Close

QUESTA GUERRA DEVE FINIRE. ADESSO!

The four faces/Peace for all Nations (Le quattro facce/Pace per tutte le nazioni). Pablo Picasso - 3rd World Festival of Youth and Students, 1951, Berlino. Private Collection.
Immagine: The four faces/Peace for all Nations (Le quattro facce/Pace per tutte le nazioni) – Pablo Picasso (3rd World Festival of Youth and Students, 1951, Berlino. Private Collection)

Un contributo di Gerald Häfner per la rubrica “Voci del tempo presente”

Video pubblicato il 31 marzo 2022 sul sito www.goetheanum.tv

Trascrizione e traduzione di Alessandra Coretti

Cari amici, cari lettori,

questa settimana con Gerald Häfner torniamo a parlare della guerra che infuria da quasi tre mesi devastando regioni e città. In un clima generale di esplicito supporto all’Ucraina e di condanna della Russia si rischia di perdere la percezione della reale complessità dei fatti, che è grande. Quali sono i nessi storici che hanno portato al disastro attuale? Ci siamo mai interrogati seriamente sulle responsabilità dell’Europa in questo scenario, sia per quanto riguarda il suo atteggiamento nel passato, sia per il suo potenziale ruolo per il futuro? Tra est e ovest c’è molto da costruire, ed è tempo di immaginare un ordine mondiale diverso da quello che abbiamo ereditato dal confronto tra i due blocchi. Perché il futuro (e che sia un futuro di pace) inizia già nei nostri pensieri.

Buona lettura!
Alessandra Coretti

__________________________________

Gerald Häfner, nato nel 1956, ha svolto attività politica nei Verdi, membro del Parlamento tedesco (1987 – 2002) e del Parlamento europeo (2009 – 2014). Autore e insegnante Waldorf, è cofondatore di Democracy International. Dal 2015 è direttore della sezione di Scienze sociali al Goetheanum.

__________________________________

«Guerra, ancora guerra, e sempre più brutale. Ormai da diverso tempo non vengono più bombardati solo obiettivi strategici come all’inizio, ma vengono distrutte case, scuole, teatri e ospedali. Mariupol, fino a poche settimane fa una città florida e vibrante, ora è ridotta in macerie: milioni di persone in fuga, famiglie distrutte, separate, bambini lasciati da soli, genitori nascosti nei bunker o nei sottopassaggi delle metropolitane, ovunque regna la paura. È veramente pazzesco. Soprattutto in Europa si è levata un’incredibile ondata di solidarietà, si presta soccorso ai profughi in arrivo, ne sono già stati accolti a milioni, che avranno probabilmente bisogno di protezione per un periodo più lungo. C’è molta partecipazione, ma a me sembra che serva ben di più. Non basta andare in giro con i colori della bandiera di un Paese, non serve invocare più armi, più militari e operazioni speciali da parte dell’esercito, è invece necessario parlarne, riflettere su come si è arrivati a questa guerra e su come facciamo a uscirne.

Per iniziare, vorrei esprimere una tesi che di certo a molti suonerà provocatoria: l’impressione che ho è che noi tutti siamo corresponsabili».

Riguardo agli avvenimenti del presente, Häfner precisa che da lungo tempo non è più lecito puntare il dito contro chiunque altro imputandogli tutta la colpa, al giorno d’oggi è necessario e urgente considerare tutti i fattori che hanno contribuito a questa guerra, e cosa possiamo fare per concluderla.

«Non c’è ombra di dubbio, Putin e la Russia hanno attaccato l’Ucraina, violandone la sovranità. Un’aggressione – un massacro – assolutamente ingiustificabile nel XXI° secolo, un atto che non si può difendere in alcun modo. Se guardiamo alla Russia dalla prospettiva occidentale vediamo chiaramente come lì, anno dopo anno, si sia rafforzato un regime; e anche osservando il periodo di presidenza di Putin vediamo come da una politica all’inizio più aperta egli sia passato a un governo sempre più limitante, nazionalistico e totalitario».

Secondo Häfner la Russia è un paese che non ha mai realmente superato il collasso del socialismo. Quanto a ciò che allora sarebbe stato necessario domandarsi – cioè come possono prendere parte tutti gli uomini a una nuova realtà sociale, convincente nella sua natura economica, politica e culturale, condividendo anche i valori che erano sorti nell’Unione Sovietica – si registrò un fallimento. La privatizzazione allora aprì la strada a una struttura oligarchica: nella Russia attuale, pochi oligarchi decidono l’economia e in larga misura la politica del paese e Putin, attraverso determinati sistemi di dipendenza e anche mediante la corruzione, muove i fili guidando questi oligarchi che a loro volta guidano lui.

