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Peter Selg – Sulla speranza e sulla fiducia nel futuro (parte 2 di 2)

Il primo Goetheanum (Johannesbau)

Immagine: Il primo Goetheanum (Johannesbau)

Conferenza via zoom del 14 dicembre 2021, un resoconto da vicino (di Alessandra Coretti)

Seconda parte

Durante la Prima guerra mondiale Friedrich Rittelmeyer chiese a Rudolf Steiner se non sarebbe stato possibile prevedere, o meglio, profetizzare l’esito del conflitto epocale. Steiner gli rispose che certo sarebbe stato possibile, ma al prezzo della totale astensione da ogni contributo a ciò che allora stava accadendo. Con questa affermazione egli polarizzò la profezia e l’azione attiva, come già nel personaggio dei drammi misteriosofici Benedetto, il quale quando interviene attivamente in un contesto perde la visione completa della trama in svolgimento. «In un certo senso, ma solo in un certo senso, Rudolf Steiner ha scelto questa via, senza dubitare: la rinuncia a una chiara visione d’insieme a favore di una disponibilità ad agire in questo mondo, senza sapere l’esito degli accadimenti. Una volta disse che l’impulso del Cristo al giorno d’oggi deve essere attivo come qualcosa che porta guarigione, per così dire con intento terapeutico; e che giungeranno altre epoche dell’evoluzione dell’umanità nelle quali l’impulso del Cristo verterà di nuovo di più sulla profezia. In questo tempo però la miseria dell’uomo è così grande, che un agire impulsivo ispirato al Cristo porta immediatamente ausilio – ma a svantaggio della facoltà di previsione. In questo senso, dall’inizio fino alla fine Rudolf Steiner si è impegnato in una vita activa, che tuttavia non lo privò della sua forza contemplativa».

Se seguiamo il percorso della coscienza storica e del ricordo, la maggior catastrofe in cui ci imbattiamo in relazione alla vita di Rudolf Steiner è la distruzione del primo Goetheanum alla fine del 1922, descritta in modo toccante da Ehrenfried Pfeiffer, un tema che probabilmente sarà centrale negli studi che si svolgeranno il prossimo anno. Studiando gli eventi di quegli anni si vede aumentare di mese in mese l’odio contro l’antroposofia e contro la persona di Rudolf Steiner, fino a culminare in «un incendio alla fine della demagogia». Schiller scrisse che la forza della resistenza e la potenza morale dell’uomo si possono giudicare solo sulla base della violenza dell’attacco da lui subito, e che in momenti del genere l’elemento più profondo dell’uomo diventa visibile. Un simile momento si presentò nella vita di Rudolf Steiner in occasione del grande incendio che in una notte divorò l’edificio del Goetheanum. Era questo un luogo misterico costruito con immenso impegno e amore, grazie al lavoro, al denaro e alla dedizione immessi in quel progetto da persone provenienti da 17 paesi diversi mentre infuriava la Prima guerra mondiale.

«In seguito a quel fatto» continua Selg «Rudolf Steiner ha spesso ricordato la distruzione del tempio di Efeso, che non fu un evento di poco peso: Efeso era il luogo in cui i misteri asiatici sarebbero stati trasformati, con una svolta, in misteri europei. E quel luogo venne distrutto, affinché ciò che era la luce d’oriente non ottenesse accesso, in forma mutata, in questa epoca europea. Rudolf Steiner aveva inoltre descritto puntualmente quale sarebbe stato il compito del Goetheanum – e ancora una volta seguì una distruzione. Si tratta dunque di grandi rovesci del destino, anche per la sua vita: il Goetheanum infatti non era solo il progetto per un edificio ornato di bei colori e belle forme, bensì era un polo centrale per un’attività che egli vedeva come decisiva per la civilizzazione».

