiamo attentamente i rifiuti, ci lasciamo prescrivere le migliori forme di mobilità e il più gratificante o salutare rapporto con il nostro corpo mediante training mirati; sempre più spesso scegliamo un’alimentazione vegetariana o vegana, siamo molto sensibili alle questioni di minoranza e di genere e professiamo di tenere in gran conto la solidarietà e la tolleranza. Al contempo, con la nostra cancel culture siamo pronti a colpire chi non la pensa come noi. Da dove deriva questo stato di cose, e dove rischia di condurre?

Buona lettura!
Alessandra Coretti

Alexander Grau, nato a Bonn nel 1968, ha poi studiato filosofia, linguistica e storia moderna ed è stato premiato per la sua tesi su Hegel alla Libera Università di Berlino. Dal 2003 lavora come giornalista freelance ed editorialista su varie testate, dal 2015 cura la rubrica Grauzone per Cicero Online. È uno dei più originali e apprezzati intellettuali tedeschi. Oltre che di argomenti di politica, cultura, religione e scienza, si occupa anche di aspetti della cultura quotidiana, di ciò che è moda o stile di vita.


Una morale autoreferenziale

Sempre più ambiti della vita, che prima non rientravano nel dominio della morale, oggi sono fortemente influenzati da essa e dall’esercizio dell’indignazione (che è quasi una nuova voluttà) verso ciò che si discosta da quanto è collettivamente ritenuto corretto. In questa tendenza si cela il pericolo, paradossale, di soffocare il pluralismo e la libertà di parola proprio nel nome degli stessi.

A partire dagli anni 2000 si è imposta una forma di “morale autonoma”, che si presenta apparentemente libera da ideologie e avanza, con intransigenza, una pretesa di oggettività.

Grau, Ipermoralismo

Quello che Grau definisce “ipermoralismo” è più che il semplice avere una “forte morale”: si tratta del processo per cui la morale stessa ottiene un significato diverso e nuovo all’interno del discorso sociale. Ma partiamo dall’inizio: dal punto di vista evolutivo, la morale è un elemento imprescindibile, presente fin dagli albori dell’umanità (così come la sua costante messa in discussione). Dalle riflessioni sulla morale si è sviluppata in varie forme l’etica nel mondo classico, con il fine pratico e civilizzatore di fondare razionalmente valori di carattere morale degni dell’essere umano. In seguito, la diffusione del cristianesimo ha stabilizzato un “sistema di legittimazione” universale.

Con morale si intende dunque un insieme di consuetudini e di norme riconosciute come regole di comportamento da un individuo, un gruppo, una società, una cultura. Altro è il moralismo, secondo una definizione della Treccani: «tendenza a dare prevalente o esclusiva importanza a considerazioni morali, spesso astratte e preconcette, nel giudizio su persone e fatti della vita, della storia, dell’arte; atteggiamento di rigida e talora eccessivamente conformistica difesa dei principi della morale comune».

L’ipermoralismo [Hypermoral] è un prodotto della secolarizzazione avviatasi nel XIX° secolo e del tramonto delle grandi concezioni del mondo del XX°: questi potenti sismi culturali hanno scavato una sorta di lacuna normativa, che alla fine è stata colmata dalla morale stessa.

Il “moralismo moderno” altro non è che la morale divenuta ideologia, e in questo l’autore riconosce un fenomeno senza precedenti. Se storicamente la morale è sempre derivata da concezioni del mondo superiori (in primo luogo dalle religioni), il moralismo come ideologia non conosce più istanze di quel tipo, motivo per cui tende per sua natura alla radicalizzazione. Con il termine “ipermoralismo” si identifica esattamente questa tendenza.