«Anno dopo anno, questo modello di società ha perso sempre attrattive: non è appetibile economicamente perché vive delle risorse del sottosuolo e non di valore aggiunto; e politicamente non è attraente perché in Russia non c’è più democrazia. Nemmeno culturalmente lo è, in quanto tutte le voci dissidenti vengono messe a tacere, molti giornalisti e oppositori del regime sono stati uccisi, sono stati imprigionati, sono spariti, […] e la società civile viene repressa ogni anno di più. In Russia non è quasi più possibile esprimersi in modo indipendente. Adesso è vietato chiamare “guerra” la guerra, è un reato punibile per il quale i giornalisti finiscono in prigione, e la gente che manifesta con i cartelli per le strade viene arrestata subito. Questa è la Russia di oggi, una Russia che non ha più niente che convinca e si è ritirata nel sogno di tempi ormai tramontati, di un grande passato, di un impero decaduto da molto tempo. Putin persegue una politica volta a riedificare il vecchio impero russo con l’idea, pericolosa e assolutamente inaccettabile, che ogni luogo dove si parla, o dove si parlava russo dovrebbe, di necessità, essere Russia. Tale è anche l’argomentazione contro l’Ucraina, che dal punto di vista russo non viene affatto riconosciuta come un Paese indipendente – sebbene nel 1990, in modo conforme al diritto internazionale, si dichiarò indipendente attraverso un referendum –, bensì considerata solo come una terra di confine. Questa è la Russia, dunque.

Vorrei ora dire qualcosa su Putin. Se lo si guarda in volto, si può ora vedere, dopo oltre vent’anni di esercizio del potere, come quest’uomo si sia trasformato. Ciò che gli è accaduto, va un passo oltre  quella fredda morte propria del totalitarismo, osservabile in ogni suo aspetto, è quel morire dell’elemento umano a causa del potere; Putin si vede sempre meno con uomini normali, è circondato da sottoposti, adulatori e sudditi; inoltre è terribilmente “virofobo”, cioè terrorizzato dal coronavirus, tanto che negli ultimi due anni non ha praticamente incontrato nessuno, non ha abbracciato né è stato preso tra le braccia da alcuno, ma ha incontrato tutti a distanza, ha agito sempre da lontano, sviluppando progressivamente nei confronti della realtà quello sguardo freddo, determinato a dominare, quell’aspetto che noi ora percepiamo nelle sue parole, nelle sue azioni e nei suoi pensieri».

 

Tuttavia, per Häfner non basta schierarsi contro la Russia e a favore dell’Ucraina.

«La situazione è molto più complessa di così, e quello che ora avverto come tragico è che le persone con cui parlo si arroccano subito in determinate posizioni. Stanno dall’una o dall’altra parte, diventano faziose nel loro modo di parlare e di pensare. Sono convinto che in tempo di guerra la prima cosa che dobbiamo superare, che non possiamo assecondare, sia proprio la faziosità, la comoda assunzione di verità facili, e poi la corsa a spada tratta contro i “responsabili”.

Stefan Krauch, Belebende Spannung (tensione vivificante)

Stefan Krauch, Belebende Spannung (tensione vivificante)

Se guardiamo i fatti dal punto di vista russo, vediamo che questo grande impero, l’Unione Sovietica, a un certo punto è collassato. E quando nel 1989/1990 i cittadini in Germania provocarono la caduta del muro superando la cortina di ferro, ci fu una “promessa” da parte della Nato: la promessa di non espandersi a est. So di cosa parlo [Gerald Häfner a quel tempo era nel Parlamento tedesco, ricopriva il ruolo di corrispondente sul tema del trattato di unificazione tra le due Germanie – N.d.T.], e so anche cosa viene sempre e nuovamente obiettato da una serie di autori, i quali sostengono che questa clausola non si trovasse nel trattato – e hanno ragione, perché quel documento regolava solo le questioni dei confini dell’ex territorio tedesco e la questione del confine polacco occidentale, null’altro. Tuttavia, quella garanzia venne data: Baker e Genscher la confermarono, e in seguito lo fecero anche Kohl e Bush; c’era dunque questa garanzia che la Nato non si sarebbe allargata a est not one inch («nemmeno di un pollice», come disse James Baker).

