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Rinnovare l’uguaglianza nell’ottica di una rinnovata passione politica (2a parte)

Liberte egalite fraternite ou la Mort

Conferenza di Mauro Vaccani del 5 marzo 2017
(seconda parte)

dal ciclo di tre incontri su:

L’antroposofia nella vita sociale – 2° incontro (non rivisto dall’autore)

   In base alle cose dette sin qui, mi chiedo che cosa ne penserebbe Rudolf Steiner. Per Steiner, il compito specifico della politica non è la gestione delle ferrovie, o delle scuole, degli ospedali e così via. Gestire questi ambiti non è affatto compito della politica, perché il compito della politica è stabilire – e quindi realizzare – qual è il giusto rapporto del criterio di uguaglianza nell’ambito dei diritti e dei doveri.

È evidente che oggi la politica è sovradimensionata e, occupandosi di ciò di cui non dovrebbe, è inesorabilmente inquinata.

Il primo male che Steiner individua è il sovradimensionamento. Bisogna quindi occuparsi di ciò che non deve condurre la politica a un inquinamento inesorabile:

1) le immense committenze economiche della politica generano strutturalmente corruzione. Immense committenze vuol dire che la politica fa girare un mare di soldi e non dovrebbe essere la politica a farlo.

2) la statalizzazione dei servizi culturali genera sacche di spreco e soprattutto di potere. La scuola, secondo me, che la conosco da 20 anni, è dominata dai sindacati e non certo dalla cultura o dalla didattica.

Con più tempo potrei portarvi dei casi di corruzione che derivano dall’ingerenza della politica nell’economia, e altri casi di depauperamento perché la scuola adesso sta letteralmente andando in malora proprio per essere finita nella sfera politica e non in quella culturale. Allora qual è la prima cosa da fare? Il primo proposito che si può realizzare, anche in piccolo (non solo a livello di un’amministrazione comunale come potrebbe essere questa di Torino) è provare a ridimensionare la politica, perché dovrebbe essere staccata da ciò che riguarda la cultura e da quanto è di competenza dell’economia.

Se cominciamo a tirarla fuori da questi due ambiti e a restituirla esclusivamente all’ambito dei diritti e dei doveri, nei confronti dei quali siamo persone maggiorenni che hanno uguale dignità, che hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri, troveremo più facilmente la giusta via.

Vorrei provare a fondare spiritualmente il triplice valore della libertà, dell‘uguaglianza e della solidarietà.

Naturalmente oggi parliamo soprattutto dell’uguaglianza, che è il valore della politica. Mi sono chiesto tante volte in questi anni: perchè la Triarticolazione non è nata, non è fiorita, non ha prodotto frutti?

Prima di tutto perché manca la conoscenza, e fin qui ci siamo. Poi, anche perché chi la conosce bene, e ne ha studiato le oltre 100 conferenze, non riesce a portarla nel sentimento e nella volontà: si è fermato alla questione ideologica, di puro pensiero. 

L’altra volta vi facevo l’esempio classico dell’eredità. Secondo Steiner, se le eredità affluissero nella sfera culturale sarebbe un’ottima cosa, ma non mi risulta che venga messa in pratica nemmeno da quelli che ne hanno conoscenza. Le nostre eredità affluiscono in automatico ai nostri figli o ai nostri nipoti o a chi vogliamo noi, ma non certo alla sfera culturale. Sono convinto che se l’idea della Triarticolazione si è fermata a livello intellettuale, non ha cioè pervaso né il sentimento né la volontà – è  rimasta, come direbbe Marx, una sovrastruttura – non compenetrando tutta la persona, è dovuto al fatto che noi non l’abbiamo fondata…  significa che non l’abbiamo messa a fondo come pietra di fondazione, come struttura del nostro essere.

Mi è tornato fra le mani un appunto di 40 anni fa, degli inizi degli anni ’80. In quel periodo Pietro Archiati, con un piccolo gruppo di giovani tutti intorno ai 20 anni, faceva lavori molto approfonditi. Non era impegnato nell’opera di divulgazione, ma nell’opera di studio; è stato forse la persona più studiosa che abbia mai incrociato in vita mia, andava a fondo nel suo lavoro. Ha costruito un parallelismo – e oggi mi sembra ancora più giusto di allora – fra i tre grandi valori della Triarticolazione sociale, che sono i tre valori della Rivoluzione francese (li scrivo qui alla lavagna: libertà, uguaglianza e fraternità o solidarietà) e le tre tentazioni, le loro contro-immagini negative, diaboliche.

