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Rinnovare l’uguaglianza nell’ottica di una rinnovata passione politica

I lavoratori della fabbrica di sigarette Waldorf Astoria

Conferenza di Mauro Vaccani del 5 marzo 2017

dal ciclo di tre incontri su:

L’antroposofia nella vita sociale – 2° incontro (non rivisto dall’autore)

Abbiamo cominciato una serie di tre incontri che ho intitolato Cultura, Politica, Economia come il ciclo di conferenze di Rudolf Steiner che ho deciso di adottare come testo di riferimento. Bisogna sapere che Steiner ha tenuto molte più conferenze sulla questione sociale che non sulla pedagogia! Ne ha trattato molto, molto ampiamente. E questo è, fra i tanti, il ciclo più semplice, più immediato, da cui partire per chi vuole farsene un’idea. Sono sei conferenze che risalgono a quando un’esperienza sul campo della Triarticolazione non era andata a buon fine.

Steiner la formulò intorno al 1905 e la seminò più tardi, nel cuore della guerra, nel 1917. Quando la ideò, nel 1905, nessuno gli prestò attenzione. I teosofi, i suoi ascoltatori più assidui in quel momento, non avevano alcun interesse per i temi sociali, per la realtà della vita quotidiana, per la politica, per l’economia, per la cultura… erano interessati ad altro.

Quando poi Steiner la propose, nel 1917, su richiesta di varie personalità di un certo rilievo (parliamo del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, per darvi un’idea), la guerra era a un punto tragico. Il capo di gabinetto dell’imperatore austriaco, che conosceva Steiner per motivi personali (interessi di studio e spirituali), si rese conto che la situazione era giunta a un vicolo cieco e chiese a Steiner una qualche proposta di rimedio: “Come saltiamo fuori dalla situazione in cui ci siamo cacciati?”

E proprio nel 1917, in un lavoro intensivo di tre settimane con lui e un alto esponente del governo tedesco, Steiner elaborò un memorandum, una formulazione scritta della Triarticolazione sociale, cioè un libretto per politici che non hanno molto tempo e devono poter leggere tutto in 20, 25 pagine al massimo. Ma anche quel secondo tentativo di seminare la Triarticolazione non ebbe seguito.

Il terzo, invece, quello di cui ci occupiamo, è incominciato subito dopo la guerra. A guerra finita, prima in Svizzera, poi in Germania, durante i primi sette mesi del 1919, Steiner cominciò intensivamente a tenere centinaia di conferenze su questi temi, spesso anche in grosse fabbriche, davanti a migliaia di operai. Ci sono delle conferenze fatte alla Daimler-Benz di Stoccarda, che è una grossa fabbrica di automobili, con 3000 operai fotografati in posizione di ascolto, seduti nel magazzino delle materie prime.

Quel grandioso tentativo che coinvolse centinaia, forse migliaia di persone, divenne quasi un fenomeno di rilevanza politica. Pochi sanno che a Steiner venne offerto un posto al governo, al Ministero della Repubblica di Weimar, verso l’aprile-maggio del 1919, offerta che lui, naturalmente, rifiutò.

I lavoratori della fabbrica di sigarette Waldorf Astoria

I lavoratori della fabbrica di sigarette Waldorf Astoria

  Il tentativo di divulgazione si concluse però abbastanza bruscamente tra la fine di luglio e i primi di agosto. Si interruppe così quell’incredibile opera di diffusione che avveniva a tutto campo. In tre settimane scrisse un breve testo di presentazione della questione sociale, I punti essenziali della questione sociale, che è un estratto del libro di cui trattiamo in questa sede, ed è ben più voluminoso e approfondito del memorandum iniziale, è un testo di 120 pagine, che fu scritto intorno alla Pasqua del 1919 perché le persone chiedevano un manuale, un testo scritto che rimanesse nel tempo. Il libro venne stampato in 150.000 copie!

Questo per darvi un’idea della consistenza del fenomeno: pensate che La filosofia della libertà vendette 400 copie in più di vent’anni mentre questo libro ebbe una prima tiratura di 150.000 copie.

Alla fine dell’agosto del ’19, Steiner era tanto impegnato in quel progetto da partecipare attivamente al referendum per la Slesia – una regione di confine fra la Polonia e la Germania, le cui sorti alla fine della guerra erano incerte, non si sapeva se dovesse rimanere con la Germania o annettersi alla Polonia.