Ciò che abbiamo fatto allora è stato riflettere su un futuro ordinamento pacifico per tutta l’Europa. Gorbaciov aveva sviluppato il concetto di una casa comune europea; Eltsin aveva chiesto se la Russia sarebbe potuta divenire membro della Nato, in un patto trasformato, nel quale i membri di Paesi che prima avevano cercato protezione l’uno dall’altro ora si garantissero reciprocamente protezione e sicurezza.

Allora abbiamo colto un’iniziativa per una nuova costituzione tedesca, e lì abbiamo inserito proprio questo articolo: la Germania può essere membro di un’alleanza alla quale appartengono Stati che cercano protezione l’uno dall’altro, al fine di garantire la sicurezza in Europa mediante cooperazione e non più mediante ostilità. Questa era l’idea […] dalla quale nacque il progetto di cooperazione per la pace: furono tutti passi per sciogliere i blocchi di un tempo e condurre sempre più l’Europa entro un ordine pacifico.

Non posso ora enumerare tutti questi passi, voglio però individuare il momento che segnò una rottura. Dal punto di vista spirituale, a me sembra che accadde con l’11/9 e con il fatto che George W. Bush, il figlio del Presidente Bush che a suo tempo aveva condotto le trattative [di cui sopra], prese la decisione di scendere in guerra in molte parti del mondo, in una war on terror (guerra al terrorismo); era un’agenda against the axis of evil (contro l’asse del male), come la definì lui stesso. Afghanistan, Corea del Nord, Iran, Irak e Libia dovevano allora venir attaccati uno dopo l’altro. Nel segno di questa ideologia crebbe nuovamente il pensiero del dominio americano, e con esso l’idea di essere l’unica superpotenza al mondo.

E poi seguì, visto dalla prospettiva russa, l’accerchiamento. La Nato, passo dopo passo, continuò ad allargarsi a est; è giusto ricordare che si trattò in ogni caso di decisioni sovrane da parte di Stati indipendenti, e che questo processo non fu del tutto pilotato dall’esterno. Tuttavia, al più tardi quando Bush, in occasione del vertice Nato del 2008 a Bucarest, avanzò la richiesta di accogliere ora anche l’Ucraina e la Georgia nella Nato, la situazione divenne critica: questo passo, infatti, si spingeva chiaramente troppo oltre per la parte russa, che non mancò di segnalarlo con chiarezza. Del resto, in quella situazione Francia e Germania si espressero contro un eventuale ingresso nella Nato di Georgia e Ucraina, ritenendo un atto del genere pari a una dichiarazione di guerra alla Russia – un caso simile a quando i Russi posizionarono missili nucleari a Cuba, atto che per la parte americana si tradusse in una concreta minaccia bellica.

Se dunque la Nato si spinge così vicino ai confini russi, viene direttamente a mancare un tempo di allerta prima di un eventuale lancio di missili; allora la Russia non può più difendersi in modo adeguato, e questo – come era chiaro a tutti – significa che la Russia deve fare attenzione affinché la Nato non si avvicini troppo, fintanto che in Europa ancora esistono questi due blocchi.

Di fatto fu questo l’inizio di quella guerra fredda, sempre più gelida, che vediamo oggi. Putin ha poi attaccato la Georgia, e in seguito, nel 2014, la Crimea; dopo ci fu la guerra civile nelle regioni di Donezk e Luhansk, e ora la Russia ha invaso il territorio ucraino.

La crisi Russia-Ucraina

Se ora, solo brevemente, posso accogliere un terzo punto di vista, vorrei parlare dell’Ucraina. Quello che dirò, in alcuni potrà forse destare sorpresa, ma in altri anche dolore e in molti rabbia. Credo infatti, anche se è evidente che in questa situazione la vittima è l’Ucraina, che dobbiamo pur riconoscere che tutti hanno una parte di responsabilità nello scoppio di questa guerra. L’Ucraina, nella sua parte orientale ospita una popolazione prevalentemente russa, oltre il 90% degli abitanti residenti nelle zone di Donezk e Luhansk sono russi, proprio come in Crimea, dove oggi – ma non è sempre stato così – vivono principalmente russi. Questa era stata una politica di Stalin: al fine di impedire all’Ucraina e anche ad altre repubbliche di rafforzarsi troppo, vennero continuamente inserite nei loro territori altre aree, in modo da seminare tensione, nella prospettiva di scongiurare la nascita di unità troppo solide rispetto al potere centrale. Lo stesso fu il caso della regione di Nagorny Karabach, che a suo tempo per il 96% era abitata da Armeni, e che venne però inserita nell’Azerbaigian. Vediamo come dappertutto in queste regioni, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, ricominciarono le ostilità, che prima erano come congelate in quanto gli abitanti vivevano repressi, comandati dall’esterno, e mai direttamente interpellati.

