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LA DOMANDA

Parsifal

Cari amici,

l’atmosfera di Pentecoste domina questa settimana dell’anno e pervade tutto con il suo respiro universale. Ci ricorda che c’è qualcosa che varca i confini, che supera le diversità di linguaggio, che tiene unita tutta l’umanità.

Rudolf Steiner definì Pentecoste la festa dell’individualità libera e del futuro in quanto legata all’impulso cristico di libertà. Il messaggio pentecostale del Cristo ha in sé forze di metamorfosi che risuoneranno in modo diverso in ogni tempo e potrà essere accolto dall’individuo e dal genere umano in divenire.
In questo ampio contesto, il cui colore di fondo necessariamente si trasforma di pari passo con l’evoluzione dell’essere umano, vogliamo ricordare un momento di svolta, la nascita di un approccio nuovo al messaggio del Cristo. Immortalata dalla letteratura medievale ci viene incontro, ancora luminosa, una figura leggendaria altamente significativa che Steiner indica come emblematica della nostra era: è Parsifal.

Parsifal cresce circondato dalle amorevoli cure della madre, che lo educa alla vita religiosa e lo protegge dal mondo esterno, attenta a tenerlo ben lontano dalla pericolosa vita cavalleresca del tempo. La segregazione dal mondo non gli impedisce di abbandonare giovanissimo la casa materna per intraprendere l’avventuroso cammino del cavaliere.

Varie peregrinazioni lo condurranno al misterioso castello dove è riposta la sacra coppa del Graal. Il custode del Graal, re Anfortas, da anni gravemente ferito, potrà guarire solo in seguito a una domanda precisa. Prescelto dal destino come l’unico in grado di porre la fatidica domanda, Parsifal è però ancorato al ricordo di antiche tradizioni cavalleresche tramandategli dal suo maestro – e resta in silenzio.

Il mancato adempimento del suo compito lo costringe a rimettersi in viaggio e ad affrontare un lungo periodo di assidui combattimenti mortali. L’incontro con un eremita e la ritrovata fede in Dio rendono Parsifal degno di fare ritorno al castello del Graal, di rivolgere al re la domanda risanatrice e di diventare egli stesso custode del Graal.

Che questa leggenda racconti per immagini un momento cruciale dell’evoluzione, cioè il passaggio dal modo antico di accedere alla sapienza superiore a quello nuovo, è chiarito da Rudolf Steiner in una conferenza tenuta a Oslo il 16 maggio del 1909.

Parsifal

O.O. 104a , Aus der Bildschrift des Apokalypse des Johannes  (Le immagini dell’Apocalisse di Giovanni) settima conferenza, pubblicata anche in O.O. 109
Sempre di più vediamo come nella nostra quinta epoca ci siano uomini che devono poggiare su se stessi, sul loro proprio io. Uomini ispirati come quelli [delle epoche di cui Rudolf Steiner ha parlato in precedenza, n.d.t.] diventano sempre più rari. Per questo si dovette provvedere affinché nella nostra quinta epoca sorgesse una corrente spirituale, la quale garantisse che conoscenze dello spirito potessero continuare a giungere all’umanità. Per gli uomini che devono fare affidamento solo sul proprio io umano dovettero provvedere individualità capaci di guardare nel futuro. In una siffatta leggenda ci viene raccontato che fu tenuta in serbo la coppa nella quale il Cristo Gesù aveva consumato la Cena assieme ai suoi discepoli. È la leggenda del Santo Graal, e nel racconto di Parsifal vediamo espresso il tipico percorso di formazione del discepolo della nostra quinta epoca postatlantica. Lì ha omesso una sola cosa, Parsifal, e in effetti gli era stato detto di non far tante domande. Questa è l’importante transizione dal tempo antico al tempo nuovo: nell’antica India per il discepolo era essenziale la maggior passività possibile nella sua dedizione, come in seguito lo fu ancora per Agostino, per Francesco d’Assisi. Tutte queste persone umili e devote si lasciavano ispirare da ciò che viveva in loro, da ciò che era intessuto in loro[1]. Ora, però, l’io doveva portare dentro la domanda. Oggi, un’anima che semplicemente accolga passivamente ciò che le viene dato non va al di là di se stessa, può soltanto osservare ciò che accade nel mondo fisico che la circonda. Oggi l’anima deve domandare, deve elevarsi al di sopra di se stessa, deve crescere da se stessa. Oggi l’anima deve domandare, proprio come lo dovette un tempo Parsifal a proposito dei misteri della rocca del Graal.