Liberte egalite fraternite ou la Mort

   Il Cristo, all’inizio della sua vita attiva, come prima cosa si è scontrato con il diavolo e con le sue tre proposte, che Archiati ha chiamato contro-immagine 1, contro-immagine 2 e contro-immagine 3. Ha poi  aggiunto che nel Medioevo, per combattere le tre tentazioni, sono nati i tre voti che sicuramente molti di noi hanno coltivato nella loro incarnazione medioevale: la castità, l’obbedienza e la povertà, che sono i tre valori della Triarticolazione sociale.

Ci sono dunque tre tentazioni a cui abbiamo reagito, nella nostra precedente incarnazione, coltivando questi tre valori, questi tre voti: a quel tempo erano strutture del nostro essere, che adesso però vanno metamorfosate in leggi sociali, in modi di comportamento verso l’esterno.

Il diavolo fa di tutto per distrarci dai tre valori fondamentali. Cristo reagisce, e dalle reazioni di Cristo nascono quei tre valori, quei tre voti che abbiamo sviluppato nel passato come qualità individuali, che adesso dovrebbero diventare sociali. 

Per capirci meglio, procediamo con ordine. Le tentazioni sono raccontate nei Vangeli di Matteo e di Luca, non in quelli di Marco e Giovanni. Consideriamo come prima tentazione quella del pinnacolo del Tempio. «Lo portò sul punto più alto e gli disse: Buttati! Tanto nei Salmi c’è scritto che darà ordine ai suoi Angeli di custodirti perciò ti solleveranno. Buttati, che tanto gli Angeli ti tengono su». La parola chiave è: buttati, gettati.

Archiati diceva: Ma è chiaro! Il tempio è la persona umana, il pinnacolo del tempio è la testa. Cosa sta dicendo il diavolo? Non farti guidare dalla testa, buttati! Fatti guidare dalla pancia o anche dalla parte più bassa. Buttati! Cos’è che comanda dentro di te, la testa o la pancia? Buttati! Fa che non sia la testa a comandare, ma la pancia o il sesso

Cristo reagisce a questa provocazione. Nel Medioevo come si faceva a resistere alla tentazione del buttati? Con il voto di castità. Dire che la castità è essenzialmente l’astensione dai rapporti sessuali è una bella stupidaggine, una riduzione da erotomani quali siamo oggigiorno. La persona casta era la persona che aveva chiaro in testa, e nella vita, che a comandare è la parte superiore di noi, la testa, lo spirito.

Il ragionamento conclusivo di Steiner è: se per una vita – che magari è quella scorsa – abbiamo custodito la castità come risposta positiva alla tentazione del ‘buttati!’, oggi siamo nelle condizioni di sperimentare per davvero la libertà della vita culturale.

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La tentazione di Gesù - Gustav Doré, incisione

La tentazione di Gesù – Gustav Doré, incisione

Che nesso vedete, voi, fra la libertà della vita culturale e la castità? Secondo voi è davvero così libero, il 97% dei nostri intellettuali, che scendono a compromessi diciamo così ….un po’ pesanti? Una persona è davvero libera, se fa quello che vuole la massa …? O se dice quello che un’altra fazione vuole che dica? O se semplicemente si adegua alle mode? Secondo voi, per la vita culturale, ha senso che io oggi venga qui a dirvi se quel ragazzo (il dj Fabo al centro delle cronache per la scelta dell’eutanasia) ha fatto bene o ha fatto male a fare quella scelta?  

Il criterio della verità, quello che ci fa dire: «io voglio essere un testimone della verità», sarebbe la base per la libertà della vita culturale e implica, ovviamente, che non ci si butti dal pinnacolo.

Passiamo alla seconda tentazione, più chiara ancora, la provocazione a trasformare le pietre in pane. Cristo risponde: «Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Commentando questa tentazione, Archiati diceva: cosa sono le pietre che diventano pane? Bisogna pensare a cosa ci nutre … e cosa ci nutre adesso? Che cosa ci fa star bene? Ditelo chiaramente: cos’è che ci nutre? La tecnologia, il progresso economico.

