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FARNETICAZIONI SUL MISTERO DEL “PADRE NOSTRO”

John Brunner, il Viandante-

di Piero Lay

Teologi e linguisti hanno versato fiumi d’inchiostro su questa preghiera fino alla recente decisione della C.E.I. di cambiare alcune frasi del testo tradizionale.

Oso divagare anch’io – anzi farneticare – su questo tema.

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME
VENGA IL TUO REGNO
SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ
COME IN CIELO COSI’ IN TERRA
DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO
E RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI
COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI
NON CI INDURRE IN TENTAZIONE
MA LIBERACI DAL MALE.

Questa è la versione tradizionale.

Lo studioso Mario Pincherle contestò l’uso dell’ottativo (vedi nota) spiegando che tale modo non esisteva nella lingua aramaica e propose la seguente versione:

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME
VENGA IL TUO REGNO
SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ
COME IN CIELO COSI’ IN TERRA.
TU CI DAI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO
E CI RIMETTI I NOSTRI DEBITI
COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI,
NON CI INDUCI IN TENTAZIONE
MA CI LIBERI DAL MALE.

Padre Giovanni Vannucci, grande esperto di lingua ebraica, fu d’accordo e proseguì su questa via suggerendo di sostituire anche il congiuntivo dei primi versetti con il presente indicativo. Così trasformando una sequela di richieste («ce le abbiamo messe noi» diceva) in una serie di riconoscenti constatazioni.

Propose perciò la seguente versione:

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
SANTO È IL TUO NOME
IL TUO REGNO VIENE
LA TUA VOLONTÀ SI COMPIE IN CIELO E IN TERRA
TU CI DAI IL PANE QUOTIDIANO
TU PERDONI A NOI I NOSTRI DEBITI
QUANDO NOI LI PERDONIAMO AI NOSTRI DEBITORI
TU NON CI INDUCI IN TENTAZIONE
MA CI LIBERI DAL MALE.

E ora le mie farneticazioni. Prendo la versione tradizionale e quella proposta da padre Vannucci come punti di partenza.

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI / id.

 Questo esordio mi ha sempre lasciato perplesso. È una formulazione, mi sembra, che spinge verso la trascendenza e contribuisce a rappresentare una divinità lontana, separata dall’uomo. In contrasto con le affermazioni evangeliche che offrono un divino anche immanente: “voi siete dei”, “il regno dei cieli è dentro di voi”, e “il Cristo in me” di Paolo.

Esistono altre possibili interpretazioni? Forse…

Cielo in ebraico è shamaim. Questo vocabolo, è stato rilevato, indica anche il duale (v. nota) della parola shem, nome. Quindi significa anche: due nomi.

Proviamo a prendere in considerazione questa versione e traduciamo:

Padre nostro che sei nei due nomi”.

SIA SANTIFICATO IL TUO NOME / SANTO È IL TUO NOME

Il Nome subito dopo i due nomi… una coincidenza?

Può darsi. Ma è noto che i devoti ebrei usano l’espressione: ha shem (il Nome) per riferirsi al divino evitando di pronunciare il sacro Tetragramma (JHWH).

Il verbo ebraico barà (cfr Gn 1, 1), creare, richiama anche l’atto del tagliare, cioè scindere, per cui si può pensare all’Uno che crea scindendo: scinde sé stesso nella creazione, sussistendo Uno come spirito e due come materia.

Ne consegue un triangolo: al vertice, il Nome – agli angoli della base, i due nomi.

In alto: l’Uno Santo del Creatore, in basso: il due del creato.

Un’immagine convalidata dalle prime due parole della Genesi che iniziano con la lettera bet (seconda lettera=2). La creazione nasce con il bet, cioè con il due.

Come non pensare anche all’Albero della Vita (Uno) / Albero della conoscenza del Bene e del Male (due)?

Ora oso leggere:

Tu sei nell’Uno e nel due, sei nell’Eterno e nel transitorio.

Rivierè, La tentazione nel deserto

Rivierè, La tentazione nel deserto

 

NON CI INDURRE IN TENTAZIONE / TU NON CI INDUCI IN TENTAZIONE

Da secoli questa formulazione continua a provocare disagi e interrogativi. Si è ipotizzato che la traduzione dal greco non fosse giusta, ma si deve ammettere che il verbo indurre traduce correttamente il vocabolo usato nei Vangeli.

Tuttavia, per rendersi conto di quanto sia comunque irragionevole e insensata la domanda di non indurci in tentazione basta ricordare che Gesù fu condotto nel deserto dallo Spirito “per essere tentato”.

Quindi si chiederebbe al Padre di non comportarsi come lo Spirito…

Una divagazione sul vocabolo “tentazione”. Questo termine normalmente, ma ingiustamente, viene associato al “male”. Si dimentica che l’uomo è la sola creatura a cui è stato concesso il prezioso dono della libertà. Un animale o una pianta non possono essere tentati, la natura provvede per loro. L’uomo invece ha la dignità e la responsabilità di poter esercitare la sua libera scelta proprio di fronte alle tentazioni, esteriori o interiori. Tali circostanze sono i mezzi offerti dal quotidiano affinché l’uomo evolva spiritualmente nella sua sosta terrena.

Arimane e Lucifero, è il loro compito, sospingono verso una data direzione, ma non possono obbligare: l’uomo è libero.

Le tentazioni sono prove necessarie, deliberate occasioni preziose di crescita spirituale, sono gli ineludibili esami della scuola della vita.