Così, la ricerca spirituale oggi inizia soltanto là dove ci sono domande. Le anime che oggi attraverso la scienza esteriore vengono sollecitate a domandare, le anime che chiedono e che cercano, quelle sono le anime-Parsifal. Così, dunque, è stata avviata quella corrente misterica, la tanto avversata via di formazione rosicruciana, la quale, pur accogliendo con gratitudine anche quanto è stato trasmesso, non conta su alcuna saggezza tramandata. Ciò che oggi costituisce l’orientamento spirituale rosicruciano è stato invece indagato direttamente nei mondi superiori, mediante l’occhio spirituale e grazie ai mezzi ottenuti dal discepolo che si è istruito da sé. E non perché nei testi del passato si trovi questo o quello, o perché gli uni o gli altri abbiano creduto una cosa piuttosto che l’altra: oggi un patrimonio di saggezza che è frutto di indagine viene annunciato attraverso l’orientamento spirituale rosicruciano. Un fatto del genere fu preparato a poco a poco nelle scuole dei rosacroce, fondate nel 13° e 14° secolo tramite l’individualità che viene chiamata Christian Rosenkreutz.

Così questo patrimonio di saggezza oggi può essere annunciato come teosofia[2]. Oggi appunto non ci sono più quel tipo di uomini che senza ricorrere ad essa ricevono, come qualcosa di “instillato”, ciò che li ispira interiormente[3]. Gli uomini che oggi sentono la teosofia parlare al cuore devono avvicinarsi a essa. E non c’è da far proselitismo, ciascuno deve giungervi grazie a un impulso proprio e libero – perché esso viene afferrato in modo vivente dalla conoscenza spirituale.

Così, attraverso questa corrente spirituale teosofico-rosicruciana, attiriamo a nuovo verso di noi quanto sussiste delle copie dell’io di Gesù di Nazaret. Così, coloro i quali si preparano in questo senso, attireranno dentro alla propria anima la riproduzione dell’io di Gesù di Nazaret. Per il fatto che la sua interiorità è come un’impronta del sigillo dell’io di Gesù, un uomo tale accoglierà nella propria anima il principio del Cristo. – Il rosicrucianesimo prepara dunque qualcosa di positivo. La teosofia deve diventare vita, e l’anima che l’accoglie veramente dentro di sé a poco a poco si trasforma. Assorbire la teosofia significa trasformare l’anima in modo che essa possa giungere alla comprensione del Cristo.

Il teosofo fa di sé un ricettacolo vivente [nella parola Empfaenger oltre all’accogliere c’è anche il concepire – N.d.T.]  di ciò che nella rivelazione di Jahvè-Cristo viene dato a Mosè o a Paolo. Così nella quinta lettera dell’Apocalisse si spiega come gli uomini del quinto periodo di cultura siano coloro i quali accolgono veramente in sé ciò che sarà qualcosa di naturale per il tempo della comunità di Filadelfia. La saggezza del quinto periodo di cultura, nel sesto, si dischiuderà come un fiore d’amore [un Agapanthus, una bella Lilia dal colore violetto, sarà il Sé spirituale – NdT].

Oggi l’umanità è chiamata ad accogliere in sé qualcosa di nuovo, qualcosa di divino, compiendo così di nuovo l’ascesa nel mondo spirituale. L’insegnamento teosofico dell’evoluzione viene comunicato, non gli si deve però aderire per fede, bensì l’umanità deve giungere al punto da comprenderlo a mezzo della propria forza di giudizio. Esso verrà annunciato a coloro i quali portano in sé il germe della natura propria di Parsifal [der Parzival-Natur]. Ed esso non verrà annunciato a livello locale, non verrà annunciato in un luogo specifico, ma gli uomini che sentono il richiamo della saggezza spirituale verranno messi insieme attingendo all’umanità intera.

