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L’ASCENSIONE – Passi scelti di Rudolf Steiner

Albrecht Dürer, L’Ascensione di Cristo

Immagine: Albrecht Dürer, L’Ascensione di Cristo

Tratto da Ma cos’è questo cristianesimo? (O.O. 349)

«…E poi gradiremmo se lei ci parlasse anche dell’Ascensione avvenuta dopo quaranta giorni».

…E adesso arrivo alla domanda che mi era stata posta direttamente.

Vedete signori, i teologi istruiti di oggi spesso so­no ancora peggio di quelli non istruiti. Questi ultimi dicono: «Ebbene, poi hanno deposto il Cristo nel se­polcro e dopo tre giorni Egli è risuscitato in carne e ossa.» Al che quelli istruiti dicono: «Non crediamo che sia vero, perché nessuno esce dalla tomba.». Sarà anche oppugnabile, ma almeno è qualcosa che si può sostenere.

Cosa dicono invece i teologi colti? Vedete, Harnack è uno dei teologi più eruditi, molto noto e citato. E che cosa dice a proposito della risurrezione? Dice: «Non è possibile sapere cosa è successo nell’orto del Getse­mani (il luogo in cui si trovava il sepolcro).».

Il teologo istruito dice dunque: «Non è possibile sa­pere cosa è successo nell’orto del Getsemani, ma a po­co a poco molte persone hanno finito per credere che là sia risorto il Cristo. Questa è la fede pasquale alla quale pensiamo ci si debba attenere.».

Vedete signori, una volta, molto tempo fa, ho solle­vato questa questione all’associazione Giordano Bru­no di Berlino, il cui presidente credeva di saperne mol­to su queste cose. Quel dotto presidente ha risposto: «Harnack non può aver detto una cosa simile, perché allora sosterrebbe che non bisogna credere a quanto è veramente accaduto ma solo a ciò che crede la gente! Succederebbe come con la veste sacra di Treviri, a proposito della quale la gente dice: non si sa se sia pro­prio la veste indossata dal Cristo, ma visto che molti credono che lo sia ci crediamo pure noi!».

Questo ha detto un protestante a proposito della fe­de cattolica nella veste sacra di Treviri. Un altro esem­pio è quello delle ossa di S. Antonio: da un esame ac­curato è emerso che si tratta di ossa di vitello! La gente che ci aveva creduto non se l’è presa a male più di tanto, ma ha detto: «Non importa se è vero o no, ma se la gente ci crede o meno.».

Ma quello che conta non è ciò che crede la gente, bensì ciò che è realmente accaduto! In effetti la Bibbia lo narra meravigliosamente, solo che la gente non ci fa caso. Nella Bibbia non si racconta che è successo que­sto o quello, ma le sue pagine sono ovunque pervase dall’affermazione: «Gli uomini hanno visto questo e quello.». Ecco cosa si racconta nella Bibbia.

Si narra anche che le donne si sono recate al sepol­cro e si dice che cosa hanno “visto”. Si racconta che il Cristo è apparso ai discepoli di Emmaus e altro anco­ra. Si dice che il Cristo è stato visto.

A questo punto vi ricorderete che vi ho detto che l’uo­mo non è costituito soltanto dal corpo materiale che vie­ne deposto nella tomba, ma anche dal corpo eterico, dal corpo astrale e dall’Io. Ve l’ho spiegato con precisione.

Ebbene, il corpo fisico di Gesù di Nazareth è stato effettivamente deposto nel sepolcro. Mi sono occupato a fondo di questa questione ed è straordinariamente significativo che nel Vangelo stesso si dica che ci fu un terremoto. Ci fu un terremoto che produsse una spac­catura e il corpo venne risucchiato dalla Terra, quindi scomparve davvero.

Gli apostoli non hanno visto il corpo fisico, ma quel­lo eterico, il corpo sovrasensibile. Le donne e gli aposto­li hanno visto il corpo eterico del Cristo, non più Gesù di Nazareth, ma il Cristo, l’uomo interiore trasformato.

Ovviamente dovete rendervi conto che quanto è ac­caduto era qualcosa di assolutamente grandioso per i discepoli. Provate a immaginare di venir privati di qualcuno con cui siete cresciuti in amicizia perché lo si crocifigge o, come si direbbe oggi, lo si manda al patibolo. Il vostro legame intimo con questa persona produce un particolare stato d’animo.