Tuttavia il 1° gennaio, nel giorno successivo all’incendio, egli comunicò ai soci che un dolore di tale portata non poteva che essere un incentivo a continuare a realizzare al meglio quello che si riteneva giusto e che si sentiva come proprio dovere, fintanto che se ne avessero le forze; ai giornalisti convocati per commentare il disastro disse: «Io costruisco di nuovo. Il lavoro va avanti senza interruzione». Il flusso di attività di Rudolf Steiner non ebbe alcuna pausa nella notte dell’incendio. In occasione della prima riunione con lui dopo la catastrofe i presenti lo accolsero alzandosi in piedi, perché sapevano quanto avesse significato tutto il lavoro svolto, ed egli disse loro: «Signore e signori, potete esser certi che io non mi lascerò mai distogliere dalla mia via, qualsiasi cosa accada; finché vivrò porterò avanti le mie cose, e le porterò avanti nello stesso modo in cui l’ho fatto fino a questo momento. E naturalmente spero che non subentrerà alcuna forma di interruzione, di modo che anche in futuro potremo lavorare insieme, nello stesso modo, in questo stesso luogo».

Il lavoro con gli operai e con i soci non fu dunque tanto un nuovo inizio, quanto più una continuazione; alla Società comunicò che l’elemento tragico nella storia del mondo è sempre il medesimo, cioè il collasso delle condizioni esteriori, e che solo la forza interiore rimane, come capacità di continuare a lavorare a partire dal centro dello spirito. «Da questo punto dipende interamente la prospettiva del movimento antroposofico» chiarisce Selg, «arriveranno sempre rovesci del destino dall’esterno, nel bene e nel male, ma ciò non determinerà mai quel che sarà del movimento antroposofico. Secondo Rudolf Steiner non è decisivo quanto di costruttivo o di negativo arriva da fuori – e al momento è di certo negativo l’attacco da parte dei media nell’Europa centrale –, bensì ciò che è presente come energia interiore, è importante lavorare dal centro della vita spirituale. … E proprio nel momento più critico, quando esteriormente tutto crolla, deve diventare ancor più chiaro a cosa tenda la volontà interiore».

Commentando l’incendio della notte di San Silvestro, Rudolf Steiner affermò che sarebbe pusillanime nei confronti del mondo spirituale misurare la propria potenza tenendo come riferimento l’edificio ora distrutto. Così, per la sua prima grande conferenza pubblica dopo il disastro, che si tenne a Basilea, scelse un titolo provocatorio: Cosa voleva il Goetheanum e cosa deve fare l’antroposofia, alludendo al passato dell’edificio e al presente della scienza dello spirito. Per i giornalisti che vi presenziarono, quell’evento affollato fu impressionante. Da parte del relatore essi si sarebbero infatti aspettati lamentele e accuse in merito al disastro accaduto, e invece, come poi scrissero per il quotidiano di Basilea, «in lui non si poteva riconoscere nessun segno di disfattismo o avvilimento. Il dottor Steiner ammise schiettamente che il dolore per quella perdita fosse troppo grande per poter essere espresso, e tuttavia dalle sue parole si sprigionò così tanto ardore interiore, e una forza così inflessibile, che addirittura noi, che non condividiamo i fondamenti della sua antroposofia, siamo giunti alla convinzione che nella notte di San Silvestro il movimento a Dornach non abbia perso nulla della sua forza vitale, ma, al contrario, che abbia accolto un nuovo impulso significativo».

In senso antroposofico, quel “nuovo impulso significativo” può essere molto importante anche per noi oggi, se consideriamo ciò che Rudolf Steiner ha intrapreso nel periodo successivo all’incendio, in particolare il Convegno di Natale.

È bene ora distogliere il discorso dalla persona di Rudolf Steiner, perché sarebbe controproducente, se non fatale, concentrarsi sul pensiero che egli detenesse in tal misura quelle così straordinarie forze di speranza e di volontà per il futuro, e certo non noi. A questo punto è più interessante chiedersi da dove attingesse quelle forze, e la sua risposta, secondo Selg, sarebbe stata semplice e rilevante: dall’antroposofia, perché «l’antroposofia stessa è ciò che conferisce questa fiducia. Una volta disse che la speranza non è una volontà soggettiva di singoli uomini, bensì è un fatto, chiaro, che l’antroposofia stessa è voluta». Quanto più si approfondisce l’antroposofia, tanto meno si prova irritazione di fronte, per esempio, agli articoli diffamatori sui giornali – e questo non significa che tali attacchi si possano semplicemente ignorare: Rudolf Steiner si è sempre augurato che i soci reagissero e rispondessero, che si impegnassero concretamente a difendere l’antroposofia e il Goetheanum. «Ma l’antroposofia stessa, nel suo nucleo, il fatto che essa sia voluta dall’umanità, può diventare una forte certezza interiore. In un’occasione Rudolf Steiner affermò che essa doveva manifestarsi per motivi spirituali e divini».