I vincitori polacchi la rivendicavano, ma la Slesia era una regione tipicamente di destra, che nulla aveva a che fare con la Polonia di allora. In base al dettato dei veri vincitori, che erano gli Americani – ricordate i quattordici punti di Woodrow Wilson? Uno di essi stabiliva il criterio della nazionalità, secondo cui i territori appartengono alla nazione cui sono affini per cultura, per lingua o per storia, la Slesia sarebbe dovuta andare alla Germania. Ma dato che la Polonia non voleva mollare, fu indetto un referendum per far scegliere la popolazione. Steiner s’impegnò in prima persona e insieme a centinaia di collaboratori tentò di convincere la Slesia ad astenersi dalla scelta fra le due nazioni e a fare un tentativo di sperimentazione della Triarticolazione sociale.

La Triarticolazione sociale, tra l’altro, è proprio un modello che supera la nazionalità. Di fatto, io che vivo a pochi chilometri dalla Svizzera, so benissimo cosa significa una linea di confine, che è di tipo fiscale e giuridico, ma non certo di tipo culturale perché quelli oltre frontiera parlano lo stesso dialetto che parlo io. Fino a pochi decenni fa eravamo sotto lo stesso vescovo, con la stessa Chiesa, con lo stesso rito, con le stesse tradizioni…

Anche quel tentativo della Slesia fallì miseramente, come fallirono tutte le iniziative con i sindacati e con i partiti perché la Triarticolazione fu fatta oggetto di opposizione fin da subito, in primo luogo da parte della Confindustria tedesca, che sposò ben presto, nel giro di due o tre anni, un uomo dalle scelte “vincenti” e che faceva gli investimenti “giusti”: Adolf Hitler. Il prezzo di quella scelta lo pagarono dopo, ma nell’immediato Hitler raddoppiò le spese militari, rilanciò le corazzate, col bene placito degli industriali, ben felici di quelle scelte.

La grande industria non fu il solo oppositore. Infatti, uno dei pensieri-chiave della Triarticolazione, che non è mai stato digerito e quasi certamente mai praticato da nessuno, riguarda l’ereditarietà delle proprietà. Pertanto i membri della famiglia Agnelli non dovrebbero trasmettere a figli o parenti l’eredità di tutti i loro beni. Questa, secondo Rudolf Steiner, è proprio un’idiozia (lui non usa quel termine, ma esprime lo stesso concetto). Ebbe contro anche i sindacati, che allora erano potenti un po’ ovunque in Europa. Il partito socialista era ormai a un passo dal governo. Negli anni ’19-’21 anche in Germania era così: nella Repubblica di Weimar era in auge il partito social democratico, al cui interno vent’anni prima Steiner aveva insegnato. Infatti egli aveva insegnato quattro anni all’Università popolare, che era stata fondata dal creatore del partito social democratico tedesco.

I sindacati erano contrari alla Triarticolazione perché Steiner non concepisce l’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente, in quanto il lavoro non può essere mercificato. Pertanto, non può esistere un datore di lavoro da una parte e un prestatore di manodopera dall’altra. Che la manodopera non possa essere mercificata non piace neanche oggi, figuriamoci se poteva piacere ai sindacati, che allora erano al massimo della loro rilevanza sociale. Fu così che la Triarticolazione venne affossata.

La Triarticolazione è un progetto sociale senza contenuti ideologici, sebbene il primo punto che ora affronterò sia il fondamento spirituale di questa Triarticolazione.

Proprio domenica scorsa (la domenica che precedeva il 5 marzo 2017 – ndr), a Milano, abbiamo chiuso il convegno sulla Cristologia con l’affermazione di Rudolf Steiner, secondo cui la Triarticolazione è il Cristianesimo del futuro, il modo per portare il Cristianesimo nella dimensione orizzontale.

La Triarticolazione non dice come devo pregare né come devo rivolgermi ai defunti o quale sarà la mia vita dopo la morte.  L’uomo, nell’essenza del cristianesimo, è inserito sia nella dimensione verticale, quella della relazione fra l’uomo e lo spirito, e sia in quella orizzontale, concernente la vita sociale. La Triarticolazione riguarda appunto tutte e due le dimensioni.