Alessandra Coretti

 

Pochi anni dopo, nella conferenza tenuta a Berlino il 6 gennaio del 1914[4], Rudolf Steiner riprende a parlare della figura di Parsifal e delle domande che l’uomo di oggi deve proprio imparare a farsi.

Parsifal

O.O. 148, Il quinto Vangelo – Le conferenze di Berlino

Forse una volta parleremo anche qui dei temi trattati nel ciclo di conferenze tenuto a Lipsia, laddove cercai di tracciare delle connessioni tra l’evento del Cristo e l’evento del Parsifal[5].

Voglio far notare che il senso pieno e il decorso dello sviluppo dell’umanità si esprimono nelle cose più disparate che fanno parte di tale evoluzione, solo che le si comprenda e le si guardi nella giusta luce.

Non desidero occuparmi dell’idea del Parsifal e del suo nesso con l’evoluzione del Cristo, ma di qualcosa che a Lipsia occupò tutte le esposizioni.

E voglio farlo mettendo in evidenza la domanda: «Come ci sta davanti Parsifal?». Quel Parsifal che, alcuni secoli dopo che si era verificato il Mistero del Golgota, dovette costituire un gradino importante nel seguito dell’evoluzione dell’evento del Cristo nell’anima umana.

Ne conosciamo la storia: Parsifal è figlio di un avventuroso cavaliere e di Herzeloide. Il cavaliere se ne andò prima che Parsifal venisse al mondo. La madre vive dolori e pene già prima della sua nascita.

Ella vuol preservare il figlio dalle virtù cavalleresche e dallo sviluppo delle forze dei cavalieri. Lo educa nella solitudine e lo protegge dagli influssi che possono venir portati dalla convivenza con altri esseri umani. Parsifal non deve sapere niente di quel che accade tra gli altri uomini.

Ci viene raccontato che egli non sa nulla neppure di quel che nel mondo esterno viene detto a proposito di idee religiose di qualsiasi tipo. Dalla madre egli viene a sapere soltanto che c’è un Dio, che Dio sta dietro a ogni cosa. Egli vuole servire Dio, ma non sa nient’altro di lui.

A causa di un avvenimento, Parsifal però viene spinto ad abbandonare la madre, per venire a conoscere ciò verso cui è spinto. Poi, dopo una serie di peregrinazioni, viene condotto al castello del Santo Graal.

Le esperienze che Parsifal vive là ci vengono illustrate nel modo migliore da Chretien de Troyes, che è una fonte anche per Wolfram von Eschenbach.

Veniamo a sapere che una volta egli giunse in una regione boscosa costeggiante il mare; lì due uomini stavano pescando, egli li interrogò ed essi gli additarono il castello del Re Pescatore. Parsifal vi si recò, entrò e trovò un uomo debole e malato; giaceva su un letto e gli offrì una spada, quella di sua (di Parsifal) madre.

Entrò quindi uno scudiero con una lancia dalla quale gocciolava sangue fin sul corpo dello scudiero. Poi giunse una donzella recante una coppa dorata, dalla quale risplendeva una luce che eclissava tutte le luci della sala. La coppa venne poi fatta passare (vorbeigetragen) e portata nella stanza accanto, dove si trovava il padre del Re Pescatore, che veniva nutrito con il contenuto della coppa.

Una volta Parsifal aveva ricevuto da un cavaliere il consiglio di non fare tante domande. Perciò non chiese niente e si ripropose di chiedere riguardo a tutte quelle meraviglie soltanto al mattino seguente.

Ma quando al mattino si risvegliò, il castello era completamente deserto. Nel cortile trovò il suo cavallo, sellato. Dovette al più presto allontanarsi cavalcando, perché subito dietro di lui il ponte levatoio era stato rialzato. Non trovò nulla di quel che aveva trovato il giorno prima al castello.

Sappiamo che fu particolarmente importante che Parsifal non avesse posto la domanda, nonostante si fosse mostrato alla sua anima il più grande prodigio.