Morale e valori

La morale non si basa necessariamente su “valori”, bensì si orienta tradizionalmente a un sistema di “norme” che sono state trasmesse, e il cui mancato rispetto viene sanzionato collettivamente. I valori, al contrario, affiorano nella filosofia soltanto nel XIX° secolo, cioè quando si tenta per la prima volta di sviluppare una “filosofia dei valori”. Questa nuova forma di pensiero è legata alle trasformazioni sociali e al pluralismo che hanno inaugurato l’epoca della modernità e della seconda rivoluzione industriale, nella quale non aveva più presa la morale “classica” del passato. Al posto di quella dovevano necessariamente subentrare ordinamenti più flessibili e liberali, cioè «valori come regole morali per gente che non ha più norme».

L’ipermoralismo descritto da Grau, sebbene poggi su un concetto positivo di valore (sulla scia del pensiero sviluppato dal filosofo Max Scheler all’inizio del XX° secolo), tende in modo permanente a una “tirannia dei valori”. Considerata la forte carica emozionale a essi associata, la discussione intorno ai valori rischia di condurre a un’eccessiva tensione a livello sociale, nonché a conflitti di impossibile mediazione.

Il moralismo detiene un grande potenziale di “creazione di significati”, e in una società divenuta laica i movimenti di carattere politico-morale possono facilmente rappresentare dei derivati della religione.

«L’ipermoralismo è l’ideologia caratteristica delle società ricche. Ciò significa: in società dove l’individualismo, l’emancipazione e l’autorealizzazione sono i valori centrali, gli argomenti moralistici hanno un’alta priorità. La ragione è che le affermazioni che l’individuo fa sulla società possono essere giustificate solo moralmente. Quindi argomenti morali, un ‘gergo’ morale e valori come l’uguaglianza, l’umanesimo e la consapevolezza, giocano un ruolo centrale nei discorsi sociali delle società postmoderne». In Germania vengono aggiunti alcuni aspetti. «Nella tradizione protestante, la coscienza individuale e la moralità personale svolgono un ruolo importante. Poi, la secolarizzazione. L’ipermoralismo è la religione delle società secolarizzate. E la Germania è una società molto laicizzata. Dal punto di vista degli studi religiosi si può dire che il protestantesimo, più la secolarizzazione, più il politicamente corretto fanno l’ipermoralismo». E, infine, c’è la storia tedesca. «Naturalmente tutti questi bravi tedeschi sono in permanente lotta di resistenza contro Hitler, ma ottant’anni troppo tardi. Non devi essere un grande psicologo per capire che questi bravi tedeschi vogliono dimostrare di essere dalla parte giusta, dalla parte dell’umanità. Il puritanesimo di oggi è la logica conseguenza dell’edonismo. L’uno non funziona senza l’altro. Nessuno vuole vivere senza moralità. Le persone hanno bisogno di un orientamento normativo. E la certezza di essere dei bravi ragazzi».

Tali movimenti, oggi, diventano spesso un riferimento per la generazione più giovane, travolta dalle problematiche legate al cambiamento climatico, alla paura del futuro e alla ricerca di un corretto modo di agire nel mondo. Senza dubbio è uno sviluppo epocale e positivo il fatto che attualmente ci siano più sensibilità e consapevolezza di fronte a temi di grande portata; con l’avvento di Internet, tuttavia, lo spazio di risonanza si è ingrandito a dismisura e in modo incontrollato.

Se in passato ci si indignava davanti alla televisione o al bar contro i politici, i capi della finanza o qualche partito, oggi quelle stesse opinioni non rimangono più in famiglia o tra amici, bensì raggiungono intere comunità in rete. Ecco l’effetto che ne consegue: improvvisamente collidono ambienti sociali che fino a qualche anno prima non sarebbero mai nemmeno entrati in contatto. Questo scontro frontale infiamma enormemente gli animi, perché le persone non si sentono più comprese. Inoltre, è difficile sedare l’incendio dal momento che le “opinioni” infuriano con veemenza crescente e assumono un carattere identitario: nel mondo dei media chi non ha un’opinione di fatto non esiste.