E qual è la contrapposizione netta alle pietre che diventano pane? Mi ricordo che Archiati si era anche commosso mentre ci ricordava il discorso di Giovanni del capitolo VI del pane del cielo … Quanti uomini sono sempre stati convinti che il pane venisse dal cielo, che fosse un dono del buon Dio, che fosse lo spirito ad alimentarci? Pensiamo invece a cosa ci alimenta oggi … Forse noi viviamo perché siamo inseriti in una direzione spirituale dell’uomo e dell’umanità? No, noi adesso viviamo a partire dai mezzi economici che abbiamo, dalle tecnologie che abbiamo sviluppato. Dunque: ci nutre il pane o ci nutrono le pietre…?

Se torniamo al Medioevo, possiamo chiederci in quale momento ci siamo allenati ad aver fiducia nel pane e non nelle pietre, e allora basta pensare a San Francesco: cosa ha fatto, per non soccombere alla tentazione di vivere di pietre? Le ha trasformate, le pietre! Perché le pietre possono diventare pane, non è così? Francesco ha esercitato per tutta la vita il voto di povertà, rigettando le pietre (il denaro).  

Archiati diceva: l’esercizio della povertà, fatto come esercizio interiore per resistere alla tentazione, «trasforma le pietre in pane!» è la premessa per essere davvero solidali o fraterni oggi. Chi non ha esercitato per un’incarnazione la povertà, non sarà mai in grado di essere solidale.

Del resto, non ci vuole molto per capirlo: io ho trovato molta solidarietà fra gente povera, e decisamente meno fra gente ricca! Ma questo non si comprende se si guarda solo a questa vita …. vedete che qui stiamo ragionando su due vite.

Ed ecco la terza tentazione. “A un certo punto il diavolo porta il Signore sul punto più alto della Terra e dice: «Guarda, tutto questo un giorno sarà tuo. Prostrati e sarà tutto tuo»”. Se tu ti prostri a me – quindi io sto sopra di te – tu comandi su tutti e stai sopra tutti. Chiaro il ragionamento? Basta piegare il capo a chi è più importante e poi si comanderà su quelli che stanno sotto; mi sembra chiarissima la logica.

Nel Medioevo abbiamo dunque resistito a questa tentazione demoniaca esercitando l’ubbidienza: io non voglio dominare nessuno, non voglio comandare. Per estirpare questa tentazione demoniaca, del comandare, voglio piuttosto esercitarmi a obbedire.

Allegoria della Povertà, (dettaglio) 1315 circa, attribuito al "Parente di Giotto" e al "Maestro delle vele"

Allegoria della Povertà, (dettaglio) 1315 circa, attribuito al “Parente di Giotto” e al “Maestro delle vele”

Adesso non venite a dirmi che «l’obbedienza non è più una virtù»! Oggi, sul Sole 24 Ore che ho letto in treno, c’erano due articoli su Don Milani, di cui sono un grande ammiratore. L’ubbidienza di cui parla Don Milani è un’altra cosa rispetto all’ubbidienza medioevale. Il significato dell’ubbidienza medioevale è: io non voglio dominare, e il modo migliore per non dominare non è certamente farsi gli affari propri … È forse il massimo della socialità, farsi gli affari propri…?

Bene, chi ha fortemente ubbidito, magari per un’incarnazione intera, adesso è in grado di capire il valore dell’uguaglianza! Per altro, questo concetto vale anche nelle dinamiche organizzative, quando ci domandiamo chi sono le persone più autorevoli. E vale anche nella dinamica famigliare: se sei stato un ragazzino scapestrato, che ha sempre fatto di testa sua, pensi di diventare un genitore autorevole? Chi diventa autorevole, nel senso di essere capace di comandare? Chi ha sempre e sistematicamente ubbidito!

Poniamo che in una società, o anche in un nucleo minimo come la coppia, occorra in certe situazioni che uno comandi e uno obbedisca. Se si deve trovare un’uguaglianza, bisognerà fuggire la tentazione del dominio, perchè è questo il vero problema: il modo migliore per scappare dalla tentazione del dominio è l’esercizio dell’ubbidienza.

Archiati diceva che i regni del mondo promessi dal diavolo sono la chiaroveggenza per diventare padroni di tutto: la scelta del dominio della conoscenza usata come potere – un rapporto di dominio.