Nel procedere del racconto dobbiamo udire sempre di nuovo, da parte delle persone che incontrarono Parsifal e che hanno a che fare con la sua missione, il fatto che egli avrebbe dovuto chiedere e che la sua miseria è connessa a questo. Si fece sapere a Parsifal che, per non aver posto la domanda, aveva provocato una specie di sciagura.

Come ci si presenta Parsifal? Come un uomo rimasto separato dalla cultura del mondo esterno e condotto al Santo Graal, così che la sua anima verginale, non toccata dalla cultura esteriore, debba chiedere riguardo ai prodigi del Graal.

L’impulso del Cristo ha prodotto un’azione che gli uomini non poterono comprendere subito. Per il fatto di essere fluito nell’aura della terra, egli ha continuato ad agire, indipendentemente da quanto gli uomini hanno escogitato nei loro dogmi e nella loro erudizione esteriore.

Cristo operò nell’elemento sotterraneo dell’anima umana e del divenire storico, non nella coscienza di veglia e nei battibecchi teologici degli uomini.

In Parsifal vediamo l’essere umano, nel quale deve essere effettuato un ulteriore passo in avanti. Per questo egli non imparò niente degli insegnamenti gnostici, né dei Padri apostolici, né delle correnti teologiche successive. Di tutto ciò non doveva sapere nulla.

Parsifal deve essere unito all’impulso del Cristo solo per via della parte inconscia della sua anima, dove non può giungere niente di quel che è autorevole nel suo tempo. Se egli avesse ricevuto gli insegnamenti umani sul rapporto col Cristo, la sua relazione con lui ne sarebbe soltanto stata offuscata.

In Parsifal doveva agire solo quel che accade a livello soprasensibile nell’impulso sempre operante del Cristo. Le dottrine esteriori appartengono al mondo sensibile, mentre Cristo ha agito sul piano soprasensibile ed è questo che doveva operare in Parsifal.

L’unica cosa che doveva fare, quando nel Santo Graal gli venne incontro la realtà più significativa dell’impulso del Cristo, era di chiedere cosa esso contenesse, di chiedere che cosa sia l’evento del Cristo.

Egli deve domandare! Teniamo presenti queste parole, miei cari amici.

Un altro essere umano, invece, non doveva domandare. Ci è noto che il giovinetto discepolo di Sais non doveva fare domande. Per lui fu infatti fatale il suo voler chiedere, il suo far qualcosa che non avrebbe dovuto fare, il suo volere che fosse svelata l’immagine di Iside.

Il discepolo di Sais era il Parsifal del periodo precedente il Mistero del Golgota. A quel tempo però gli venne detto: “Guardati dal fatto che alla tua anima ‘impreparata’ venga svelato quel che sta dietro il velo.”.

Parsifal è il discepolo di Sais del tempo successivo al Mistero del Golgota. Ed egli deve essere “impreparato”, deve venir condotto al Santo Graal con animo verginale.

Parsifal tralascia la cosa più importante, non facendo quel che invece era stato proibito al discepolo di Sais. Avrebbe dovuto porre la domanda sui segreti dell’anima. Così cambiano i tempi nel corso dell’evoluzione umana!

Sappiamo tutte queste cose. In un primo tempo le accogliamo più in un modo astratto. Si tratta di ciò che si deve svelare con Iside.

Ci viene incontro Iside con il bambino Horus, figlio di Iside e Osiride, e il segreto della relazione tra Iside e Horus. In ciò sta un grande segreto. Il discepolo di Sais non era maturo per venirne a conoscenza.

Quando Parsifal si allontanò dal castello a cavallo, dopo aver trascurato di chiedere riguardo ai prodigi del Sacro Graal, incontrò per prima una donna, una sposa afflitta per il suo sposo appena morto, che ella teneva in grembo.

Era l’immagine della madre addolorata col figlio, più tardi divenuta spesso il motivo della Pietà[6].

Questo è il primo accenno a quel che Parsifal sarebbe venuto a conoscere se avesse posto la domanda sui prodigi del Santo Graal. Avrebbe conosciuto il nuovo rapporto tra Iside e Horus, tra la madre e il figlio dell’uomo. Ma avrebbe per l’appunto dovuto chiedere[7]!