Forse, riflette Selg, quando osserviamo il sorgere di questa nuova corrente spirituale, non dobbiamo guardare in modo troppo circoscritto alla sola antroposofia, nel suo nucleo essenziale. Il XX° secolo ha infatti portato nell’umanità molto di spiritualmente nuovo, nel senso di una nuova antropologia, della ricerca della relazione tra io e tu; nel secolo scorso è stato fatto molto «per l’uomo, per il divenire luce del regno umano» anche nel campo della filosofia, nel campo dell’arte, che ha inaugurato un linguaggio di colori totalmente nuovo. Che l’antroposofia dovesse manifestarsi per motivi spirituali e divini è un fatto che include moltissime sfumature, e che contempla tutti i grandi mutamenti avvenuti a livello sociale e culturale.

Il 1900 è stato davvero l’inizio di una nuova epoca. «Forse non è così sorprendente che il XIX° secolo avesse difeso se stesso ricorrendo alla forza: l’autoritarismo, il totalitarismo – cioè tutto ciò che vorrebbe impedire una filosofia della libertà, un’antropologia della libertà – divennero ancora più aggressivi. Si può imparare a comprendere tale aggressività come un convulso tentativo di non permettere al nuovo, al diverso di sorgere, perché il diverso mette in discussione quel che già si ha. Anche nel presente si ha l’impressione che tale aggressività fuori dal comune (che tra le altre cose torna ora a volgersi anche contro l’antroposofia) dimostri in fondo la crisi del sistema. Non si ha in pugno la situazione medica, moltissimi altri problemi incalzano; in una certa prospettiva è come se tutto precipitasse, e questo vale sul piano ecologico, economico e medico. Il sistema tenta allora ancor più convulsamente di imporre le proprie risposte. … Forse molte persone che agiscono con responsabilità percepiscono di stare facendo qualcosa come … correre dietro a una soluzione. L’antroposofia è adatta a dare scandalo, e infatti ci sono sempre state dissonanze, contrasti attorno a essa: antroposofi che davano e danno motivi per sollevare polemiche, oggi anche attraverso i media; c’è molta arroganza, molta saccenteria; c’è chi con una citazione di Steiner pensa di risolvere problemi globali. In fondo, però, non è verso ciò che si indirizza la principale aggressività. A mio modo di vedere essa si volge contro questo accesso così diverso all’uomo e al mondo, anche sul piano delle domande conoscitive, perché ciò viene percepito come una minaccia, benché il numero degli antroposofi non sia affatto considerevole – e infatti ci si sorprende della rilevanza che ultimamente viene loro data dai giornali. Ma già nel XX° secolo era stato così.

Rudolf Steiner puntava su questo tempo nuovo, e sull’arrivo di una nuova vita spirituale – e tutto ciò, di fatto, è già qui; egli disse: “se ci si spinge un paio di secoli in avanti con il pensiero, si può avere la coraggiosa speranza che il quadro generale possa cambiare”. Dove altrimenti non si ha nulla – continua Selg – si ha almeno la coraggiosa speranza che le cose possano cambiare, se si pensa a due secoli dopo».

Pur non potendo sapere quel che sarebbe stato, Rudolf Steiner si spingeva tuttavia nel futuro con il pensiero, con coraggio. Ci si può chiedere come sarà il 2022 per il Goetheanum, per le scuole Waldorf, per realtà ancora più grandi di queste: nessuno può dirlo, e le preoccupazioni sono legittime. Tuttavia, «si deve anche imparare a percepire nell’incontro con persone concrete, anche bambini, ragazzi e giovani, quanto succede attualmente nelle profondità dell’anima. Le generazioni che sono presenti oggi non hanno tutte un anelito all’antroposofia (almeno non in modo esplicito), ma è sbalorditivo che siano dotate di particolari forze dell’anima, anche nel senso di coraggio del futuro e di forze di speranza, sebbene conoscano le problematiche ecologiche e generali. Lascia sempre interdetti anche il fatto che non si interessino di politica; le generazioni più vecchie si chiedono, infatti, perché quelle più giovani partecipino così poco alle manifestazioni o perché non si occupino di politica, di fronte all’entità oggettiva delle minacce che incombono. Eppure, si può sempre stupirsi di quale certezza e fiducia nel futuro ci sia nelle persone giovani, una certezza che forse è tanto distante dalle soluzioni pensate dalla politica e dalla nostra coscienza che immagina. D’altra parte, si può anche vedere come questi giovani abbiano bisogno di una conferma che siano legittime la fiducia e la speranza che essi sentono profondamente in sé e nella relazione con un tu, che sia legittima una comunità di pochi, che un tempo di svolta arriva e può arrivare, che il materialismo nella sua forma non ci porta a un avanzamento e che nel XX° secolo qualche cosa si sia capovolto. …

