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Un ricordo di Rudolf Steiner a 160 anni dalla sua nascita

Rudolf Steiner scolpisce il gruppo ligneo

La straordinaria personalità di Rudolf Steiner è vivacemente descritta in un gran numero di memorie redatte da amici e collaboratori, diretti testimoni degli intensi anni della sua ramificata attività. Ognuna di queste voci contribuisce a restituire un ritratto del suo eccezionale modo di essere nella vita di ogni giorno, nelle occasioni informali e nei dialoghi privati. Dalle più svariate testimonianze emergono immancabilmente i tratti in lui caratteristici, che in delicate sfumature si raccolgono nel colore di fondo della calda e luminosa umanità che pervadeva la sua persona. La spiccata generosità, la viva attenzione nei confronti del prossimo, la gentilezza e la modestia, in Rudolf Steiner sono qualità che accompagnano la ferma volontà di agire sempre per il bene dell’umanità intera. Possiamo così, ancora oggi, ricavare l’immagine di un autentico, grande maestro, partecipe fino in fondo alle cruciali problematiche del suo tempo – un’immagine colma di creatività e dinamismo, che nulla ha da spartire con quella di un erudito dottore trincerato nella solida fortezza del sapere e del prestigio.

A 160 anni dalla nascita del fondatore dell’antroposofia, avvenuta il 27 febbraio 1871 presso una famiglia di umile estrazione a Kraljevic (allora nell’impero austroungarico), in gesto di omaggio pubblichiamo la traduzione di un ricordo da parte di Assja Turgenieff, che fu una sua stretta collaboratrice. Artista russa e autrice di preziose memorie, la Turgenieff fu presente e attiva nei movimentati anni della costruzione del primo Goetheanum a Dornach, sul drammatico sfondo della Prima Guerra Mondiale.

Questo suo scritto mette in luce il tratto fortemente sociale della personalità di Rudolf Steiner. L’autrice accenna all’appassionato impegno del maestro nella questione sociale, al contatto con la realtà del proletariato e alla sua intenzione di immettere forze nuove e virtuose nel degenerato sistema economico, colpevole di aver sottratto la dignità al lavoro. Agli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale risale infatti la formulazione del pensiero della triarticolazione sociale da parte di Rudolf Steiner. La sua concreta proposta per la realizzazione di un organismo sociale sano, che garantisse la dignità e la possibilità di sviluppo dell’essere umano, si basava su tre presupposti fondamentali: la libertà nella sfera culturale, l’uguaglianza nella sfera giuridica e la fratellanza nel campo dell’economia.

Val la pena notare che nonostante un intero secolo ci separi da quei fatti, le riflessioni che essi suscitano si rivelano straordinariamente attuali, nel momento in cui si consideri la profonda crisi del lavoro e della socialità che vediamo in atto oggigiorno. I pensieri elaborati da Rudolf Steiner su questi temi risultano ancor più preziosi, e il ricordo della sua figura diventa allora un’occasione di dialogo più che di commemorazione.

Assja Turgenieff – Lavoratori e artisti al Goetheanum
(tratto da Erinnerungen an Rudolf Steiner, E. Beltle, K. Vierl, Stoccarda 1979)

«Nei primi tempi dei lavori di edificazione al Goetheanum più di 300 operai riempivano la falegnameria. C’era da accatastare, legare e assemblare un’impressionante massa di legno pregiato e profumato, per collocarlo adeguatamente sul posto in vista del nostro lavoro di intaglio. A ogni nuovo turno andavano e venivano giovani carpentieri di Amburgo, che vestiti delle loro tute da lavoro si arrampicavano sulle impalcature preparando le strutture e recintandole. Già l’originalità di questo edificio infiammava le forze, come anche il nostro zelo nel costruire. Si progrediva in modo molto veloce. L’empatia di Rudolf Steiner nei confronti dei lavoratori si manifestava apertamente. Per lui non esistevano distinzioni sociali: contava solo la persona. Stringeva la mano all’autista con la stessa (se non con maggiore) cordialità che al proprietario dell’automobile. Nonostante la scarsezza di tempo dovuta al suo sovraccarico di impegni, egli accompagnava per ore attraverso il cantiere persone semplici, piegate dal peso delle preoccupazioni quotidiane, e lo faceva forse con ancor più gran premura che non per il visitatore di rango “altolocato”. Potevamo vederlo la mattina, quando dalla falegnameria con passo svelto si affrettava verso l’atelier, con le porte che si chiudevano come volando dietro al suo passaggio, eppure non dimenticava di salutare la donna delle pulizie che si trovava all’angolo con scopa e pattumiera. E allora stringendole la mano si inchinava anzi leggermente di più, con considerazione per il faticoso compito che il destino le aveva assegnato. – “Chi pensa alla fatica di una donna anziana, che trascina a casa il legno che ha raccolto nel bosco?” diceva. Una volta dovetti tenere entrambe le mani a coppa per raccogliere le monete che cadevano dal suo borsello come mancia per un lavoretto svolto da un fabbro: era visibile il piacere con cui egli svuotava sempre il suo portamonete.

In caso di incidenti era sempre il primo a soccorrere, ma anche si aspettava e incoraggiava partecipazione sincera da parte degli altri: “Questa contusione è molto dolorosa, lo sfortunato ha sofferto terribilmente”, ci ripeteva.

L’impatto sociale di questa sua umanità, che si manifestava così spontaneamente nella vita di ogni giorno, lo constatammo verso la fine della Prima Guerra Mondiale – nell’impulso della triarticolazione.