Vedete, miei cari amici, con quale profondità accenni di questo tipo ci indichino quale progresso sia avvenuto nell’evoluzione dell’umanità. Quel che non era lecito accadesse nel tempo precedente il Mistero del Golgota deve avvenire nel tempo ad esso successivo, perché nel frattempo l’umanità è progredita.

Tutte queste cose hanno il loro giusto valore soltanto se le rendiamo fruttuose per noi. Quel che può fluirci incontro dal segreto di Parsifal, arricchito dall’immagine del discepolo di Sais, è di imparare a fare domande in un modo corrispondente al senso del nostro tempo. In questo sta l’evoluzione ascendente dell’umanità.

Dal Mistero del Golgota in poi abbiamo due correnti nell’evoluzione umana:

– una che porta in sé l’impulso cristico

– un’altra che continua nella decadenza e conduce alla vita materialistica del presente.

Nel nostro tempo la maggior parte della cultura esteriore è compenetrata da materialismo. E tutto quello che la scienza dello spirito può dirci sull’impulso del Cristo è necessario all’essere umano affinché possa vedere (einsehen) che le anime hanno bisogno dell’impulso interiore della spiritualità accanto al mondo esteriore che diventa sempre più materialistico. A questo scopo dobbiamo imparare a chiedere.

– Nella corrente spirituale dobbiamo imparare a chiedere

La corrente materialistica distoglie l’essere umano dal chiedere

Vogliamo soltanto porre queste due cose l’una accanto all’altra, per mostrare come sono l’una e l’altra corrente.

Riguardo agli esseri umani che vivono nel materialismo – anche se si tengono fermi a questo o a quel dogma o riconoscono a parole, in teoria, il mondo spirituale – si può dire che non sono persone che chiedono, perché sanno già tutto.

È caratteristico della cultura materialistica del presente il fatto che gli uomini sappiano già tutto. Persino i giovanissimi sanno già tutto e non fanno domande. Si reputa infatti che sia libertà personale il poter esprimere sempre il proprio giudizio, solo che non ci si accorge di cosa rappresenti quel giudizio. Cosa rappresenta, infatti?

Noi cresciamo e, senza accorgercene, assumiamo sempre più cose dal mondo, per destino siamo fatti così che una ci piace di più, un’altra di meno. Forse raggiungiamo l’età di 25 anni, già ritenuta del tutto adatta per giudicare, e ci sentiamo assolutamente maturi e sicuri nel nostro giudizio, perché crediamo che provenga dalla nostra anima.

In realtà però in esso non sta nient’altro che la vita esteriore, quella appunto entro cui ci troviamo. E, mentre crediamo di far valere verso l’esterno il nostro giudizio personale, diventiamo tanto più schiavi, tanto più dipendenti nella nostra interiorità.

Noi giudichiamo, ma disimpariamo del tutto a fare domande. Impariamo a fare domande soltanto:

se sviluppiamo nella nostra interiorità l’armonia dell’anima, che mantiene venerazione e rispetto per tutti gli ambiti sacri della vita;

– se impariamo a non impegnarci con il nostro giudizio nei confronti degli ambiti sacri della vita;

– se possiamo trasporci in uno stato d’animo pieno di attesa;

– se abbiamo un certo timore (Scheu) ad impiegare il nostro giudizio nei confronti di ciò che fluisce a noi dagli ambiti sacri della vita;

– se chiediamo al mondo spirituale, al quale non portiamo incontro il nostro giudizio ma piuttosto il nostro domandare già nello stato d’animo, nell’atteggiamento interiore.

Miei cari amici, cerchiamo di chiarirci quale differenza sussista tra:

– il porgere al mondo spirituale un giudizio;

e

– il porgergli una domanda.

Si deve sentire che c’è una differenza radicale tra queste due cose. E a questo è connesso qualcosa per il quale dovremmo avere speciale riguardo nella nostra corrente spirituale.