Di fatto, dopo la guerra civile del 2014 vennero stipulati degli accordi, Minsk I e soprattutto Minsk II, in base ai quali l’Ucraina si è impegnata a concedere alle regioni di Donezk e di Luhansk uno statuto particolare all’interno della propria costituzione: quindi a consentire le elezioni, prima comunali e poi regionali, e a riconoscere la lingua russa come lingua ufficiale (in quanto lì usata dalla popolazione) accanto a quella ucraina. Quegli accordi non sono stati rispettati. La lingua russa è vietata, Donezk e Luhansk vengono trattate da Kiev come regioni rinnegate, non è stata riconosciuta loro alcuna autonomia, non sono state concesse le elezioni e dei protocolli di Minsk non è stato applicato niente. Bisogna dire chiaramente che anche tutto questo ha contribuito alla degenerazione che vediamo oggi.

Europe peace

Se posso aggiungere un’ultima cosa, desidero ora volgere lo sguardo su di noi. Noi in Europa abbiamo accolto con gratitudine la caduta del muro. Ne abbiamo tratto molti vantaggi soprattutto a livello economico, e poi anche, per esempio, grazie alle possibilità di viaggio che a un tratto si sono ampliate, il mondo è diventato più grande, più pacifico. Non abbiamo più motivo di sentirci minacciati. Lo vediamo, per esempio, dall’attuale condizione del Parlamento federale, dall’abolizione della leva obbligatoria, e da molti altri effetti a lungo termine che quell’avvenimento ha comportato. Tuttavia c’è una cosa che non abbiamo fatto: non ci siamo spinti più in profondità. Abbiamo superato la divisione solo a livello esteriore, geografico, ma non a livello politico, non a livello economico, e nemmeno a livello culturale. Non ci siamo mai interrogati sulle cause reali.

Un conflitto interiore che riguarda l’intera umanità era infatti all’origine dei due sistemi che essa ha posto in essere nella vita sociale: l’uno ha messo la libertà sopra ogni cosa, calpestando però la fratellanza e la socialità, e l’altro ha anteposto il comunismo, il socialismo, a scapito della libertà, tanto da diventare sempre più una specie di Arcipelago Gulag. Mentre il primo sistema diventava una sorta di enorme casinò dove ognuno poteva arricchirsi, alla porta accanto gli altri a malapena avevano di che sopravvivere. […] Da una parte, lo spalancarsi del divario tra ricchi e poveri, dall’altra la soppressione di ogni pensiero e di ogni idea indipendente.

Il senso della storia non può essere che un blocco, un sistema, una forza trionfi sopra l’altro, può solo essere che noi comprendiamo i motivi che sottostanno a tale confronto, e che impariamo come si fa a realizzare a un tempo libertà, democrazia, solidarietà o socialità insieme e, soprattutto, in Europa. L’Europa non è est e non è ovest, l’Europa è l’Europa.
Quindi, dal punto di vista europeo, l’Europa è il centro tra est e ovest, e deve integrare le forze dei due sistemi. L’Europa deve garantire libertà, deve sviluppare e assicurare democrazia. Ma deve anche sviluppare la socialità, cioè la fratellanza nella vita economica, l’essere un sostegno per l’altro. Non il combattere “contro”, non la guerra di tutti contro tutti, dobbiamo invece chiederci come possiamo creare qualcosa di buono per gli altri attraverso il nostro lavoro e il nostro agire. Questo è ciò che l’Europa deve realizzare, in modo libero e democratico. Nella misura in cui esaudiremo questo compito, abbatteremo le tensioni tra est e ovest, ottenendo un modello attraente che per venir diffuso non ha bisogno di armi, bensì di convinzioni.