Quasi sicuramente – di questo Grau è convinto – non ci sarà un ritorno a un’opinione pubblica meno omogenea, come era stato negli anni ’70 o ’80. Alcuni sociologi osservano che le nostre società occidentali continuano a tribalizzarsi, cioè che tornano a raggrupparsi in “tribù” (nel senso di ambienti sociali) caratterizzate dai valori culturali, estetici, religiosi, filosofici ed economici corrispondenti a ciascuna. La misura in cui queste società tribalizzate sono pacifiche dipende in modo considerevole dalla loro agiatezza: se esposte a pressioni economiche, comunità di questo tipo diventano presto ostili, e il livello dell’indignazione sale in modo esponenziale; al contrario, il benessere rende tolleranti e liberali. Sullo sfondo dei processi di trasformazione economica che sono già in atto, è tuttavia prevedibile che lo scontento sociale salirà ancora di molto. «Si prospettano tempi d’oro per l’indignazione, in tutte le sue forme e derivazioni…»

«… Tuttavia, anche l’indignazione per l’indignazione è indignazione… Quindi, le persone indignate che, ad esempio, calunniano i cosiddetti o presunti ‘buonisti’, anche loro non sono all’altezza, ovviamente. Funziona come un gioco tra ragazzi. Da un lato, abbiamo questo discorso altamente moralizzato, che va di pari passo con interi gruppi che vengono esclusi dal discorso o vengono messi in discussione moralmente. Ma la reazione a esso è ovviamente altrettanto spiacevole. L’indignazione per l’indignazione è anche indignazione. Non si reagisce quindi in modo sobrio e analitico, ma si cerca invece di mettere la museruola o screditare l’altra persona, in modo altrettanto sorprendente».

Immoralità e intolleranza

La funzione della morale non consiste nell’essere “buona” o nel piacere, ma nel fornire un orientamento. Nella storia dell’umanità essa subentra al posto degli istinti regressivi, rispetto ai quali ha il vantaggio di rappresentare un sistema di regole flessibile, che permette alle comunità di adattarsi ad ambienti molto differenziati. Tuttavia, una certa misura di immoralità è assolutamente necessaria affinché la morale non si pietrifichi. Oggi come ieri, l’anticonformista ha un ruolo molto prezioso nel sistema, in quanto garantisce la messa in discussione dei valori morali vigenti; inoltre, egli assicura anche che venga avviato un processo di adattamento.

Oggi vengono “moralizzati” sempre più aspetti della nostra esistenza (si pensi solo all’alimentazione o alla salute), e la politica non fa eccezione: nei dibattiti vengono discusse sempre di meno “questioni tecniche”, perché ogni discorso assume subito una coloritura fortemente normativa: un esempio lampante è il tema della transizione energetica o delle automobili elettriche.

«I Verdi in Germania sono l’ipermoralismo organizzato politicamente. I Verdi vogliono dettare alle persone come devono vivere: senza carne, sostenibile, multiculturale, sempre tollerante di tutto e, naturalmente, a basso contenuto di sostanze inquinanti. Le radici dei Verdi risiedono nell’ambiente edonistico-alternativo degli anni Settanta. Il puritanesimo verde di oggi è la logica conseguenza dell’edonismo alternativo di ieri. Nell’ambito della sinistra progressista, la moralità tradizionale è stata sostituita dall’umanesimo astratto. Si sogna un mondo politicamente corretto in cui il padre sensibile al gender nella sua auto elettrica da quarantamila euro si reca al supermercato biologico per comprare cibo vegano per la sua famiglia patchwork. Coloro che osano opporsi a questo ipermoralismo vengono rapidamente etichettati come privi di empatia, freddi o egoisti».

Pinocchio e il grillo parlante

Si è veramente tolleranti soltanto rispetto a ciò che è compreso nel perimetro della propria morale. Una decisa tendenza all’intolleranza si è manifestata intorno agli anni ’90, cioè quando gli ideali del ’68 avevano finalmente conquistato le masse. Già ben prima di quell’anno simbolico si era delineato chiaramente un processo di liberalizzazione all’interno delle società occidentali: di fronte alla grande velocità dello sviluppo tecnico ed economico degli anni ’50 e ’60, un “1968” era di fatto inevitabile, ma esso è stato tutt’al più la leva mediatica che ha ulteriormente accelerato certe trasformazioni già avviate. È caratteristico il fatto che solo gli aspetti borghesi-edonistici del ’68 sono stati accolti dalle masse, quindi la libertà sessuale, il consumo di droghe, l’ideale del godimento e l’industria del tempo libero.

