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30 Marzo 1925 – in ricordo della morte di Rudolf Steiner, una testimonianza

La tomba di Rudolf Steiner a Dornach

Cari amici,

questa settimana che annuncia la Pasqua è dominata dal ricordo della morte di Rudolf Steiner, avvenuta il 30 marzo 1925 al culmine di un’instancabile attività di ricerca e divulgazione. La sua fu un’attività che per mole e differenziazione è assolutamente irripetibile e non trova eguali, tanto da superare di gran lunga l’immaginazione che possiamo avere di come egli svolgesse nel concreto quell’enorme lavoro.  

A un secolo di distanza, possiamo ancora beneficiare del così grande dono che Rudolf Steiner ha affidato all’umanità: possa questo avvenire sempre e solo nella cura del ricordo della sua persona. Possa questo continuare nella più sincera gratitudine per la fatica immensa che egli affrontò, giorno dopo giorno, per irriducibile amore, in un percorso di vita che – in modo tanto più impressionante negli ultimi mesi della sua esistenza terrena – si manifestò come un reale sacrificio.

Un’eco della grandezza della sua persona e della sua opera è catturata nelle svariate memorie redatte da coloro i quali ebbero la fortuna di incontrarlo quando era in vita. Agli occhi dei molti testimoni, egli fu il Dottore di ogni ambito del sapere, fu la grande guida spirituale del XX secolo, il geniale innovatore del pensiero moderno – eppure, nei panni di un uomo semplice, infinitamente buono e umile. F. W. Zeylmans van Emmichoven (in Wir erlebten Rudolf Steiner, Stoccarda 1967, pag. 272) porgendo l’estremo saluto al maestro che da poco aveva passato la soglia, rivide tutto questo osservando le sue mani composte sul petto: “Mai non si vedevano mani del genere. Le sue erano vigorose come le mani di uno che fosse abituato ai lavori pesanti – ma erano spiritualizzate fin nell’ultima fibra. Con quelle mani scolpiva il duro legno. Con quelle mani tracciava la sua scrittura chiara e leggera. A quante, quante innumerevoli persone aveva porto la propria mano, e tutte avevano percepito quel gesto come una benedizione…”

Per omaggiare il ricordo di Rudolf Steiner, pubblichiamo qui di seguito una testimonianza che racconta dei suoi ultimi, estremamente intensi mesi di vita, dal giugno del 1924 con il corso per l’agricoltura tenuto a Koberwitz fino all’ultima comparsa del Dottore davanti a un pubblico di ascoltatori. È un racconto lucido, non sentimentale, che ha il pregio di regalare un’immagine dell’immenso carico di lavoro sostenuto dal maestro ormai al limite delle proprie forze – nonché un toccante ricordo della sua sconfinata generosità.

Rudolf von Koschützki – da Ricordi di un sacerdote

(tratto da Erinnerungen an Rudolf Steiner, cur. Erika Beltle e Kurt Vierl, Stoccarda 1979, pp.313 ss.)

«… Quella sera, quando erano già le 11 e a Koberwitz eravamo attesi per la cena, e anche le automobili davanti all’ingresso erano pronte per partire, Rudolf Steiner venne trattenuto in un colloquio da un giovanotto. Teneva il gomito appoggiato al tavolo e con la mano all’orecchio lo ascoltava attentamente. Quando il giovane però non accennava a terminare, mi collocai dietro alla sedia di Rudolf Steiner e indicai il mio orologio al ragazzo, tentando di fargli comprendere che doveva concludere. Ma quello non si lasciò disturbare, e la pazienza di Rudolf Steiner era grande, come anche l’interesse che portava incontro a ogni persona; così, dovemmo lasciare che le lancette continuassero a correre in avanti.

Alla fine, tuttavia, sedevamo a Koberwitz attorno alla lunga tavola imbandita. Dopo la stancante giornata, Rudolf Steiner a capotavola suscitava nell’intera compagnia una rinfrescante ilarità raccontando divertenti aneddoti. Ben dopo mezzanotte si recò nella sua camera e noi, che alloggiavamo in un vano sporgente dal quale vedevamo la sua finestra, potevamo constatare che egli, come sempre, lavorava per tutta la notte. Egli però ci diceva che quel convegno sull’agricoltura per lui era come una festa – ed in effetti si mostrava di giorno in giorno più riposato, benché fosse arrivato lì seriamente provato dal viaggio precedente.

