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SPIRITO UMANO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE – Parte 2

Rene Magritte - Il Doppio segreto

Che cosa comporta per noi oggi il grande incremento della digitalizzazione, accelerato ulteriormente dalla pandemia?

Continua dalla prima parte.

Il dialogo che riportiamo qui di seguito è tratto della serie di incontri online dell’inverno 2021 trasmessi da Dornach e intitolata “vita e società in cambiamento”. L’iniziativa è promossa dalla direzione del Goetheanum, con l’intenzione di offrire spunti di riflessione sull’antroposofia di fronte alle sfide del presente. Il dialogo originale è disponibile a questo link.

Relatori:

Edwin Hübner, per anni insegnante di matematica e oggi professore di pedagogia dei media all’università di Stoccarda;

Andreas Luckner, filosofo, docente presso l’università di Stoccarda;

Christiane Haid, direttrice della sezione delle Belle Lettere al Goetheanum.

Trascrizione e traduzione a cura di Alessandra Coretti

Seconda Parte

Ragionare sull’uomo – aggiunge il professore – significa anche ragionare sulla tecnica, che senza l’uomo non esisterebbe. Osservando l’evoluzione dell’umanità, si può riscontrare che alle sue conquiste spirituali si accompagnano quasi sempre momenti di evoluzione tecnica: si pensi, ad esempio, alla metà del XV° secolo e alla comparsa di una nuova coscienza e del primo libro stampato.

«Noi uomini ci trasponiamo all’esterno e quello che ora vediamo nella tecnologia, con le sfide e i pericoli che essa comporta, in fondo non è che l’immagine di noi stessi rispecchiata nella tecnica. … Rudolf Steiner ha chiarito che una delle prime e delle più importanti esperienze che l’uomo ha quando accede alla dimensione spirituale è il fatto di riconoscere se stesso nella propria verità, in ciò che a livello non cosciente vive in lui. Rudolf Steiner lo chiama il doppio. Accedendo allo spirituale incorro nel grande pericolo di imbattermi in illusioni, se non conosco abbastanza bene me stesso. Per questo i veri percorsi di formazione mostrano all’uomo la sua stessa immagine. E adesso ci troviamo a questo punto come intera umanità: vediamo noi stessi. E come facciamo a riconoscere in noi l’elemento umano e a svilupparlo ulteriormente? Attraverso le crisi. Attraversiamo delle crisi – e le supereremo».

Rene Magritte - Il Doppio segreto

La moderatrice: «Prima abbiamo citato quelle tre esperienze fondamentali, che nell’ottica del transumanesimo sono momenti di trasformazione, cioè malattia, vecchiaia e morte. Soprattutto malattia e morte sono oggi temi molto delicati: si tratta di esperienze estreme, nelle quali la nostra percezione abituale giunge a un limite ultimo o quantomeno alla sfida di una grande trasformazione. Mi ha impressionato constatare che proprio queste tre esperienze fondamentali sono state le esperienze archetipiche di Buddha prima che intraprendesse il suo percorso. È un caso? Si sa, infatti, che alcuni transumanisti hanno una forte affinità con il buddhismo. Sorge qui la domanda: fino a che punto l’ascesi o una certa ostilità nei confronti della fisicità abbiano un peso per il transumanesimo – perché è molto differente il caso di Buddha: egli, infatti, sceglie un collegamento diverso e nuovo con il mondo attraverso amore e dedizione».

Riprende il professore: «Nella sua quarta uscita dal palazzo, Buddha incontra l’asceta e arde dal desiderio di emularlo. Inizia allora a praticare l’ascesi in modo così estremo da rischiare la morte – forse questo è quello che facciamo oggi con la nostra fisicità (Leib) o con il nostro corpo. Buddha però scopre poi che bisogna dare attenzione alla fisicità. Oggi dobbiamo imparare a riscoprire la nostra fisicità, che consideriamo solo come un corpo e che rendiamo meccanica … Dobbiamo reimparare a stare in ascolto della nostra fisicità, a percepirla con attenzione; la dimensione fisica è infatti diversa dal corpo, nel fisico siamo immersi».

Il filosofo si pone una domanda: perché dobbiamo farlo?, perché questa sorta di imperativo? «La necessità effettiva si sta già imponendo. … Quello che possiamo imparare in questo periodo di enorme incremento della digitalizzazione, accelerato dalla crisi legata al Coronavirus, è proprio quanto sia importante adesso una fisicità realizzata, nella nostra epoca digitale». Non serve, dunque, uno stimolo così forte al dovere, perché questa riscoperta accade già da sé; in ogni lezione virtuale, in ogni seminario che non ha luogo in presenza si avverte la mancanza della fisicità e delle dinamiche di comunicazione che solo essa può rendere possibile.

«Ci ritroviamo davanti a un doppio, o meglio, davanti a una sfinge tecnologica che ci chiede: “Chi sei, uomo? Cosa ti muove?”. E scopriamo nella fisicità qualcosa di fondamentale e di importante. Anche se può sembrare paradossale, si potrebbe quindi dire che la digitalizzazione offre la grande chance di riscoprire la fisicità. In questo senso sono ottimista». Dal momento che oggi è inevitabile confrontarsi con la digitalizzazione, vale almeno lo sforzo per comprenderne il potenziale.