Le società che sono invece vincolate ai concetti tradizionali di morale propendono all’ethos, alla limitazione personale e all’abnegazione. In contesti di questo tipo, la morale ordinaria è sempre stata fortemente determinata da un atteggiamento di rinuncia, che era anche espressione della poca disponibilità economica e di una società di classe nella quale il 90% delle persone svolgeva una funzione di servizio.

I grandi cambiamenti socioeconomici subentrati negli ultimi decenni hanno aperto nuovi orizzonti di esperienza, apportando benefici indiscutibili e nuove problematiche.

La nostra benestante società moderna si è definitivamente distanziata dall’ideale dell’essere a servizio e della rinuncia. L’uomo odierno non trova più la pienezza della vita nel sacrificio, bensì nella libera e creativa realizzazione di sé. La vita idiosincratica stessa diventa un ideale ed esige una morale orientata all’apertura. «Nessuno può venire escluso, la società dell’autorealizzazione è chiamata a tollerare tutto. Chi si oppone a tale visione va incontro a pesanti sanzioni – in questo, si individua un tratto assolutamente autoritario».

«A cosa andiamo incontro? Lo immagino molto bene, a una specie di “incubo”. Sarà un mondo delimitato e molto artificiale. Non sarà una dittatura. Le persone adoreranno questa società e penseranno che sia fantastica. Saranno manipolati a sentirsi liberi ed emancipati. Tutti saranno molto attenti e tolleranti, le persone si sentiranno superiori, progressiste e mondane. Non avranno più un’identità, ma identità mutevoli. Tutti saranno uguali. Saremo monitorati per assicurarci di mangiare le cose giuste, bere le cose giuste e fare abbastanza sport. Ci sarà un sistema di credito sociale che determinerà se ottieni un posto all’università e se avrai successo nella tua carriera. Devi aver dimostrato di non essere né sessista né razzista, osservato dal ministero dell’Uguaglianza e dei diritti umani. E per rendere la società più colorata, alle persone verrà probabilmente detto con chi possono avere figli».

I rischi per la politica e per il privato cittadino

Quando questo atteggiamento dell’ipermoralismo diventa consuetudine, ogni obiezione fattuale può venir screditata come “fredda”: «L’ipermoralista si trova sempre in una posizione retorica molto forte, dalla quale può facilmente squalificare il suo interlocutore definendolo inumano o non empatico». In politica è di conseguenza alto il rischio che si prendano decisioni in modo precipitoso o unilaterale; sul piano dell’esistenza pratica ciò si traduce nel pericolo che il singolo si ritrovi costretto in una vita che non lo gratifica e non lo rappresenta. Indipendentemente dalle simpatie normative che nutriamo, la “pretesa dogmatica” propria di questa attitudine rivela un tratto inquietante e comporta forme indirette di censura.

«Qual è l’obiettivo del politicamente corretto? Il problema è che molte persone hanno perso di vista il vero obiettivo del politicamente corretto: il potere. Credo che tra i sostenitori del politicamente corretto ci siano molte persone che in realtà vogliono solo il meglio, cioè tolleranza, linguaggio non violento – tutte cose molto lodevoli. Ma in realtà non si tratta di diritti umani, ma di stabilire il potere politico. Questo non deve essere ottenuto attraverso le elezioni, ma impadronendosi dell’opinione pubblica. Una volta stabilita l’egemonia attraverso le scuole, le università, i teatri, i cinema, la televisione e la radio, presto o tardi avranno anche la maggioranza nei parlamenti. E poi avremo la società diversificata, colorata, omogenea, monitorata e controllata con l’aiuto delle società di comunicazione».