Il voto di ubbidienza, invece, è l’esatto contrario.

Con questo piccolo schema chiudo il ragionamento:

  • nel socialismo noi abbiamo un’unilateralità della fraternità senza l’uguaglianza e senza la libertà;
  • nel liberalismo abbiamo un’unilateralità della libertà senza la solidarietà e senza l’uguaglianza;
  • nella democrazia abbiamo l’uguaglianza senza la libertà e senza la fraternità.

Il marxismo, il socialismo, il collettivismo esaltano la fraternità; il liberalismo esalta la libertà, e la democrazia – che peraltro è morta e sepolta perché basta una trasmissione televisiva a far crollare milioni di voti … un’ora di emozioni e si spostano milioni di voti – sarebbe un’assolutizzazione del criterio di uguaglianza.

Intervento: Sembrano solo idee un po’ utopiche, ma le capiamo.

Vaccani. Capirle ma ritenerle un’utopia è come dire che non servono a niente! In questo testo di base della Triarticolazione, la prima cosa che Steiner rigetta è proprio l’utopia, perchè utopistica è una cosa che non esiste da nessuna parte. La Triarticolazione è tutt’altro! Se vi sembra un’utopia, significa che ho completamente fallito nel modo di presentarvela… 

In conclusione, possiamo dire che la Triarticolazione sociale non fiorisce non solo perché non la si conosce e non la si capisce, ma perché non diventa struttura dell’essere.

Facciamo un esempio facile, legato al socialismo. Uno dei miei più cari amici di gioventù, un organizzatore accanito delle feste dell’unità, era un marxista convinto. Passava le sere a studiare Il Capitale di Marx (quasi nessuno l’ha studiato, perché non è Il Manifesto del partito comunista). Questo amico che studiava onestamente, personalmente un ottimo marxista, era anche una bella persona, e quando si è trovato ad avere cinque case per via di alcune eredità, ha continuato a fare il marxista!

Allora, mi chiedo: cos’è stato per lui il marxismo? Sì è rovinato la vista per studiare Il Capitale, ma in fondo era una sovrastruttura, perché non riguardava il cuore e tantomeno le braccine, che diventavano sempre più corte. E quando si è trovato nella condizione di essere un capitalista, che cosa ha fatto? Ha fatto il marxista con 5 case!

Intervento: Secondo me non c’è un’incoerenza, non sta scritto da nessuna parte che se uno è marxista non può avere un suo patrimonio. Questo sta scritto nel cristianesimo ed è incoerente per un cristiano non divedere, ma per un marxista non è incoerente, perché si tratta di un problema sociale che si affronta in modo politico.

Vaccani. Ogni esempio può prestare il fianco all’unilateralità.

Intervento: … l’importante è non banalizzare

Certo! Ma la mia tesi è tutt’altro che banale, perché le idee che arrivano solo fino alla testa, come dice Marx a ragione, sono sovrastruttura, sono ideologia. Per la Triarticolazione è la stessa cosa: Steiner afferma categoricamente che la proprietà privata non deve esserci. Infatti lui non ne aveva, non era proprietario nemmeno della casa dove viveva – non era sovrastruttura, o banalità. Lui ha sempre affermato che doveva esserci solo il diritto esclusivo d’uso, che è diverso dalla proprietà, c’è un abisso tra le due cose. Un conto è affermare soltanto che la proprietà privata non ha senso … un altro conto è affermarlo e viverlo anche di conseguenza.

Il marxismo, come il Cristianesimo, o la Triarticolazione, o lo scintoismo, non entrano nella vita sociale e non trasformano la vita perché i loro ideatori o cultori fanno scelte ideologiche. Si tratta di fare scelte esistenziali, non ideologiche, come nello schema che ho fatto prima. 

Quindi una fondazione reale della Triarticolazione sociale significa assumere i tre valori (liberté, égalité, fraternité) e portarli dalla testa alla vita pratica, passando per il sentimento. E questo accade se in una vita precedente abbiamo esercitato la castità, nel senso di farci guidare dalle nostre parti superiori.

Allegoria della Castità, (dettaglio) 1315 circa, attribuito al “Parente di Giotto” e al “Maestro delle vele”

Allegoria della Castità, (dettaglio) 1315 circa, attribuito al “Parente di Giotto” e al “Maestro delle vele”