Ed è proprio quello stato d’animo che ha messo i discepoli in condizione di vedere quelle cose, che li ha resi chiaroveggenti. Durante i primi giorni successivi alla risurrezione hanno visto il Cristo diverse volte, più spesso di quanto raccontano i vangeli. Ma quello che vedevano era il Cristo sovrasensibile.

Nelle Lettere di Paolo leggete la descrizione del ce­lebre evento di Damasco, dell’esperienza vissuta da Paolo nei pressi di quella città. Quando cadde in una sorta di sonno il Cristo gli apparve nelle nubi. Prestate attenzione al racconto di Paolo, che dice: nessuno po­trà togliermi la fede in Cristo, poiché anch’io l’ho vi­sto come gli apostoli.

Paolo non dice quindi che gli altri apostoli hanno visto il corpo fisico del Cristo, altrimenti dovrebbe so­stenere di averlo visto pure lui in quella forma. Affer­ma invece esplicitamente di aver visto il Cristo nelle nubi, vale a dire il Cristo sovrasensibile.

E dicendo di aver visto il Cristo come l’hanno visto gli altri apostoli, indica che anche loro ne hanno visto il corpo sovrasensibile.

La gente però crede che il fatto che l’incredulo Tommaso abbia dovuto mettere le mani nelle piaghe del Cristo stia a dimostrare che le cose non stavano così. Ma questo significa semplicemente che la pre­senza del Cristo era talmente forte che lo stesso Tom­maso era convinto di toccarlo. Tutto l’episodio è quin­di riferito al corpo sovrasensibile.

Certo, le piaghe avevano colpito profondamente i discepoli, e soprattutto gli apostoli. L’episodio sareb­be stato meno suggestivo senza l’accenno alla possi­bilità di toccare le ferite. Ma perché proprio quelle e non il viso o qualche altra parte del corpo? Anche in quel caso Tommaso avrebbe percepito la presenza del Cristo.

Ha posato le dita sulle piaghe perché queste aveva­no suscitato in loro una particolare impressione e per­ché la percezione del Cristo avuta dagli apostoli dipen­deva effettivamente dalla visione superiore. Possiamo quindi dire che per quaranta giorni i discepoli hanno avuto la certezza che il Cristo fosse ancora tra loro.

E da lì è sorta la dottrina cristiana originaria che si ricollega a quanto vi ho detto lunedì scorso, la dottrina cristiana che afferma: «Quando si muore, nella tomba rimane solo il cadavere, che poi scompare. Il Cristo ci ha mostrato di persona l’elemento immortale. Ha vagato sulla Terra per quaranta giorni nella sua forma immorta­le, l’abbiamo visto. E a Paolo è apparso addirittura mol­to più tardi. Significa allora che Egli è sempre qui.».

Anche oggi possiamo dunque dire che il Cristo è sempre qui, solo che gli apostoli dopo quaranta giorni non l’hanno più visto, poiché avevano perso la facoltà della veggenza. Allora hanno detto che se n’era anda­to, questa è l’Ascensione!

Si tratta di un evento che naturalmente ha riempito di grande tristezza i discepoli. Si sono detti: malgrado fosse morto, nonostante i nemici l’avessero crocifisso, è rimasto fra noi ancora per quaranta giorni. Ora però non è più qui, è tornato nelle altezze cosmiche.

E a quel punto furono veramente colmi di tristezza, non come quella che si prova di solito, ma una molto più profonda. E i dieci giorni di cui stiamo per parlare sono stati per i discepoli e gli apostoli un periodo in cui sono stati toccati nel profondo, e hanno riflettuto intensamente sulle parole del Cristo.

Quei dieci giorni sono stati sufficienti perché i disce­poli potessero dirsi: sì, tutto questo lo possiamo sapere anche noi, questa saggezza alberga dentro di noi. E do­po dieci giorni si sentirono abbastanza forti da poterla insegnare. L’immagine di questa consapevolezza è rap­presentata dalle lingue di fuoco sulle loro teste.