Uno spirito di aspettativa può venir auspicato a ragione anche da noi antroposofi. La speranza è un principio di convivenza degli uomini e anche l’utopia – come, appunto, principio di speranza – è qualcosa di legittimo. Nella vita abbiamo bisogno della speranza – affermava Rudolf Steiner – perché senza di essa non potremmo muovere un passo. È interessante che egli dica “passo”, perché ogni passo che l’uomo compie mediante il suo sistema delle membra tende da dietro verso avanti, è compiuto in direzione di qualcosa di sconosciuto. L’uomo è un essere che eternamente avanza, raramente ci muoviamo all’indietro: di fatto, in base al nostro modello di movimento, noi uomini ci spostiamo da uno spazio posteriore verso uno spazio anteriore che è sconosciuto. La speranza la portiamo fin nella nostra corporeità, dunque non solo nell’anima, ma anche nel fisico. Una volta Rudolf Steiner ha descritto il corpo fisico come corpo di speranza, affermando che sull’antico Saturno le forze di speranza avevano formato i primi germi del corpo fisico. E ancora oggi sono le forze di speranza – e non intese in senso psicologico, bensì viste come reali forze di vita – che pervadono il corpo umano e lo sorreggono».

Viktor Frankl e altri che vissero la tragedia della Seconda guerra mondiale e dei campi di sterminio hanno potuto constatare come gli uomini morissero quando svaniva in loro la speranza. La moderna psiconeuroimmunologia sa molto del rapporto tra l’intenzionalità, cioè la forza visionaria che tende in avanti, di speranza, di relazione, e l’efficacia della difesa da parte del sistema immunitario. Rudolf Steiner osservò che «non si può far nulla di peggio per mantenere attiva una pandemia che mandare uomini nella notte con immagini prive di speranza, piene di tragedia e disperazione» – oggi potremmo dire: immagini dei reparti di terapia intensiva; «se si entra così nella notte, si indeboliscono gli uomini, e i germi che già erano presenti possono manifestare una patogenicità che prima non avevano». Tenendo presente che le forze di speranza compenetrano il corpo fisico, le paure rispetto al futuro agiscono parimenti fin nella corporeità. Che San Francesco potesse stare tra i lebbrosi in un contesto di altissima contagiosità, osservò Rudolf Steiner, è stato merito della sua enorme forza spirituale, che lo guidava e lo proteggeva.

L’antroposofia come antropologia ci insegna dunque come la speranza appartenga alle forze che costituiscono il nostro corpo fisico fin dai lontanissimi albori del processo di formazione dell’uomo, e come appartenga fortemente all’anima, soprattutto al polo della volontà e del futuro. L’antroposofia come insegnamento del divenire ci mostra poi come ogni nostra azione provochi delle conseguenze, non come fatalità, bensì anche in accezione altamente positiva: «ogni impegno, tutte le forze di aspettativa e di speranza che introduciamo non sono mai invano: vanno forse per una via diversa da quella che avevamo pensato, ma ogni sforzo dell’uomo ha a che fare con la sua forza di vita che crea il futuro.