Le sue giornate si fecero poi sempre più faticose, e sempre più opprimente divenne il peso che gravava su di lui. Lo rivedemmo ancora una volta in autunno, a Dornach, dove egli tenne parallelamente tutta una serie di corsi. Allora, in 14 giorni ci furono oltre 70 conferenze, e ognuna di queste era colma di nuove rivelazioni. Dopo una delle conferenze sull’Apocalisse che egli tenne per i sacerdoti, mentre si usciva la Signora Steiner rimase un attimo ferma di fronte a me e disse: “Davvero questo è ancora un uomo?” Già da tempo non c’era più alcun dubbio sul fatto che prestazioni del genere non si potessero realizzare poggiando sulla sola forza umana. E ancora, di gran lunga più gravose di tutto questo, c’erano le richieste di colloqui personali che gli vennero poste da almeno cento persone in quelle due settimane.

Un giorno, mentre attraversavo il disimpegno della falegnameria, Rudolf Steiner stava uscendo dal suo atelier. Allora un giovane si diresse dritto verso di lui, pregandolo di ottenere un colloquio. “È proprio necessario?” gli rispose il Dottore, “al momento sono veramente molto occupato.” Il giovane però non si lasciò congedare, diceva che era venuto fin lì da lontano, per ascoltare il suo consiglio e così via. Allora Rudolf Steiner tornò vacillante nel suo atelier e disse – forse l’unica volta in tutta la sua vita -: “Io non riesco più.” Pochi minuti dopo uscì di nuovo e comunicò al giovane l’orario in cui sarebbe stato disponibile per lui.

In una serata successiva, egli parlò per l’ultima volta nella falegnameria a tutti quanti i soci: artisti della parola, euritmisti, medici, teologi e altri membri ancora colmavano la stanza. Egli parlò in modo così chiaro, così oggettivo, come faceva sempre – tuttavia, regnava un’atmosfera di addio. Ognuno sentiva che non si poteva continuare così. Che era una tensione delle sue ultime forze. E questa stessa percezione viveva anche in Rudolf Steiner. Mentre parlava, quando per un momento allungò in avanti le mani – non portava più i polsini –, nei suoi polsi e negli avambracci potei vedere come egli avesse consumato anche l’ultimo grammo di sostanza corporea. Alla mia sinistra sedeva un’attrice, e io notai come le lacrime cadessero sulla sua gonna. Lo stesso vidi in una signora seduta davanti a me. Nessuno osava muoversi né ricorrere al fazzoletto.

Chi aveva partecipato ai corsi ripartì, come anche i nostri sacerdoti; soltanto in due del nostro gruppo eravamo ancora lì, il Professor Beckh ed io. Doveva ancora avere luogo una conferenza per i soci. Assieme al Professor Beckh, dalla mensa mi incamminai verso la salita. Era buio, e pioveva. Un’automobile che ci veniva incontro allora si fermò, e chi vi sedeva disse: “La conferenza è stata cancellata. Il Dottor Steiner si è ammalato.” Disse ancora alcune cose al Professor Beckh, il quale subito dopo mi disse: “Mio Dio, ora incomincia in lui lo stesso dolore per il quale morì il Buddha.” Nessuno poteva ricordarsi nemmeno di una sola volta in cui fosse stata cancellata una conferenza di Rudolf Steiner. Alcuni giorni dopo venne reso noto che egli voleva parlare ancora una volta ai suoi antroposofi. Salimmo alla falegnameria. Rudolf Steiner salì sulla pedana dell’oratore e sembrava che gli mancasse l’aria. Parlando però riacquistò di nuovo vitalità, fino a che, dopo circa venti minuti, dovette interrompere e uscì. La Dottoressa Wegman e la Signora Steiner si affrettarono dietro a lui. 

A partire da quel momento, a parte i membri della Presidenza furono in pochissimi a vedere Rudolf Steiner ancora in vita. Ma dal suo letto di morte egli lavorò fino all’ultimo giorno. Il “Mistero di Michele” infatti è sorto proprio in quell’inverno. L’ultimo capitolo e la notizia della sua morte apparvero contemporaneamente sulla rivista.»

Traduzione di Alessandra Coretti

 

Immagine: La tomba di Rudolf Steiner a Dornach (Di AlMare – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4020005)