Quel progetto tramontò nell’agosto del 1919: Steiner lo chiuse dalla sera alla mattina e decise di dedicarsi non più al progetto complessivo, ma ad alcuni suoi aspetti specifici.

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Relativamente alla vita culturale si dedicò alla creazione della pedagogia, la scuola Waldorf, per intenderci. Grazie alle sue straordinarie doti, dopo essersi occupato intensivamente della formazione dei docenti, riuscì a far partire già a settembre la scuola di Stoccarda con 257 allievi. Era una scuola di fabbrica, nata per i figli degli operai.

Partiva così un grande sforzo per la pedagogia che si manifestava come figlia della libera vita culturale.

Dopo di che Steiner attivò, con esiti piuttosto deludenti, anche iniziative di tipo economico. Nella conferenza di cui ci occuperemo oggi parla di esperimenti economici, di imprese o raggruppamenti di imprese strutturate secondo il criterio della Triarticolazione. Negli anni successivi si occupò inoltre della medicina, dell’agricoltura, e del risvolto pratico di alcune attività sociali. Poiché il modello teorico della Triarticolazione non fu recepito, si lavorò ad alcune sue applicazioni pratiche. Ecco, questa è, proprio in due parole, la storia della Triarticolazione.

Il mio obiettivo è di convincere qualcuno a studiarsi le sei conferenze del ciclo Cultura, Politica, Economia. Ha il vantaggio di essere un’esposizione orale, quindi più fluida, più scorrevole, più mirata rispetto alla formulazione scritta, che ovviamente è più precisa. Ve lo dimostrerò con un esempio sul lavoro: la formulazione ne I punti essenziali della questione sociale è molto più precisa, però esige studio, un po’ più di applicazione. Invece quel ciclo di sei conferenze ha il vantaggio di essere stato tenuto nell’ottobre del ’19, pochi mesi dopo il fallimento del progetto iniziale.

Nell’atmosfera tranquilla della Svizzera Steiner ha avuto la possibilità di riformulare l’essenza di quel pensiero. Ci siamo infatti resi conto che  –  e anche secondo me è così –  finché l’idea della Triarticolazione non si radicherà per bene nella testa delle persone, le sue applicazioni pratiche non saranno mai possibili. In altre parole: non è a partire dalla pratica che ci si convince della bontà dell’idea, ma è esattamente l’opposto, e cioè che quando le persone avranno maturato in profondità quelle idee, troveranno immediatamente il modo per applicarle. È un ritorno ai pensieri originari, che hanno sempre una radice fortemente spirituale. 

Il volume Cultura, Politica, Economia è un tentativo molto meglio riuscito della Rivoluzione francese per realizzare i tre grandi ideali della modernità: liberté, égalité e fraternité.

Stamattina, come la volta scorsa, vorrei proporre un’esperienza e non fare solo una proposta generica per la vita culturale. Qui a Torino la volta scorsa ero andato al Museo Egizio e stavolta sono andato a visitare il Museo del Risorgimento; l’ideale di fraternité, liberté, égalité ha sventolato in lungo e in largo anche in Italia negli anni precedenti e in quelli successivi alla Rivoluzione francese e poi ancora nel ’21, ’31, nel ’48, ecc. 

Propongo un’esperienza perché l’altra volta nella prima parte dell’incontro ho cercato di caratterizzare il tema della cultura, dicendo che cos’è. Poi, ripensandoci, mi è un po’ spiaciuto di non aver dato abbastanza risalto all’esperienza. L’esperienza era che se la cultura, per come la intendiamo, è unilateralmente un vissuto del sentimento (imparo a godermela), oppure del pensiero (divento più intelligente) o della volontà (per il gusto di fare): è tutto sbagliato! Mi spiego meglio: quando Steiner propone di vitalizzare o di spiritualizzare la cultura, intende dire che qualsiasi esperienza culturale (e io ho provato a farla con la visita al Museo Egizio) deve riguardare simultaneamente il pensiero, il sentimento e la volontà, perché l’essenza dei fenomeni culturali – nel mio caso era la civiltà egizia – non è unidimensionale. Vi avevo proposto di provare a studiare il ciclo di Rudolf Steiner (O.O.106) sugli antichi misteri egizi. Ci sono un certo numero di conferenze sugli Egizi, dove ha mostrato tra l’altro tantissimi rispecchiamenti tra l’Egitto – la terza Epoca di Cultura, secondo l’Antroposofia – e noi, che viviamo nella quinta Epoca. Quindi tantissime cose dall’Egitto passano a noi, o noi le stiamo rispecchiando.