Ascensione - Andrea Mantegna

Andrea Mantegna, L’Ascensione

Tratto da Il destino dell’uomo (O.O. 226)

Dobbiamo raggiungere con l’anima ciò che nei tempi più antichi si raggiungeva più mediante il corpo fìsico. Se anche ammiriamo molto la vera civiltà paleoindiana, sia pure giuntaci da una successiva trasmessaci dalla magnificenza dei Veda, dalla grandezza della filosofìa vedanta e dallo splendore della Bhagavad-Gita, dobbiamo ben sapere che in quegli antichi tempi lo si poteva conseguire solo perché l’uomo, crescendo in età, riceveva qualcosa di spirituale, riflessogli dal corpo.

In quegli antichi tempi, nei quali dai trentacinque anni la vita declinava, lo spirito si liberava e veniva percepito dall’uomo, per così dire, ricompensandolo dell’invecchiamento, dell’indurirsi e del seccarsi del corpo solcato da rughe. I grandi poemi filosofici dei tempi antichi erano scritti non da giovani, ma da patriarchi divenuti saggi invecchiando. Era il risultato di ciò che ricevevano dal corpo. Nel tempo ora cambiato dell’evoluzione dell’umanità, ciò che in tempi antichi gli uomini avevano dal corpo dobbiamo acquisirlo dall’anima divenuta più forte. Il nostro corpo invecchia, e noi gli rimaniamo congiunti; non permettiamo allo spirito di liberarsi dal corpo, perché lo utilizziamo prematuramente.

Se non facessimo così, non diverremmo liberi. È qualcosa che dobbiamo accettare quale giusto nostro destino terreno. Ci deve però anche esser chiaro che l’anima deve per questo rafforzarsi. La forza spirituale, che per così dire ci giungeva in tempi antichi dal corpo indebolito, va ora conquistata col rafforzamento dell’anima. Lo si raggiunge guardando realmente con sguardo vivo al grande e poderoso evento celeste che si inserì negli eventi terreni col mistero del Golgota. Osservandolo, con la consapevolezza che i suoi effetti postumi vivono anche fra noi ma esistono nella sfera spirituale soprasensibile, si rafforza anche il nostro essere spirituale-animico e noi ci avviciniamo di nuovo al mondo. Il Cristo discese sulla terra affinché gli uomini lo potessero ivi vedere, dato che più non ricordavano di averlo visto in cielo. In effetti è questo che oggi il mistero del Golgota soprattutto ci indica.

I discepoli avevano ancora un residuo dell’antica chiaroveggenza e quindi potevano vedere il Cristo come loro maestro anche dopo la risurrezione, quando visse fra loro in un corpo spirituale. Quella forza scomparve loro però a poco a poco. La completa sparizione di quella forza viene simbolicamente festeggiata nell’Ascensione. I discepoli ebbero un grande dolore, perché pensavano che il Cristo non fosse più presente. Avevano sì vissuto il mistero del Golgota, ma quando il Cristo si allontanò dalla loro coscienza (lo videro scomparire nelle nuvole, vale a dire scomparire dalla loro coscienza) fu per loro come se non fosse più sulla terra, e caddero in un profondo dolore. Ogni vera conoscenza nasce dal dolore, dalla sofferenza, non dal piacere. La vera e profonda conoscenza nasce dal dolore; e da quello che provarono i discepoli per l’Ascensione del Cristo, da quel profondo dolore animico deriva il mistero della Pentecoste. Per l’esteriore chiaroveggenza istintiva dei discepoli scomparve la vista del Cristo, ma nella loro interiorità sorse la sua forza. Il Cristo aveva inviato loro lo Spirito che rese possibile alla loro anima sentire l’esistenza del Cristo nella loro interiorità.

Nell’evoluzione dell’umanità questo fu il contenuto della prima Pentecoste che seguì l’Ascensione. Il Cristo che era scomparso per la chiaroveggenza esteriore dei discepoli, rimasta loro dai tempi antichi dell’evoluzione dell’umanità, si presentò alla loro esperienza interiore nella Pentecoste. Le lingue di fuoco altro non sono che il sorgere del Cristo interiore nelle anime dei suoi discepoli. La festa della Pentecoste doveva di necessità seguire quella dell’Ascensione.

 

Ascensione di Giotto

Giotto, Ascensione