Una volta Rudolf Steiner affermò che il più bel dono della scienza dello spirito era la conoscenza della legge di reincarnazione e karma, e la consapevolezza che l’agire dell’essere umano resti scritto. Naturalmente si inscrivono in profondità anche i nostri errori, ma allo stesso modo le azioni buone. Questo può metterci le ali, diceva Rudolf Steiner, e prima ho sottolineato che egli era un uomo così coraggioso e colmo di speranza perché aveva l’antroposofia dentro di sé. Non si limitava ad insegnarla, la viveva, perché è nella vita che l’antroposofia deve realizzarsi, “dal libro alla vita”, ed egli ha mostrato che questo è possibile. Da allora, molte persone in tutto il mondo hanno una visione condivisa dell’antroposofia come di una lingua che ci collega al di sopra delle altre lingue.

Penso che da parte antroposofica sia importante, tra la fine di un anno e l’inizio di quello nuovo, commentare l’attuale crisi mondiale. Molte sono le paure, qui in centro Europa come in altri paesi, ma il nostro compito non è solo quello di commentare i fatti del presente, evitando toni apocalittici, bensì dobbiamo farci garanti di queste forze del futuro, che naturalmente non sono facili da trovare. Se ci si chiede in concreto quale sia la via d’uscita dalla crisi da Coronavirus, non è affatto facile a dirsi; forse qui il compito non è avere subito una soluzione, ma prima di tutto risvegliare in sé queste forze di fiducia, speranza e aspettativa».

Accanto alle amare analisi della crisi del suo tempo, Rudolf Steiner tematizzò volutamente anche l’importanza delle forze costruttive. Nel pieno della prima guerra mondiale, in una conferenza tenuta a Berlino disse: «Oggi devo parlare di ciò che può risvegliare nell’anima umana forza, coraggio e speranza. Soprattutto, vorrei parlare di ciò che la scienza dello spirito può dare di altro all’umanità, rispetto a quello che le hanno dato secoli e secoli. E vorrei parlare della scienza dello spirito come di qualcosa di vivente, che non sia teoria in noi, bensì che faccia nascere in noi un uomo spirituale, che porta e che sostiene l’altro uomo nel mondo. E più di tutto io credo che di questo abbia bisogno il presente». Con questo intento sono organizzate le conferenze da remoto proposte dal Goetheanum, che a causa delle condizioni attuali è accessibile solo a pochi e con forti limitazioni: formare questo secondo uomo, quest’uomo spirituale che porta e sostiene l’altro nel mondo. Un altro sforzo è poi quello di scansare il pericolo di limitarci a ripetere i libri di antroposofia: il nostro compito è di accogliere in noi l’antroposofia trasformando i suoi contenuti in “energia morale, forza di vita e speranza di vita”, come auspicava Rudolf Steiner, in modo da introdurre un pezzo di scienza celeste nel mondo terrestre. Queste sono le grandi sfide dell’antroposofia oggi.

Secondo Tommaso d’Aquino, la grandezza d’animo e l’umiltà sono i due presupposti che rendono possibile la speranza: l’uomo che la coltiva deve dunque bilanciarsi tra queste due qualità. «Con magnanimitas Tommaso d’Aquino intendeva la tensione dello spirito alle cose grandi (extensio animi ad magna), il fatto che ci occupiamo di grandi idee e ideali. Il fatto che non consideriamo solo la nostra vita personale e privata, la nostra esistenza circoscritta e quotidiana, bensì che ci spingiamo molto al di là, sviluppando idealismo – un idealismo dell’uomo adulto, direbbe Rudolf Steiner, non un ideale di giovinezza. Grande d’animo è “chi esige da sé ciò che è grande, e di ciò si fa degno”, spiega Josep Piper, importante esegeta di Tommaso. Esigere da sé ciò che è grande è una questione di coraggio».

In una conferenza tenuta a Vienna nell’autunno del 1923 (O.O. 223), Rudolf Steiner parlò letteralmente di uno slanciarsi verso l’alto fino a venir colti dai pensieri dello spirito a tal punto, che essi diventano più reali di quelli fisici. «Se si è veramente riconosciuta un’idea nella sua portata, un impulso, anche se non è sempre realizzabile lo è come principio, nel futuro. Rudolf Steiner afferma che si può ottenere un bagliore della forza e dell’entità di Michele quando ci si collega così con gli ideali dello spirito, quando si sviluppa una tale incrollabile fiducia nello spirito. Quindi, restare saldi in questi ideali – eppure non in modo dogmatico, perché in una certa misura si deve sempre adattarsi alla realtà mediante la fantasia morale, ma questo non cambia nulla all’ideale, all’ideale percepito spiritualmente. Questa grandezza d’animo … e tale ascesa dello spirito, è sempre qualcosa di luciferico che però, se viene compiuto con umiltà, secondo Steiner potrebbe portare nella direzione di ciò che Michele vuole da noi».