Secondo il professore, solo un’intensa attività di meditazione, più forte che nel passato, può creare una sorta di contrappeso alla dimensione digitale. Se ci si serve molto della tecnologia, è importante dedicare del tempo anche al raccoglimento (e anche questa esigenza si presenta necessariamente). Nonostante l’ottimismo, il professore esprime anche profonde preoccupazioni, consapevole che il suddetto equilibrio per un gran numero di persone non è possibile. Gli adulti hanno la responsabilità di combattere gli eccessi, come per esempio la dannosa computerizzazione delle scuole che espone troppo precocemente i bambini al mondo digitale.

La moderatrice osserva che nella dimensione digitale le categorie di spazio e di tempo perdono di significato. Come si può portare a coscienza l’effetto che ne deriva su un essere umano incarnato? Il filosofo Thomas Fuchs ha dedicato un brillante contributo a questo tema (Verteidigung des Menschen. Grundfragen einer verkörperten Anthropologie [In difesa dell’uomo. Domande fondamentali per un’antropologia incarnata]), sostenendo l’idea che l’essere incarnati è il presupposto dell’umano.   

Secondo il filosofo questo presupposto è oggi più comprensibile che mai. Soprattutto nell’ottica di una pedagogia che si serve dei media, è allora fondamentale definire come possono venir impiegati il tempo, lo spazio e le forze che si risparmiano grazie alla tecnica. Il professore aggiunge che la digitalizzazione può essere accolta con entusiasmo perché oggi, per la prima volta nella storia, esiste una coscienza globale, che è possibile solo attraverso i media. Tuttavia, l’essere umano ha bisogno di capacità particolarmente solide per difendersi dagli eccessi della tecnologia. In primo luogo, la disciplina: essere cioè in grado di resistere alla seduzione del flusso di informazioni che attirano l’attenzione dell’utente a ogni accesso a internet. Serve poi una grande capacità di concentrazione e di resistenza per interagire con una schermata, e in ultimo, bisogna avere interesse:

«Internet è uno spazio immenso disseminato di granelli d’oro, ma sommerso da un Himalaya di spazzatura. Bisogna essere capaci di cercare con sufficiente efficienza i granelli d’oro. Questo pone soprattutto l’ambito dell’educazione di fronte a una sfida enorme, perché è necessaria una solida cultura generale per separare il sensato dall’inutile».

In ottica pedagogica, le capacità necessarie per accedere in sicurezza alle tecnologie non si acquisiscono frequentando il mondo digitale, che offre risposte così velocemente, bensì si imparano con metodi analogici, con la creatività e l’impegno fisico. Le attività artistiche e manuali in età scolare hanno un peso molto concreto.

La moderatrice domanda: «In che rapporto sono il mondo della tecnica e il mondo dell’arte?».

È il filosofo a rispondere: in tempi antichi tecnica e arte non erano contrapposte, e infatti la parola greca techné le indicava entrambe. Si può indagare in modo storico e in modo sistematico la dinamica che ha portato alla loro separazione. Oggi per “arte” intendiamo un’arte libera, che non è vincolata a uno scopo o a una commissione.

Christiane Haid aggiunge: «Uno degli aspetti essenziali del processo artistico è che esso lavora con qualcosa che non è direttamente presente.

 Non si sa come sarà ciò che si mette in opera artisticamente. Si può aspettare a lungo, si può anche fallire (si pensi per esempio a Rilke, che dovette attendere 10 anni fino a che gli fu possibile la continuazione delle Elegie duinesi): impensabile, se si adotta una prospettiva razionale e orientata a un risultato specifico».

La non disponibilità, l’attesa e l’imprevedibilità connaturate al processo artistico trovano poco spazio nel concetto di vita tecnicizzato che oggi è dominante. Servono molta forza e volontà di convinzione per rendere evidente il valore del processo artistico, che oggi viene troppo spesso minimizzato come intrattenimento o bene di lusso, mentre in realtà è legato alla più profonda essenza dell’uomo.

Il professore fa il punto su alcuni aspetti pedagogici: «Rudolf Steiner ha spesso ripetuto ai pedagoghi che quello che abbiamo a disposizione come pensiero contiene forze che sono giunte alla fine. Quale fu la loro origine? Se si tenta di prestare loro ascolto interiormente, si può percepire che sono forze prenatali che vengono condotte fin nella fisicità, formano il cervello e gradualmente (dall’età di 7-8 anni) generano il pensiero di carattere immaginativo (fino ai 12 anni). Da questo tipo di pensiero nasce la tecnica, cioè l’analisi e l’elaborazione del mondo nel suo aspetto di elemento divenuto, concluso. Il tratto che nell’uomo è collegato alla volontà si orienta invece al futuro. Tutto ciò che l’uomo fa è una sorta di inizio che troverà uno sviluppo del tutto nuovo e completo dopo la morte. L’uomo vive tra queste due polarità e può portare la volontà nella sua vita di rappresentazione – dunque può modificare il suo pensiero, che diventa plastico, diventa fantasia». Questa, conclude il professore – è la forma di pensiero che l’uomo deve raggiungere, e a quel punto nascerà una nuova tecnica, non puramente materialistica. Con ottimismo egli ne intravede grandi applicazioni in futuro, e nota che alcuni approcci già esistenti nel campo dell’agricoltura biodinamica sono molto incoraggianti.

