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Il contributo dell’antroposofia alla cultura del XX° e XXI° secolo. Seconda parte

Contributo dell'antroposofia alla cultura del XX e XXi secolo

Conferenza di Peter Selg del 24 gennaio 2022

«Naturalmente, scorrerà ancora un po’ d’acqua sotto i ponti del Reno
prima che vengano assegnati a uno scienziato dello spirito cattedre e laboratori
ora concepiti in modo puramente materialistico»
Rudolf Steiner, 25 novembre 1917, O.O.178

Cari lettori,

la volta scorsa abbiamo riflettuto sul carattere fondamentalmente scientifico del contributo dell’antroposofia alla cultura del XX° e del XXI° secolo. Tuttavia, dopo circa un secolo di attività e nonostante il successo e la visibilità dell’antroposofia in alcuni ambiti pratici (in particolare nella medicina, nella pedagogia e nell’agricoltura), la sua scientificità continua a venir messa in discussione. Non solo: la svolta culturale che la scienza dello spirito avrebbe il potenziale di avviare non accenna a realizzarsi. Da cosa dipende questa perdurante marginalizzazione dell’antroposofia? Dipende solo dalla civiltà del XXI° secolo, così poco incline ad accogliere impulsi di una spiritualità cristica, o è dovuta, almeno in parte, anche ad altri fattori, a fattori per così dire interni? Quali sono gli aspetti che ci riguardano direttamente, a quali sfide ci invita l’antroposofia al giorno d’oggi?

Buona riflessione!
Alessandra Coretti

«Credo che nel presente stiamo vivendo di nuovo una crisi, è molto chiaro. Altrettanto ovvio è che con una certa regolarità ricorrente dell’antroposofia viene messa in discussione la scientificità. Ma quanto più grande è lo zelo in questo senso, tanto più viene il sospetto che questo mettere in dubbio la scientificità dell’antroposofia sia espressione di una crisi – e “crisi”, per Jacob Wilhelm Grimm, ha il significato di “una decisione presa in un contesto in cui vecchio e nuovo confliggono”. Il paradigma del XIX° secolo ha causato dolori indicibili nel mondo degli esseri umani, nella loro vita collettiva, nell’ecologia… e in qualche punto questo paradigma si sta rovesciando. Al contempo però – questa è la mia impressione – vengono tanto più energicamente rifiutate le vie e le persone che si impegnano per realizzare il necessario ampliamento. Rudolf Steiner diceva sempre che non era lui ad aver posto delle domande, ma che «le domande stesse erano venute a lui dal suo tempo; che l’antroposofia cercava di porsi le domande attuali assumendosi le relative responsabilità, e che questo non dipendeva da lui».

Era il 1945 quando a Dornach venne pubblicato dal Goetheanum il libro che fino ad oggi ha riscosso il maggior successo: Le forze plasmatrici eteriche, nel cosmo, nella terra e nell’uomo [edito in Italia da Libreria Editrice Psiche]; un volume di Günther Wachsmuth di oltre 400 pagine dedicato alla Terra come organismo, che ottenne notevoli recensioni. Il suo autore, a capo della sezione di scienze naturali, era chiaramente molto preoccupato che sempre più avvenisse un’ingerenza, che l’uomo si spingesse entro l’organismo vivente della Terra, in modo distruttivo anche per il clima.

 

Immagine tratta dal libro di Wachsmuth

Immagine tratta dal libro di G. Wachsmuth

 