Essa infatti può prosperare soltanto se comprendiamo la differenza fra domandare e giudicare. Naturalmente dobbiamo anche giudicare, ma – nei confronti dei segreti della vita – dobbiamo imparare a conoscere l’atteggiamento pieno di attesa del domandare.

La nostra corrente spirituale progredirà grazie a tutto ciò che corrisponde a una siffatta atmosfera di domanda, mentre verrà ostacolata da ciò che a tale atmosfera si oppone.

E se in momenti solenni della vita ci porremo davanti all’anima tutto quel che possiamo ricavare dall’immagine di Parsifal che deve chiedere riguardo ai segreti del Santo Graal, allora, proprio dalla sua figura, acquisiremo un modello per la nostra corrente spirituale.

Guardando alle anime umane del tempo precedente il Mistero del Golgota, dobbiamo dirci che esse possedevano il patrimonio ereditario dell’antica chiaroveggenza, conservata di incarnazione in incarnazione, seppur sempre più indebolita. Con che cosa era unita quest’antica chiaroveggenza che andava scemando?

Era connessa a quanto è legato alla vista esteriore e alle altre attività sensorie. Per gli esseri umani del periodo antecedente il Mistero del Golgota avveniva che, quando da bambini crescevano, non imparavano soltanto a camminare e a parlare, bensì anche a vedere chiaroveggentemente.

Lo si imparava così come si impara a parlare dagli altri esseri umani, come si impara qualcosa che sorge dalla natura umana, allo stesso modo del parlare, che proviene dall’organizzazione del cervello e della laringe. Gli esseri umani non si fermavano lì, con l’imparare a parlare, ma apprendevano, oltre a ciò, a vedere chiaroveggentemente. Dunque l’antica chiaroveggenza era legata alla normale organizzazione dell’essere umano, così come questa stava entro il mondo fisico.

Chi era dissoluto doveva immettere la sua dissolutezza nella sua chiaroveggenza; e chi era un uomo puro portava la sua purezza nella sua chiaroveggenza.

La necessaria conseguenza di questo era che un certo segreto, il segreto del nesso che prima della discesa del Cristo esisteva tra il mondo spirituale e il mondo fisico terreno, non poteva venir svelato per la normale organizzazione umana.

Bisognava prima renderla matura. Al giovane discepolo di Sais non era permesso di guardare l’immagine dell’Iside-anima.

Nel quarto periodo postatlantico, nel quale avvenne il Mistero del Golgota, l’antica chiaroveggenza era scomparsa. Subentrò una nuova organizzazione dell’anima umana, che deve restare del tutto separata dal mondo spirituale qualora non faccia domande e non possieda l’impulso presente nel domandare.

Quelle stesse forze nocive, che in tempi antichi si sono accostate all’anima umana quand’essa voleva penetrare impreparata in quei segreti, non possono avvicinarsi se si pone la domanda sul segreto del Santo Graal, perché in questo segreto si cela quel che si è riversato nell’aura della terra dal Mistero del Golgota in poi, e che prima non vi era. Ma, se non si chiede, questo segreto ci rimane precluso.

Bisogna avere l’impulso di sviluppare ulteriormente quel che giace nell’anima. Prima del Mistero del Golgota quest’impulso non era presente nell’anima, perché il Cristo non era ancora giunto nell’aura della terra.

Prima del Mistero del Golgota, si sarebbe senz’altro sondato il segreto dell’immagine di Iside, semplicemente guardandola nel senso giusto. Grazie a quanto ancora era presente della forza chiaroveggente, un uomo avrebbe posto tutta la propria natura umana dentro quell’immagine e così l’avrebbe riconosciuta.

Nel periodo successivo al Mistero del Golgota, un’anima che giunga a porre le domande nel giusto senso potrà anche cogliere col sentimento (empfinden) nel giusto senso il nuovo mistero di Iside.

Per questo, miei cari amici, è importante che si arrivi a domandare nel modo giusto, a porsi correttamente di fronte a quel che viene annunciato oggi come visione spirituale del mondo. Se una persona ha solo l’attitudine del giudicare, allora può leggere tutti i libri, i cicli di conferenze e non verrà a sapere proprio niente, perché gli manca l’attitudine animica del Parsifal.