La moderatrice riassume: «Si potrebbe dire che l’antroposofia è come una contrapposizione al transumanesimo nel senso che in essa l’intenzione di trasformare e perfezionare l’uomo viene compresa come la tendenza a un miglioramento animico e spirituale, come un percorso di formazione che plasma la volontà. L’intento di superare la limitazione inizialmente data alla nostra facoltà di conoscenza nell’antroposofia passa attraverso le forme della conoscenza superiore, dove trova espressione in modo molto diverso che nel transumanesimo».

«Io credo che non sia necessario parlare di “superamento”» specifica il filosofo «perché proprio la trasformazione di sé è ciò che distingue in modo radicale l’approccio dell’antroposofia da quello del transumanesimo. Nel transumanesimo la trasformazione passa per l’esterno, nell’antroposofia passa invece da dentro. Il transumanesimo è davvero una sorta di doppio, e proprio nella nostra tecnica possiamo vedere cosa abbiamo bisogno di sviluppare».

Christiane domanda: «Come possiamo reagire concretamente, cosa possiamo contrapporre al contesto in cui oggigiorno veniamo in qualche modo precipitati?».

Il professore fa una riflessione sul fatto che il periodo delle chiusure dovute alla pandemia ha dato modo a molte persone di avere un inaspettato tempo a disposizione, di poter lavorare su se stessi. Sforzarsi di mantenere sempre acceso questo impulso all’autoformazione è di certo una delle risposte migliori al nostro presente.

Interviene il filosofo: «Perché devo “contrapporre” qualcosa a questo contesto, cioè mettergli qualcosa contro? Prendiamo di nuovo l’immagine della sfinge. Se il mondo digitale sta di fronte a noi come una sfinge che ci chiede: “Chi sei tu, uomo? Qual è la tua essenza?”, una contrapposizione all’elemento tecnico non potrà esserci di aiuto: la sfinge, che ha zampe di leone, ci raggiungerà sempre, e anche starle lontani non sarà sufficiente per sfuggire al suo balzo. È dunque meglio optare per l’altra via, cioè porsi davvero quella domanda e guardare la sfinge negli occhi. Questo significa restare presenti nella contemporaneità senza voler recuperare ideologie del passato».

La Sfinge

La moderatrice chiarisce: «Con “contrapposizione” intendevo “sovranità nei confronti dell’evoluzione tecnologica”, perché è necessaria una certa forza per mantenere la padronanza di sé senza soccombere al suo corso. Alla fine delle Massime Rudolf Steiner afferma che la tecnica, per suo essere, si colloca e si sviluppa nell’ambito della sub-natura, e che per l’uomo è necessario formare un contrappeso compensando quegli abissi mediante elevatezza spirituale. Sorge così una sovranità mediante la quale possiamo servirci della tecnica in modo che essa ottenga il suo posto senza plasmarci. Vedo l’equilibrio centrale nell’arte e nell’attività meditativa, in discipline e culture che devono venir sviluppate intensamente, affinché anche la crisi ecologica possa venir affrontata con uno spirito diverso da quello dei pensieri puramente tecnici: in caso contrario, verrebbe ulteriormente intensificato proprio il tipo di pensiero che ha come conseguenza la distruzione della natura».

Conclude allora il filosofo:

«Allora, anziché alla contrapposizione pensiamo alla formazione di un contrappeso, a un bilanciamento con compensazione: quanta più tecnica, tanta più arte e meditazione».

Pensieri dell'anima

* Vogliamo concludere anche noi questa conversazione riportando le ultime tre Massime Antroposofiche, dedicate appunto alla tecnica, accompagnandole da un’esortazione di Rudolf Steiner: E l’uomo non vi deve scivolare assieme!

  1. Nell’epoca delle scienze che si inizia intorno alla metà del secolo diciannovesimo, l’attività culturale degli uomini scivola a poco a poco non soltanto nei dominii più bassi della natura, ma sotto la natura. La tecnica diventa subnatura.
  2. Ciò richiede che l’uomo trovi, sperimentandola, una conoscenza dello spirito per cui si innalzi di altrettanto nella natura superiore, di quanto affonda sotto la natura con l’attività tecnica subnaturale. Così si crea nell’interiorità la forza per non affondare.
  3. Una concezione naturale anteriore conteneva ancora in sé lo spirito col quale è collegata l’origine dell’evoluzione umana; a poco a poco questo spirito è scomparso dalla concezione naturale, e vi si è infiltrato quello puramente arimanico, riversandosi da lì nella civiltà tecnica.

*Nota del Centro.

FINE