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Quello che non può morire

Quello che non può morire – Guenther Wachsmuth, una riflessione

Guenther Wachsmuth, una riflessione

Cari amici,

nelle ultime due dense settimane abbiamo riportato il pensiero alla figura di Rudolf Steiner nel giorno della sua morte, e abbiamo poi vissuto l’evento della Pasqua, illuminato dalla forza della Resurrezione.

In continuità con i temi del ricordo del maestro e del superamento della morte, condividiamo oggi le parole con cui Guenther Wachsmuth, membro della Prima Presidenza, concluse il proprio scritto intitolato Gli ultimi anni. In questa succinta e lucida testimonianza l’autore racconta di Rudolf Steiner tra il 1921 e il 1925, sulla base del ravvicinato rapporto di collaborazione che in quel periodo lo legò al Dottore – in quell’arco di tempo, infatti, Guenther Wachsmuth fu il suo accompagnatore, l’addetto alla sicurezza della sua persona e al quotidiano svolgimento di incarichi privati.

Al fatale anno 1925 l’autore dedica soltanto una breve pagina. Eppure, non soltanto riesce a testimoniare la statura spirituale di Rudolf Steiner, ma anche a inquadrare l’apporto più alto del suo operato, indicando in quello che non può morire una via per il futuro. Per noi che leggiamo oggi queste sue parole, si esprime un vivo incoraggiamento a proseguire il percorso inaugurato cent’anni or sono.

Guenther Wachsmuth – 1925 (tratto da Gli ultimi anni, in Wir erlebten Rudolf Steiner, Stoccarda 1967, p. 247)

«Al sopraggiungere dell’ultimo respiro, Rudolf Steiner chiuse gli occhi da sé, ma ciò non colmò lo spazio circostante dell’esperienza di una fine, bensì di una quanto mai elevata azione spirituale.

Nella statua che egli stesso aveva scolpito e ai piedi della quale egli ora giaceva, l’immagine del Cristo, ritratto nel gesto di incedere svelando le ampiezze dei mondi, esprimeva per gli occhi di quelli che erano rimasti sulla terra ciò che in quel momento avveniva nello spirito di un uomo così grande, un uomo che aveva consacrato la propria vita all’annunciazione dell’essere del Cristo.

Addirittura nel momento della morte Rudolf Steiner ha elargito doni agli esseri umani, offrendo loro il bene altissimo della consolazione, della certezza che la morte sia un cosciente ingresso nei mondi di vita e di azione spirituale.

Ciò che Rudolf Steiner in questa vita ha donato all’umanità non è stato solo un insegnamento, che può venir accolto o rifiutato, e nemmeno solo un’opera, che può venir edificata o distrutta. Insegnamenti e opere sono sempre soggetti al destino che i contemporanei riservano loro. Durante il percorso della sua vita Rudolf Steiner ha compiuto invece l’azione di accogliere dai mondi superiori l’essere spirituale “Antroposofia” e di incorporarlo nella sfera terrestre.

Un essere spirituale di tale natura, che ora vive dentro alla sfera terrestre, non può essere vinto a opera delle forze di opposizione quando annientano l’una o l’altra delle sue forme di espressione terrena.

Un essere di tale natura non perde la propria esistenza solo perché qualche decennio cieco non vuole vederlo.

Un essere di tale natura non muore, nemmeno se una parte degli uomini che abitano la terra dovesse negargli accoglienza, far fallire la sua opera o distruggere la sua dimora.

Perché l’Antroposofia è un essere di entità superiore, e in quanto tale edifica continuamente a nuovo il proprio corpo terreno.»

Traduzione di Alessandra Coretti

Guenther Wachsmuth

Guenther Wachsmuth