Nelle attuali modalità del discorso politico, ragionamenti pragmatici o argomenti tecnici contano sempre meno, importa solo la ponderazione morale. In questo modo è nata una “monocultura moralistica, che di fatto detiene la sovranità del discorso». «Nei teatri, nei festival culturali, alla radio e in parlamento circolano sempre contenuti della stessa coloritura. Questo moralismo si permette di stabilire cosa sia una posizione democratica, mettendo così in pericolo la democrazia stessa, la libertà e l’individualismo. Il singolo deve infilarsi nel corsetto dell’opinione giusta e moralmente accettata».

A questo punto è lecito chiedersi: occorre una vera e propria dittatura per limitare la libertà di espressione? La democrazia, osserva Grau, è pur sempre un potere (anche se un potere della maggioranza); in quanto tale essa esercita costrizione, anche quando afferma di difendere la pluralistica libertà di pensiero. La sorte di chi in democrazia non si adegua all’opinione vincente è stata descritta in modo mirabile quasi due secoli fa, in un passo quanto mai attuale (Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, 1835):

«Chi detiene il potere in democrazia non dice più: O la pensi come me o sei morto. Egli dice: Tu sei libero di pensare in modo diverso da me, mantieni la tua vita e i tuoi averi. Ma a partire da oggi sei un forestiero tra di noi. Tu mantieni i tuoi diritti nella società civile, ma essi non ti servono più a nulla. Infatti, se ti candidi per rappresentare altri cittadini, quelli non ti sceglieranno. Se desideri avere la loro attenzione, faranno in modo di negarti anche quella. Tu resti tra gli uomini, ma rinunci ai tuoi diritti di umanità. Se ti avvicini ai tuoi concittadini, quelli ti schiveranno come un essere immondo […] Va’ in pace, ti lascio la vita. Ma essa ti sarà peggiore della morte».

In un’atmosfera che tende al “furore moralistico” – qui l’autore cita la condotta politica che si è manifestata, per esempio, nei contesti della pandemia, ma anche del cambiamento climatico e del conflitto tuttora in atto in Ucraina – la democrazia ha un ruolo sempre più marginale. «A cosa serve la democrazia se abbiamo ragione?». Se poi la politica cede l’ultima parola alla scienza, il dibattito può dirsi già concluso: la conseguenza logica è lo stabilizzarsi di una tecnocrazia, nella quale sono sufficienti pochi esperti capaci di stabilire quel che è giusto per l’intera collettività.

«Questo è il momento in cui occorre dire “NO” con decisione, perché un diritto della democrazia è anche quello di sbagliare, purché insieme, è il diritto che le deriva dalla sua natura di dialogo e confronto continuo, dalla sua forma mai conclusa. Una democrazia non si legittima per il fatto di prendere decisioni più giuste o più corrette di quanto potrebbe fare una tirannia, bensì per il fatto che prende sempre le sue decisioni mediante la valutazione di più prospettive, accettando il rischio di commettere degli errori. Il processo che conduce a un determinato risultato politico ha di fatto più valore del risultato stesso; ecco perché è fondamentale difendere la possibilità di dialogo, senza lasciar penetrare elementi di potere tecnocratico dalla porta secondaria».

Alexander Grau

Alexander Grau

Etica, moralismo e media

Un sano contrappeso a queste forme di moralismo è l’etica. L’etica, infatti, non può limitarsi a coincidere con il bene morale, bensì deve sempre considerare un doppio aspetto, «cioè che il bene ha lati buoni così come ha lati malvagi (e lo stesso vale per il male)». In questo esercizio interiore è fondamentale riuscire a prendere distanza dalle emozioni, per interrogarsi sulla funzione dei diversi valori, «per riconoscere che, specialmente nella tanto invocata società pluralistica, è assolutamente legittimo avere un ampio spettro di opinioni e di progetti di vita».