Identificare tentazione=male è come identificare esame=bocciatura.

Ma all’uomo è data la nobile possibilità di scegliere.

L’antica sapienza ebraica distingueva tre aspetti dell’anima che nel mio libretto “Il transito” ho così sintetizzato e semplificato:

(neshamà) ­

(ruah) ¯­

(nefesh) ¯

Nefesh è la parte dell’anima che, ci piaccia o no, abbiamo in comune con gli animali, quindi inevitabilmente soggetta ai richiami della natura.

Ruah dà la libertà di scelta. Un dono fatto solo all’uomo.

Neshamà è il possibile varco dalla natura al soprannaturale, al divino.

La permanenza sulla terra è la possibilità di evolvere mediante una incessante successione di scelte. Ogni giorno, ogni ora, ogni istante, l’uomo è “tentato”, chiamato a scegliere tra la forza statica della sua radice naturale e l’istanza verso una fioritura soprannaturale. Tutte le vicende del quotidiano sono “tentazioni”, quindi occasioni di crescita spirituale. L’uomo è libero.

Il richiamo di nefesh è forte, vistoso, spesso seducente, mentre la voce di neshamà è appena percepibile, quasi un “sussurro di vento leggero” (cfr I Re 19, 12). Ma l’uomo dotato di ruah può decidere a quale voce dare ascolto.

A commento del versetto della Genesi “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza…” padre Giovanni Vannucci ci diceva: “Dovete interpretarlo così: Io Dio e tu uomo facciamo insieme l’uomo”. Una libera collaborazione cosmica.

Chiedere di non indurci in tentazione equivale perciò a chiedere di essere esonerati dal dono della libertà. L’assurdità di questa domanda è sempre stata avvertita nei secoli. Già sant’Ilario di Poitiers (310-367) cercò di rimediare proponendo la versione, poi giustamente scartata, che oggi sembra tornare in auge: “Non abbandonarci nella tentazione” (in latino: “non derelinquas”).

Interroghiamoci con umile fermezza: chiedere a Dio di “non abbandonarci” è una richiesta giusta, è una domanda sensata? Il dubbio è legittimo…

Non soltanto è improponibile linguisticamente: il verbo greco dei Vangeli eisferein usato sia da Matteo sia da Luca non consente la traduzione “abbandonare”. Secondo i vocabolari questo termine ha una vasta ma circoscritta area di significati: portare, introdurre, proporre, indurre, sospingere…

Ma neanche spiritualmente è ammissibile: Dio non abbandona l’uomo.

Adam ha il divino (alef) nel sangue (dam in ebraico) e il Cristo è sempre con noi (cfr Mt 28, 20). Sant’Agostino conferma: «Tu eri con me, io non ero con te».

Solo l’uomo può abbandonare o ignorare il divino.

Ora se proviamo a usare il vocabolo “sospingere” con il presente indicativo suggerito da Pincherle e da padre Vannucci vedremo, con timore e tremore, emergere un’interpretazione sorprendentemente nuova, ben diversa, addirittura opposta rispetto a quella che abbiamo sempre dato per scontata.

In questa lettura la preghiera donata dal Cristo Gesù insegna che il divino non interviene nelle scelte umane. L’uomo è dotato di ruah ( ¯­ ) pertanto ha la facoltà di decidere, è libero, dignitosamente libero, responsabile del suo cammino. Perciò la seguente lettura “nuova” in realtà non è affatto nuova…

Lettura tradizionale: “Tu non ci sospingi nella (direzione della) tentazione”.

Lettura nuova: “Tu non ci sospingi (quando noi siamo) nella tentazione”.

Cioè:

«Quando noi siamo nella tentazione Tu non ci sospingi verso una direzione o l’altra, Tu non sospingi affatto, Tu non proponi, Tu non induci…»

All’uomo viene chiesto che il suo parlare sia sinceramente limpido: sì sì o no no (cfr Mt 5, 37), ma la scelta finale – oppure no – spetta a lui, soltanto a lui.

Il divino non lo sospinge verso una direzione o l’altra. L’uomo è libero.

MA LIBERACI DAL MALE / TU CI LIBERI DAL MALE

Nel libro Il transito ho fatto cenno alla bipolarità “Compiuto/Incompiuto” come senso originario di “Bene/Male”. In coerenza con i versetti precedenti, si potrebbe quindi proporre: «Tu ci lasci liberi nel nostro incompiuto».

Medardo Rosso, Ecce Puer

Medardo Rosso, Ecce Puer

 

La mia farneticazione si conclude con questa fantasiosa (ma riverente) preghiera:

PADRE NOSTRO,
 TU SEI NEI DUE NOMI DEL CREATO
E NEL NOME SANTO DELL’UNO INCREATO,
 COSÌ IL TUO REGNO SI COMPIE
 SECONDO LA TUA VOLONTÀ
DAL CIELO ALLA TERRA.
 TU CI DAI IL PANE DI OGGI E DI DOMANI
E CI PERDONI COME NOI PERDONIAMO GLI ALTRI.
 TU NON INTERVIENI NELLE NOSTRE SCELTE
MA CI LASCI LIBERI NEL NOSTRO INCOMPIUTO.
COSI’ SIA.

Kandinsky, Mosca, Piazza Rossa

Kandinsky, Mosca, Piazza Rossa

 

NOTA: L’ottativo era un modo verbale che esprime desiderio in greco e altre lingue indoeuropee. Alcune lingue antiche distinguevano tra singolare (uno), duale (due), e plurale (più di due).