“Make the best available science the heart of politics and democracy“ (fate della migliore scienza disponibile il cuore della politica e della democrazia), esortava Greta Thunberg a Strasburgo tre anni fa. Per Günther Wachsmuth “la migliore scienza disponibile” sarebbe stata una scienza del vivente, e farla diventare il cuore della politica e della democrazia sarebbe stato realmente un obiettivo, un contributo dell’antroposofia alla cultura e alla scienza.
Non dipende sempre dagli altri se una scienza “sovra-ordinaria” trova difficoltà a imporsi. E qui vorrei elencare brevemente quattro punti che mi sembrano essenziali, anche per noi antroposofi. (…)
Una volta, nella raccolta Xenia, Schiller scrisse: “quando i re costruiscono, i manovali hanno molto da fare. Dunque direi che un primo punto è il seguente: laddove si manifesta un grande impulso, un impulso regale, inizia pian piano il faticoso lavoro della preparazione. Rudolf Steiner non fu una personalità di scarso peso nella storia della coscienza delle scienze, e ciò che venne così ampiamente sviluppato da lui fu un lavoro immenso! Rielaborare tutto questo – sia nei principi della conoscenza che nelle implicazioni nei singoli ambiti della vita – rappresenta uno sforzo gigantesco, iniziato da poco, in parte anche nel XXI° secolo solo avviato».

In effetti, numerose pubblicazioni scientifiche (nel campo della medicina, della biologia, della fenomenologia dell’anima, della scienza dello spirito), pur firmate da studiosi validissimi e pienamente nel segno del goetheanismo, solo con difficoltà vengono accolte anche all’interno della stessa Società antroposofica. Tuttavia,

«del fatto che un grande impulso scientifico resti ancora marginalizzato dopo cento anni, in fondo non c’è molto da meravigliarsi. Nel caso di Aristotele ce ne son voluti mille di anni, prima che il suo punto di vista scientifico venisse recepito ampiamente nella vita culturale. Oggi abbiamo l’impressione che non si dovrebbe aspettare così a lungo, in quanto ora agiscono determinate dinamiche, disturbanti e distruttive, che non ci consentono di prendere in considerazione con la dovuta serenità archi di tempo tanto estesi. Voglio però dire che l’elaborazione (anche interiore) di tali impulsi è un compito colossale, e richiede tempo. Spesso mancano i finanziamenti, le possibilità, le persone e, anche quando riesce, si tratta di un lavoro che non confluisce nella corrente culturale dominante. Eppure, resta un compito colossale: “quando i re costruiscono, i manovali hanno molto da fare”.

 

Benozzo Gozzoli, Il corteo dei Magi

Il secondo punto: di certo, nel XX° secolo, e anche ora, all’inizio del XXI°, non ci è riuscito di vedere con sufficiente chiarezza in quale mondo sia confluita l’impostazione scientifica ampliata dell’antroposofia – un mondo in cui esistevano anche altri approcci ampliati, che non si servivano del linguaggio dell’antroposofia ma che erano pur sempre altamente originali. Alle domande poste dal XX° secolo non ha risposto soltanto Rudolf Steiner, e rimarremmo strabiliati se volgessimo lo sguardo a un orizzonte più ampio, anche solo nell’ambito dell’antropologia, osservando chi e come abbia lavorato sull’essenza, sul senso e sulle potenzialità dell’essere uomini. Per citare Gerhard Danzer: “Nonostante tutto ciò che è accaduto, molti inizi in questo XX° secolo, molta luce”. Questo vale fin nella psicoterapia ma, si potrebbe dire molto a questo proposito, spesso il lavoro antroposofico è rimasto concentrato su se stesso. Più contestualizzazione dunque, non appiattimento unilaterale: vedere invece come davvero qui ci sono sfide che riguardano l’intero genere umano – e il contributo dell’antroposofia è una di queste.

Un terzo punto: esiste di certo un deficit nella percezione degli sviluppi altamente originali che ci sono stati anche nella cosiddetta “scienza normale”, quando ce ne sono stati. Senza dubbio, lungo la via della ricerca nella scienza naturale, nel XX° secolo sono state raggiunte, diciamo, profonde esperienze-limite, con un’inequivocabile spiritualità. Anche seguire questo filo è un compito della vita, che appartiene al medesimo progetto. 