Interno del Museo Egizio, Torino

Interno del Museo Egizio, Torino

  La mia proposta, dal momento che l’Egitto ce l’avete a 750 mt!, era di andare a verificare sul posto, alla luce di quello che dice Steiner.  

La stessa cosa vale per il tema di oggi, cioè la democrazia come fenomeno sociale della vita politica. L’unità d’Italia, il processo di generazione della nazione italiana, non mi risulta che l’abbiano fatta a Siena e neanche a Palermo. Se vado a Siena trovo mille cose bellissime ma non trovo, credo, nient’altro se non, forse, la lapide della prima Guerra Mondiale, ma quella la trovo anche nel mio paese.

Così stamattina ho voluto rivisitare attentamente le trenta sale del Museo del Risorgimento. Provo a parlarne, anche se mi rendo conto che è infinitamente meno interessante del Museo Egizio! Spero però di portare un po’ meglio la mia proposta: una cultura che non sia teologia (teologia vuol dire sovra-struttura), che non sia mera esperienza di sentimento, estetismo (Steiner parlava dei quadri che riproducono la natura, ma se il quadro è semplicemente una sua riproduzione, è meglio guardare direttamente la natura!),  e che non sia una cultura essenzialmente per il business, che è la tendenza attuale. È vero che si sta cominciando a capire che la cultura può anche avere un ritorno economico, ma il punto non è questo, perché se la cultura ha un ritorno economico, va benissimo, ma che il ritorno economico sia l’unico motivo per muovere la cultura è invece un concetto molto deviato.

A questo punto vorrei proporre cinque pensieri introduttivi sulla sfera della politica. Innanzi tutto vorrei delimitare con precisione la sfera della politica e dei suoi ambiti, perché oggi tutti abbiamo un’esperienza e anche una nozione di politica del tutto falsata. Se dico politica, tutti pensiamo a qualche cosa che non coincide per nulla con quello che ha in mente Steiner. Soprattutto, il dato più evidente è che la politica è per noi infinitamente più ampia di quel che sarebbe giusto; riguarda un’infinità tale di ambiti che non sono di sua competenza. Perciò noi pensiamo che sia una faccenda della politica ciò che invece dovrebbe riguardare tutt’altro. Cioè: la politica – e l’economia ancora di più – ha fagocitato una quantità di ambiti che non sono i suoi.

Nel quinto punto, Rudolf Steiner sostiene che la magistratura non deve far parte della sfera giuridica. Quando l’ho letto la prima volta, mi sono detto: Ma questa è una follia!  Se la magistratura non deve far parte della sfera giuridica, che cosa allora dovrebbe farne parte? Secondo Steiner, la sfera giuridica è infinitamente più ristretta di quello che noi immaginiamo. La prima cosa da fare è liberarsi da questo pregiudizio.

La seconda cosa è più difficile ancora, soprattutto per quanti hanno vissuto il ’68 e dintorni, o che hanno una radice marxista, avendo ciucciato col latte il mantra Tutto è politica – ricordate? Il mio compagno di banco me lo diceva ogni giorno. Tutto è politica, mi ripeteva, soprattutto se non lo facevo copiare.

Questo è un vero e proprio mantra, ed è sbagliatissimo perché la politica è solo una delle tre sfere della vita sociale, non è tutto. Se ci liberiamo da questi due pregiudizi, allora potremo capire perché Steiner inserisce la politica fra la sfera della cultura e la sfera dell’economia. Egli la ‘ricava’ più o meno così: (disegna alla lavagna) fin qui è cultura, da qui parte l’economia, e la sfera intermedia è quella della politica.

Le scritte dall’alto in ordine: Vita culturale, Vita giuridica, Vita economica

Le scritte dall’alto in ordine: Vita culturale, Vita giuridica, Vita economica

  Per farvi capire, lui dà due caratterizzazioni: la sfera dei diritti e quella dei doveri. Ecco due parole chiave: diritti e doveri. Queste parole non piacciono più, soprattutto la parola doveri non piace più, mentre la parola diritti piace ancora. Steiner dice: la politica è la sfera dell’uguaglianza. Mentre la cultura, se ve lo ricordate, era la sfera della libertà, e l’economia quella della fraternità, o per usare una parola moderna, della solidarietà.  