Se invece arriva qualcuno che ha la disposizione animica del domandare (Fragestimmung), verrà a conoscere qualcosa di ben diverso dalle sole parole. Nella sua anima farà esperienza delle parole. Quel che importa è che il nostro annuncio spirituale diventi un’esperienza interiore di questo genere.

Questo ci viene ricordato in modo particolare attraverso i significativi eventi che ebbero luogo nel tempo tra il colloquio di Gesù di Nazareth con la madre e il Battesimo di Giovanni nel Giordano.

Queste cose infatti divengono significative per noi soltanto domandando, chiedendo che cos’è che separa il periodo precedente il Mistero del Golgota da quello ad esso successivo.

Proprio in queste cose, il meglio è di lasciarle agire nella nostra anima. Tutto quello che ci possono dire è, in fondo, già contenuto nel racconto.

Per l’appunto in questa occasione, trattando questa parte del quinto vangelo, volevo fare tali considerazioni, volevo indicare come proprio per il nostro tempo sia importante comprendere l’attitudine animica di Parsifal.

Questa attitudine è comparsa in Richard Wagner, il quale cercò di darle corpo in forma musicale-drammatica. Non voglio occuparmi della controversia infiammatasi al riguardo nel mondo esteriore, perché la scienza dello spirito non è qui per immischiarsi in queste battaglie. Io non voglio prender posizione tra coloro che a Bayreuth prendono le difese di Parsifal e quelli che lo consegnano al regno di Klingsor.

Vorrei invece indicare che nel continuare a operare dell’impulso cristico là dove la forza di giudizio, la coscienza di veglia ancora non penetra, ma deve sempre più penetrare grazie alla visione spirituale del mondo, là deve di nuovo esser presente la disposizione animica di Parsifal e anche qualcos’altro, di cui parleremo ancora.

 

[1] Nella parte della conferenza che precede questo passo, è stato menzionato un particolare fenomeno che si manifesta nei primi secoli dopo il mistero del Golgota e che coinvolge le innumerevoli copie dei corpi costitutivi che furono di Gesù di Nazaret. Rudolf Steiner spiega cioè come alcuni esponenti della cristianità, che avevano raggiunto un particolare livello di evoluzione e che avevano una missione da esaudire nel contesto del Cristianesimo, a partire dal VI-VII sec. portassero come intessuta in sé la copia del corpo eterico di Gesù: fu questo il caso, per esempio, di Agostino o di Colombano. Tra l’XI e il XIII sec. operarono poi personalità che nel proprio corpo astrale portavano una copia del corpo astrale di Gesù, come nel caso di Francesco d’Assisi; tra il XII e il XIV sec. vissero poi personalità che accolsero in sé una copia dell’io di Gesù, come il maestro Eckhart.]

[2] Fino alla fine del 1912, prima della fondazione della Società antroposofica, le attività di Rudolf Steiner facevano capo alla Società Teosofica. Con la parola “teosofia” egli indica la scienza dello spirito da lui inaugurata.

[3] Vedi nota 1.

[4] Tradotta da Maria Rita Chiappa entro l’iniziativa “Tradurre Steiner”.

[5]  Rudolf Steiner, Cristo e il mondo spirituale. La ricerca del Santo Gral, Editrice Antroposofica. Sei conferenze tenute a Lipsia dal 28 Dicembre 1913 al 2 Gennaio 1914. Parsifal: il nome viene dall’arabo parsi che significa puro e fal che significa folle. Quindi è il “puro folle”, simbolo dell’innocenza incontaminata.  Oggi esporrò solo poche cose al riguardo.

[6] Due giorni dopo Steiner parlerà a Berlino, in una conferenza pubblica alla casa degli architetti, proprio di Michelangelo (8 Gennaio 1914, Ga 62), autore sia della Pietà vaticana sia degli affreschi su sibille e profeti, che sarebbero in relazione col tema del Graal (Cristo e il mondo spirituale, cit.).

[7] Si veda anche: Steiner, L’eterno femminile. Iside, Maria, Beatrice volti immortali dell’anima – Ed. Rudolf Steiner.