Il discorso di carattere moralistico ha un’enorme capacità di mobilitare gli animi; mentre esso agita i sentimenti, ci sgrava dal riflettere attivamente, perché «le norme morali formano il bacino di benessere in cui l’anima dell’uomo moderno sguazza spensierata». Questo aspetto concorre alla banalizzazione dei contenuti che meritano discussione e a una semplificazione intellettuale, ma anche a un’estrema ideologizzazione. Come si è imposta questa tendenza, pur all’interno di un sistema a vocazione democratica?

«La morale è stata semplicemente spostata dall’ambito privato all’ambito politico, e in questo modo la politica è diventata moralista. Soprattutto nell’ambiente progressista dei liberali di sinistra, alla tradizionale moralità si è sostituito un astratto umanismo, o meglio, umanitarismo. Esso offre un grande vantaggio: le sue norme morali hanno poco a che fare con la personale condotta di vita. Esso permette di vivere in modo edonistico e morale al contempo, perché in fondo siamo per la sostenibilità, contro lo sfruttamento, per la giustizia sociale e contro la discriminazione. Questo non richiede né coraggio né impegno personale: ecco perché è così seducente».

L’influsso dei media nella nostra vita quotidiana ha favorito in modo eccezionale l’avvento di queste forme di pensiero – d’altra parte (di ciò è fermamente convinto l’autore), i media non potrebbero avere altro effetto da questo. La funzione dei mezzi di comunicazione di massa, infatti (si tratti di notizie o di film di animazione), non consiste principalmente nell’offrire informazione, bensì intrattenimento; ciò che è scandaloso ed esagerato, come ciò che suscita indignazione, si vende meglio. Questo dato di fatto è purtroppo parte integrante della logica dei mass-media, ed è il motivo per cui essi si adattano perfettamente all’epoca dell’ipermoralismo. Inoltre, essi alimentano con massima efficacia la tendenza alla polarizzazione grazie alla semplificata contrapposizione di “buono” / “cattivo” che viene offerta agli utenti che si confrontano in rete.

Alla luce della crescente suscettibilità nell’opinione pubblica, sempre più persone hanno l’impressione di dover usare una certa cautela quando vogliono esprimersi. Come possiamo salvare il dialogo dal costante rischio di venir polarizzato in posizioni rigide e inconciliabili tra loro?

Nel contesto individuale, privato, familiare ognuno può sforzarsi di discutere il problema con la speranza di scongiurare la tirannia dei valori – tutti possiamo farlo, a costo, però, di rimanere “più soli”, come sempre accade quando si osa toccare argomenti scomodi.

«Occorre liberarsi dall’illusione che sia possibile cambiare tutto in qualsiasi momento: ciò non è possibile, perché questi fenomeni non sono il risultato di una luna passeggera, bensì il diretto prodotto della cultura che anima la nostra società post-industriale basata sul benessere tecnico e digitale e sul capitalismo globale».

Sicuramente, poi, le istituzioni hanno la grande responsabilità di mantenere quanto più possibile aperto e civile il dibattito pubblico attraverso i media. Questo potrebbe significare: dare ascolto a relatori “scomodi” o poco popolari anziché escluderli o denigrarli, fare in modo che vengano presentate sempre più opinioni. Le società occidentali, caratterizzate da un alto standard tecnologico ed economico, generano un moralismo dai tratti totalitari, e dispongono dei mezzi più efficienti per diffonderlo.

Il moralismo può venir troncato soltanto andando alla radice del problema, cioè «smettendo di volere a tutti i costi preservare il nostro benessere». E qui l’autore individua una questione spinosa: i nostri ideali di vita, così marcatamente improntati ai concetti di “flessibilità, creatività, internazionalità e globalizzazione”, sono intrecciati in modo troppo stretto al nostro sistema economico, cioè alla struttura che garantisce il nostro benessere e che compenetra la nostra mentalità comune [Alltagskultur]. Questo è il motivo per cui nessuno osa metterli seriamente in discussione.