Se guardiamo in avanti, questa sarebbe la proposta per l’Ucraina. È chiaro che questa guerra non troverà una fine sul campo di battaglia, perché come guerra non può essere vinta. Putin è entrato in una guerra che non può vincere. Non ricordo nemmeno un attacco bellico, negli ultimi decenni, che sia stato un successo in questo senso,: ogni guerra termina in un disastro, e questa guerra deve finire il prima possibile – e può finire solo mediante dialoghi, mediante la pace.

Dove potrebbe essere la soluzione? La soluzione non può risiedere nel tirare l’Ucraina da una parte e dall’altra, come al momento accade. Il tiro alla fune tra est e ovest provoca solo un progressivo peggioramento della situazione. Una soluzione potrebbe esserci soltanto se entrambe le parti, sia l’est che l’ovest, garantissero all’Ucraina la sua autonomia, la sua autodeterminazione, assicurandosi al contempo che essa non divenga una minaccia per altri Paesi. Dunque: la neutralità dell’Ucraina, garantita dalla Comunità delle Nazioni, garantita dai soldati dell’ONU e non dalla Nato. Questa potrebbe essere una via di uscita dalla guerra. Il secondo punto è l’autonomia per le regioni del Donezk e di Luhansk, la loro autodeterminazione – come in Sudtirolo in Italia, per esempio, dove tale autodeterminazione ha cancellato i conflitti, il terrorismo e la violenza.

È in questione, appunto, la possibilità per gli esseri umani di decidere da sé della propria vita, senza più essere sottoposti a una potenza esterna, come pedoni su una scacchiera. La domanda è se noi in Europa – e questo è il nostro demerito – riusciamo veramente a unire queste idee di libertà, democrazia e fratellanza. Questo è ciò che dobbiamo sviluppare, e imparare attivamente.

Non possiamo continuare a tollerare un modello economico che pratica lo sfruttamento e il saccheggio della terra e dell’ambiente, che usa la lotta di tutti contro tutti per produrre, alla fine, più freddo che calore, più discrepanze che pace nella società. E non possiamo nemmeno avere una democrazia nella quale gli esseri umani sono spettatori degli eventi e si limitano, ogni quattro o cinque anni, a eleggere i nuovi detentori del potere. Abbiamo invece bisogno di una democrazia che conferisca veramente la sovranità ai suoi cittadini; e abbiamo bisogno di una società nella quale ogni persona è libera, nella quale superiamo l’idea di poter giudicare un essere umano sulla base della sua nazionalità o della sua origine. Il fatto che i Paesi conducano guerre l’uno contro l’altro deve appartenere al passato. […]

Ogni essere umano è un individuo, ha la sua dignità che è indivisibile e che, in quanto tale, ci unisce tutti. Si tratta di dare a ogni persona la possibilità di vivere in pace e in libertà, svolgendo attivamente la sua vita civica. Impegniamo allora le nostre forze affinché l’Europa svolga un ruolo attivo in questi intenti di pace, per prefigurare il modello nel quale l’Ucraina possa crescere e nel quale la Nato e la Russia perdano progressivamente significato, perché il perno, il fulcro è in un nuovo ordine.

Rudolf Steiner, Lavagna del 20-10-1923

Rudolf Steiner, Lavagna del 20-10-1923

O mucca, devo imparare la tua forza dal linguaggio che le stelle manifestano in me
O leone, devo imparare la tua forza dal linguaggio che nell’anno e nel giorno l’atmosfera opera in me
O aquila, devo imparare la tua forza dal linguaggio che tutto quanto germoglia dalla terra crea in me

Questa è la considerazione con cui vorrei concludere. I nostri pensieri preparano il futuro, noi non siamo spettatori della storia, la storia è un libro che noi stessi scriviamo, non limitiamoci a leggerlo, ma scriviamo le pagine del futuro! Dalle nostre idee e dai nostri pensieri dipende quel che prenderà forma domani. Tutto ciò che noi oggi troviamo qui, ciò in cui viviamo, lo hanno pensato altri uomini prima di noi.

Pensiamo oggi le forme necessarie affinché l’Ucraina e l’Europa nella sua totalità, e a lungo termine anche la Russia e l’America, possano crescere in un ordine di pace, un ordine nel quale le due ideologie non stiano più l’una di fronte all’altra, minacciose e armate, bensì dove le armi possano venir deposte per incontrarci da esseri umani, in pace».