In quel frangente, Rudolf Steiner accompagnò di persona attraverso il cantiere del Goetheanum – come faceva sempre, quando gli era possibile – un socialista emigrato dalla Russia zarista. “Come caratterizzerebbe la Sua collocazione politica?” gli chiese l’ospite, interessato, “qual è la Sua ‘piattaforma’ politica?” – “Se io devo definirla”, fu la risposta, “mi considererei principalmente un anarchico, tuttavia a questo nome sono legate troppe cose che non approvo. Quindi mi definirei piuttosto un neoarchista.” E aggiunse: “Con questo intendo: io sono per quanto meno governo possibile, per quanta più iniziativa personale possibile, per la libertà.”

Il pensiero della triarticolazione sociale ci chiarì presto questo suo aforisma. Indimenticabili restano le piccole e burrascose assemblee popolari del dopoguerra nei villaggi circostanti Dornach, indimenticabile l’entusiasmo pieno di speranza di Rudolf Steiner, l’ardore giovanile con cui portava l’idea della triarticolazione in quelle assemblee. Poi si arrivò alle grandi conferenze per i lavoratori, per esempio alla casa del popolo di Basilea; sedevano lì, tesi e diffidenti, circa duemila operai, col cappello calato in testa, un mezzo sigaro tra le labbra: cosa vuole da noi quest’uomo con il suo stravagante Goetheanum? Rudolf Steiner stava lì come in un tribunale, lo si vedeva appena in quello spazio ampio e stipato di persone, eppure la sua voce arrivava fino alle ultime file, risuonava calma e fiduciosa. Per tracciare il percorso dei suoi pensieri, così difficili da seguire e così estranei in quello spazio, scelse immagini semplici tratte dalla vita di tutti i giorni. Nessuna delle parole chiave a noi note. Una soltanto, ma la più importante, fu la rivendicazione che risuonò dal discorso: dignità dell’essere umano – fintanto che la forza lavoro viene considerata come una merce, per il lavoratore non è possibile una vita degna di un essere umano; la forza lavoro non è una questione economica. Ogni parola che pronunciò in quell’occasione venne seriamente messa alla prova dal sentimento per la verità delle persone lì presenti. A tratti dalle file si levava un suono ottuso. Era disapprovazione? Tetri erano gli sguardi di quegli uomini. Eppure, quel sottofondo prese forma chiaramente – “giusto!”, “proprio così!” rombava sempre più forte. Quell’uomo rispondeva per loro, per la loro più intima esigenza, fino ad allora quasi mai formulata. Alla fiducia che egli portò loro incontro, essi rispondevano a loro volta con fiducia.

Conferenze del genere erano vere e proprie azioni, e altre azioni “dovevano” seguire a quelle. Eppure, purtroppo ciò non poté venir realizzato. Amarezza risuonò nella conferenza che andava a concludere questa attività – conferenza indirizzata questa volta ai borghesi: sarà troppo tardi quando si rimpiangerà il fatto che questo nuovo movimento sia stato troncato (e non furono i lavoratori a troncarlo).

Rudolf Steiner non si lasciò però sottrarre l’occasione di parlare due volte a settimana ai nostri lavoratori all’interno del Goetheanum. Al piccolo gruppo di operai che era rimasto con noi durante la guerra vennero nel frattempo ad aggiungersi vecchi conoscenti dai nostri primi anni di attività. Durante quelle conferenze il palco della falegnameria restava chiuso agli artisti, e nessuno di noi poteva sedere in sala. Tuttavia, da dietro alla tenda blu Marie Steiner e alcuni di noi ascoltavano, stupiti dai contenuti, ma sorpresi anche dalla sua così diversa maniera di parlare, una maniera che trasmetteva conoscenze profonde in modo così semplice e immediato. Era impressionante osservare la risonanza di quelle conferenze, la silenziosa e composta serietà con la quale quelle persone ritornavano ai propri lavori. Lo si vedeva su di loro: ora la loro energia fisica, la forza vitale del loro corpo, non era più una merce, bensì qualcosa che serviva ad uno scopo nel quale era inclusa la loro umanità.

Questa era l’atmosfera generale. Naturalmente ci furono alcune eccezioni, anche se poche, così come non mancarono contrasti con i superiori. Ma una parola conciliante riportava tutto in ordine. “Da lavoratore, io preferirei avere come superiore una testa calda, che però abbia i piedi piantati per terra, piuttosto che uno che non abbia idea di nulla”, rassicurava Rudolf Steiner un operaio; “Anch’io ho la voce grossa” consolava poi la “testa calda”. In questo modo, tutti si sentivano compresi. – Quanto a noi, ci difendeva dicendo che gli artisti non possono venir costretti a determinate ore di lavoro, perché lavorano interiormente, anche quando non fanno niente. Eppure, noi eravamo grati anche al destino di assolvere il nostro compito artistico per mezzo di un pesante lavoro fisico. Da ciò imparammo a conoscere la forza fisica come una forza spirituale collegata all’essere umano nella sua totalità, e imparammo a stimare le persone che dovevano basare la propria attività sull’energia fisica. (…) Legate per destino all’opera di Rudolf Steiner, le persone che vi hanno partecipato non hanno dedicato a essa soltanto le loro forze fisiche, bensì hanno intessuto in essa la propria sostanza vitale.»

(testo e traduzione di Alessandra Coretti)