Cosa vuol dire che la politica, o l’area giuridica della vita, deve occuparsi dei diritti e dei doveri? Io ho pensato che la formulazione corretta sarebbe: per ogni DI (diritto), un DO (dovere). Se c’è una varianza squilibratrice fra i diritti e i doveri – ad esempio quando qualcuno ha troppi doveri e pochi diritti, o quando qualcuno ha troppi diritti e pochi doveri – allora non si crea quella situazione di uguaglianza o di equilibrio che è tipica della politica. Allora la sfera sociale si ammala.

Per capire bene che cosa intende Steiner per diritti e doveri, ho preparato due esempi: uno micro e uno macro. Il micro non dà fastidio a nessuno; il macro invece è un po’ più rischioso. Il micro è questo: se adesso a me manca l’aria, sono accaldato, ho diritto a un po’ di aria fresca: ne ho diritto o no?  Allora vado ad aprire la finestra. La signora, seduta accanto alla finestra, reagisce: Ma io ho freddo, io sono qui ferma, io io io io!... Ve lo immaginate subito un bel battibecco: Ma io ho diritto ad avere un po’ di aria fresca!, e lei invece ribadirà il suo diritto ad avere i piedi caldi. Come facciamo? Sono due diritti, giusto? Io non ho più diritto di lei o lei più diritto di me. Sono due diritti, ed è lì che dobbiamo cercare l’uguaglianza. Nel nostro caso non sarà difficile trovarla, perché magari io mi sposto, aprendo la finestra in un modo che non le dia fastidio, e lei dal canto suo si avvicina al calorifero; così troviamo la soluzione. Però, se in questa situazione io dicessi: Ho diritto io, perché parlo, mentre tu non hai diritto perché ascolti, oppure: ho il diritto io perché sono uomo e tu non lo hai perché sei donna, o ancora: ho diritto io perché sono italiano, e tu non hai diritto perché…, il criterio dell’uguaglianza andrebbe a farsi friggere.

Troveremo in fretta la soluzione per questo micro-problema di diritti e doveri, ma dobbiamo tener presente che a ogni diritto dovrebbe corrispondere sempre un dovere.

Adesso vi faccio un altro esempio un po’ più complesso. Che rapporto deve esserci fra il dovere, quindi la morale, e il diritto di avere un po’ di anni di pensione? Che rapporto ci deve essere? Io ricordo che un certo ministro delle finanze, che si chiamava La Malfa, un repubblicano dei miei anni infantili, decise che per le impiegate statali bastavano quattordici anni, sei mesi e un giorno di obbligo contributivo per avere poi una cinquantina d’anni di diritto pensionistico. Adesso invece al Ministero è arrivata un’altra ministra, una torinese, che ha detto: Ma no, dovete arrivare a cinquant’anni anni di dovere contributivo per averne….

In due mesi ho accompagnato alla tomba due amici, uno di 55 e l’altro di 61 anni: uno ha goduto due anni di pensione e l’altro ne ha goduti tre. Ci capiamo? Siccome immagino che la tendenza sarà questa, allora vuol dire che se l’impostazione La Malfa era 14-50 (14 anni di doveri/50 di diritti), l’impostazione Fornero è ribaltata a 50-14. Questo è un fatto di cultura, non di economia o di finanza, è una questione che Steiner ricondurrebbe al diritto-dovere, retto dal criterio dell’uguaglianza. Qual è l’equilibrio giusto fra questo diritto e questo dovere? Lo vedevamo tutti che non poteva funzionare così – e infatti non ha funzionato –  ed evidentemente, quando ci si accorgerà fra un po’ di anni che anche la più recente soluzione non funziona, le cose sono destinate a cambiare ancora.  Conosco già adesso tre persone che dopo 40 anni di lavoro, e ad ancora 7 anni di distanza dalla pensione (si va a 67), hanno smesso di lavorare perché non ce la fanno più, e rinunciano per 2, 3, 4, 5 anni allo stipendio e alla pensione. Quindi è chiaro che anche in questo caso c’è qualcosa che non funziona.

(segue…)