Ma come si accorda l’umiltà a questo esigere il grande da sé, rendendosene degni? «Scrisse Schiller che “seria buona volontà è una grande, è la più bella qualità dello spirito. Il successo però giace in una mano più grande, superiore e invisibile. Solo l’intenzione dà valore all’impegno di forze”.

Da una parte, la coscienza che possiamo nutrire idee grandi e che vogliamo veramente perseguire tali ideali, e che vi siamo fedeli, e sviluppiamo questa fiducia nello spirito e nella possibilità di realizzazione. Dall’altra, la consapevolezza che noi non possiamo compiere quest’opera, perché alla fine non dipende solo da noi, forse non dipende affatto da noi, in quanto il successo, come disse Schiller, giace in una mano superiore e invisibile.

Umiltà significa rinunciare a imporsi mediante una prepotenza della volontà. L’attività spirituale può anche assumere una dimensione arimanica, può diventare dispotica, può atrofizzarsi, diventare egoista – anche nel caso dell’ideale migliore: lo abbiamo visto nella Rivoluzione Francese con Robespierre, e da quella volta spesso ancora, anche in ambiente antroposofico. Si può tentare di imporre con la violenza anche i più grandi ideali, ma non porta a nulla di buono. Di fatto è necessario lasciar andare, perché la mano in cui riposa il buon esito non è la mia, ma è superiore e invisibile. E poi c’è l’intenzione. È l’intenzione che dà valore al dispendio di forze. Lo interpreto nel senso che ciò a cui aspiro, la pura intenzione, è ciò a cui mi dirigo ed è giusto: in questo modo ho fiducia nella purezza di questa intenzione, ho la pura fiducia nello spirito – ma al tempo stesso rimetto il successo a qualcosa di superiore.

Agostino sostiene che solo all’umile è dato di sperare – e qui non allude a una speranza passiva, che semplicemente attende quel che accadrà, ma alla vera speranza, alla quale appartiene di certo l’umiltà. Nella Lettera agli Ebrei (Eb 6,10-20), Paolo dice che noi possediamo la speranza come una salda e sicura àncora dell’anima».

La bella immagine della barca dell’anima è evocata anche da Johannes Tauler, con la simbologia dell’albero dell’imbarcazione e del carico che essa trasporta. In Paolo si legge poi che l’àncora “penetra fin nell’interno del santuario, fin nell’interno del velo del santuario (v.19)”, dove “è entrato per noi Gesù come precursore (v.20)”. In un’esegesi di questo passo Tommaso d’Aquino ricorre all’immagine del Cristo che entra per noi nella tenda e vi àncora la nostra salvezza. La speranza, concepita come equilibrio tra grandezza d’animo e umiltà, è dunque una moderna via al Cristo. L’uomo è ancorato con la speranza nel più profondo fondamento (o: “motivo”, in tedesco è Grund) dell’esistenza dell’anima, e da lì cresce oltre se stesso.
Forse queste potenti immagini della speranza, evocate in conclusione a queste riflessioni di fine anno, hanno a che fare con la luce del domani che albeggia nell’uomo: «In noi il futuro c’è già, come aurora: diventa chiaro che questo in noi non significa “attraverso di noi”, bensì dentro di noi, in un livello molto profondo dell’umana dimensione dell’essere. …

Io spero che qualcosa di questo tema di speranza, luce e coraggio possa estendersi nel tempo che sta giungendo, un tempo nel quale si può essere attenti e tesi alle esperienze del cuore in questo periodo delle notti sante, e ai processi che possono realizzarsi nel mondo interiore e in quello esteriore, per poi avviarsi a un anno nuovo con questa forza d’inizio. … Moltissime persone guardano con grande preoccupazione all’anno che sta arrivando; tuttavia, se approfondiamo i nessi come abbiamo fatto nel corso di queste considerazioni, credo che venga interpellata anche un’altra forza nelle anime».

Ancora - rilievo su pietra

Fine

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