Un passo così audace richiederebbe una filosofia nuova, una filosofia coraggiosa e profondamente rivoluzionaria – una filosofia della libertà. ...Che in effetti esiste già, stampata e nelle librerie da quasi 130 anni.

La filosofia della libertà - Rudolf Steiner - copertina

Se la si legge diviene chiaro come una eventuale messa in discussione della struttura economica, che garantisce il nostro benessere, non possa essere il punto di partenza di questa rivoluzione (e perché poi dovremmo essere meno egoisti?). Occorre rivoluzionare anzitutto il nostro stesso modo di pensare – ogni uomo con un po’ di buona volontà può farlo – si parte da lì, da un pensare trasformato. Così l’individuo, attraverso un cammino conoscitivo e di vita, potrà arrivare alla moralità libera dai condizionamenti della natura e della cultura. E allora riuscirà anche a trovare le idee e i modi per cambiare poco a poco la società in cui vive.

Post scriptum della redazione

Se siete arrivati a leggere fin qui, potrebbero interessarvi due brani tratti da altrettante… opere letterarie che s’illuminano a vicenda quando messe in relazione.

Il grande vecchio, Faust ormai centenario, immagina al sommo dell’esaltazione l’ultima sua grande opera! Poter costruire (una smart city da 15 minuti) una terra libera per uomini liberi, per donarla alla comunità umana.

Pronuncia queste parole appena prima di morire, intanto che i Lemuri di Mefistofele già gli scavano la fossa.

Come mi rallegrano i colpi delle vanghe! È la folla che mi serve. Essa riconcilia la terra con se stessa, pone confini alle onde, chiude il mare con rigido limite. … Una palude si estende là, ai piedi della montagna, e appesta tutto il conquistato. Eliminare il putrido pantano costituirebbe l’ultima, la suprema conquista. Aprirò agli uomini uno spazio perché vi abitino non già sicuri, ma liberamente operosi. Qui, all’interno, una terra paradisiaca; là fuori, infurii l’onda fino all’orlo!

Così, circondati dai pericoli, trascorreranno qui, il bambino, l’adulto, il vecchio i loro anni operosi… E vivere, su libero suolo, con un popolo libero! 

Goethe, Faust, seconda parte, scena “Grande cortile antistante il palazzo”, traduzione Amoretti

Così poi recita una visione del mondo molto nota, anche ai bambini che la imparano a scuola.

Siamo determinati a fare i passi audaci e trasformativi che sono urgentemente necessari per portare il mondo sulla strada della sostenibilità e della resilienza. Nell’intraprendere questo grande viaggio collettivo, promettiamo che nessuno verrà lasciato indietro. 

È quindi un’agenda delle persone, del popolo e per il popolo, in cui si attiva una collaborazione globale, basata su uno spirito di rafforzata solidarietà, concentrato sui bisogni dei più poveri e dei più vulnerabili.

Riassumendo alcuni capisaldi dell’Agenda 2030, si parla di proteggere il pianeta per trasferirlo alle generazioni future, per farle crescere in un ambiente sano senza delinquenza, senza più malattie, con una economia sostenibile che protegga la Terra dalle degenerazioni che ne hanno compromesso il clima. Prosperità per tutti, vincendo la fame nel mondo, costruendo una vita in armonia con la natura, dando luogo a società pacifiche, inclusive, operose, giuste e libere.

Fonti:

https://youtu.be/yfdJcTVo_OA intervista/video nella mediateca del sito www.mahle-stiftung.de

www.deutschlandfunk.de/lust-an-der-empoerung-moralismus-mit-totalitaeren-zuegen-100.html

www.derstandard.at/story/ con il titolo “Hier prallen Milieus aufeinander

https://www.ilfoglio.it/cultura/2019/07/15/news/quei-bravi-ragazzi-265358/

https://www.ilfoglio.it/cultura/2021/11/10/news/-la-monocultura-ideologica-oggi-e-la-grande-minaccia-in-occidente-parla-il-filosofo-grau-3349029/

https://meotti.substack.com/p/il-politicamente-corretto-propaganda