 

Contributo dell'antroposofia alla cultura del XX e XXi secolo

Arild Rosenkrantz,  Arimane e Lucifero

 

Il quarto punto vorrei esprimerlo attraverso le parole di Wolfgang Müller: è un rischio quando l’antroposofia “si sminuisce da sé[Selbstverkleinerung], tenendo un basso profilo. Se ci viene chiesto che cosa dell’antroposofia sia scientifico o che cosa sia un arricchimento per la cultura, additeremmo forse le scuole Waldorf, con ragione. E Müller dice: ma questo non basta. Nel suo libro La sfida dell’antroposofia (Zumutung Anthroposophie, Info3 Verlag), che vale assolutamente la pena di leggere, si chiede:

«È possibile che l’antroposofia stessa abbia subito ciò che Steiner sensatamente contesta al cristianesimo moderno, cioè di non saper rappresentare il proprio obiettivo [Anspruch] spirituale nella sua piena portata? E l’antroposofia non ha forse reagito a questa carenza in modo molto simile a quello della chiesa, focalizzandosi sul piano etico-pratico? … Beneficenza e scuole Waldorf: attraverso questo linguaggio si crede ancora di potersi far capire. Volersi affermare mediante la propria utilità pratica – rimane questo quando manca ciò che è decisivo, cioè abbracciare pienamente il proprio contenuto reale, e presentarlo in una forma che possa venir recepita dalle mentalità oggi dominanti. Ma proprio questo potrebbe dotare la pratica di una solida ossatura. E proprio questo potrebbe aprire la via per non limitarsi a occupare solo una nicchia, bensì per avviare una svolta culturale.».

Questo, sulla parola d’ordine “sminuirsi da sé”. Dunque, è nei fondamenti spirituali di questi ambiti pratici che si trova il contributo alla cultura. Certo, gli ambiti stessi sono a loro volta un contributo, ma ancora prima viene l’impostazione scientifica della questione. Naturalmente, e lo sa bene anche Wolfgang Müller, non è affatto semplice presentare queste cose a un vasto pubblico (che peraltro nemmeno le vuole sapere).
Quando Kant non comprende Hamann, un filosofo spirituale, quest’ultimo gli risponde: “Se volete comprendermi dovete interrogare me, e non voi stesso.” Il che significa: siete anzitutto disposto a immedesimarvi in me oppure, come molti critici, posate su di me le vostre interpretazioni?
Se si osserva tutto questo, si ha un sentore di quanto sia difficile la questione – anche il contributo a una cultura scientifica che includa l’idea di moralità, come voleva Kant. E forse si comprende che cento anni non sono in fondo un tempo così lungo, soprattutto se sono stati anni di guerre mondiali, genocidi, catastrofi ecologiche. (…)
Per i fondamenti della scienza antroposofica c’è bisogno di tempo, forza e dedizione.

«Spero di esser riuscito a offrire una panoramica su questo tema, partendo da Immanuel Kant e dal fatto che nella cultura si trova la vita interiore di una civiltà. E vive forse in essa la domanda sul “che cosa è l’uomo” e sul “perché te ne curi”, come si legge nel Salmo?

 

Il contributo dell'antroposofia alla cultura del XX e XXI secolo

Andy Warhol, So many stars

Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perche di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perche te ne curi?
Salmo 8

Siamo poi passati per il significato di questa immagine dell’uomo nell’esempio della medicina: come può essere fatale questa riduzione alla corporeità fisica, tanto più se viene collegata a un pensiero selettivo… e da lì la sfida ad ampliare in modo vivente gli ambiti della vita culturale, cosa forse non sempre voluta dal punto di vista sociale, economico e tecnologico – nonché i compiti che accompagnano questo intento, anche all’interno del mondo antroposofico.

Potrei concludere citando Egon Friedell, un filosofo ebreo viennese che apprezzo molto, il quale una volta affermò: “cultura è ricchezza di problemi”. Il contributo dell’antroposofia alla cultura è di certo anche un contributo problematico. Con questo, tuttavia, non si vuol dire che essa stessa rappresenti un problema, bensì che essa accenni a qualcosa su cui è necessario lavorare. Dunque, nulla su cui adagiarsi soddisfatti, quanto piuttosto un grande ambito di ricerca, che è rilevante per la vita degli uomini. Cultura è ricchezza di problemi, intesi non come difficoltà, bensì come sfide che vanno colte».