La lavanda dei piedi – Leszek Forczek

ARTE MORALE DI GRUPPO – RIFLESSIONI SULLA FORMAZIONE DI COMUNITÀ 1

Di Marjorie Spock

«Se la formazione di comunità qui immaginata è stata descritta come un’arte del relazionarsi,
è perché essa si eleva deliberatamente alle altezze dell’amore,
e ovunque ci sia amore, c’è abilità artistica»
Marjorie Spock.

Pianeta macchiato di sangue

Quasi sin dall’inizio, la Terra è stata un pianeta addolorato, oppresso dalla colpa, macchiato di sangue. E sebbene il tempo e l’evoluzione abbiano apportato grandi cambiamenti in meglio per molti aspetti della vita dell’uomo sulla Terra, la sua disumanità nei confronti dei propri simili non è diminuita, ma continua, aggiungendo sempre nuove forme di sofferenza a quelle già esistenti. L’ingegnosità umana che manda astronavi sulla Luna e rende possibile navigare per settimane sotto il ghiaccio degli oceani polari sembra inadeguata all’impresa di penetrare sufficientemente nei sentimenti dei nostri simili per imparare a trattare gli altri come vorremmo essere trattati noi.

Le forme della nostra barbarie sono state innumerevoli: fratelli che hanno alzato le mani contro i propri fratelli, i figli contro i padri, i vicini contro vicini, i governanti contro i propri sfortunati sudditi. Regioni in guerra contro regioni adiacenti; religioni che perseguitano i fedeli di altre confessioni; ideologie che combattono altre ideologie. In tutto il mondo, i valori più preziosi per la vita individuale e per l’impegno collettivo sono stati ripetutamente distrutti da coloro che avevano un altro sistema di valori. Perfino coloro che si sono uniti per promuovere una causa comune si sono trovati, in quasi tutti i casi, divisi da differenze di approccio, cosicché invece di cooperare essi hanno troppo spesso ostacolato gli sforzi dei loro compagni. Né sembra esserci alcuna prospettiva di porre fine a queste divisioni, che continuano a distruggere ciò che gli uomini hanno faticosamente costruito e rendono la vita sulla Terra molto più miserabile e futile di quanto sia sopportabile.

 

Utopia

Uomini di cuore, giunti al punto da non poter più sopportare la carneficina in cui si perde la speranza e le nobili aspirazioni vengono gettate al vento, hanno cercato ripetutamente di cambiare il corso degli eventi concependo e talvolta realizzando delle utopie. Queste erano invariabilmente basate sulla ragione e facevano appello alla ragionevolezza delle menti altrui. Tuttavia, nessuna di esse ha mai funzionato, né avrebbe mai potuto funzionare. Perché la luce della sola ragione non può penetrare fino alle radici profondamente sepolte del problema sociale.

 

L’arte sociale nella Filosofia della libertà

C’è solo una speranza certa, e non è stata ancora provata: basare il nostro intelletto e il nostro operato sull’esoterico. Solo l’esoterismo rende possibile vedere l’uomo intero, scoprirlo nel suo aspetto divino così come in quello terreno e, alla luce di questo quadro completo, riconoscere ciò che lo rende degno di stima e di amore.

L’Antroposofia fornisce quella luce esoterica. Ma affinché essa sia veramente fruttuosa per la Terra, coloro che ne ricevono i benefici dovranno dedicarsi al compito fondamentale di discernere, rispettare e aiutare a portare alla luce i frutti degli spiriti eterni dei loro simili.

Stato di oscurità

Se il genere umano non avesse mai lasciato il mondo spirituale per intraprendere la propria evoluzione nel regno della materia, non sarebbero mai esistiti i problemi sociali. Le anime umane sarebbero rimaste esseri di luce in un mondo di luce, dove ciascuna sarebbe stata vista, conosciuta e amata per le sue qualità luminose.

Ma affinché la vista, la conoscenza e l’amore potessero svilupparsi in libertà, gli uomini hanno dovuto essere separati dal mondo di luce da cui provenivano e immersi nell’oscurità della terra. Come risultato di quella separazione, la luce dentro di loro fu nascosta nell’interiorità dei loro corpi. Così, dal momento della leggendaria Cacciata dal Paradiso, muri di materia hanno separato l’uomo dagli dèi e dai suoi simili, proiettando le loro ombre nella profondità della sua anima e dividendolo dal suo stesso spirito. Le parole rovesciate della preghiera macrocosmica al Padre descrivono in modo bruciante il dilemma:

Amen!
Dominano i mali,
testimoni d’egoità che si libera.
Per colpa altrui d’egoismo,
vissuta nel pane quotidiano
in cui non domina la volontà del cielo,
da quando l’uomo si separò dal vostro regno
e obliò il vostro nome,
o voi Padri nei cieli.

Rudolf Steiner, Il quinto Vangelo – Colonia, 17-18 dicembre 1913

All’inizio, la Terra sembrava estranea a questi emarginati, la loro carne una prigione dalla quale desideravano fuggire. Ma con il tempo cominciarono a dare per scontati la Terra e i corpi carnali. Essi dimenticarono da dove venivano e che erano stati esiliati dalla luce affinché la riscoprissero attraverso la loro propria ricerca. Accettarono sempre più l’oscurità come una condizione normale. E nella loro condizione spirituale oscurata divenne loro possibile detestare – sì, persino odiare, disprezzare e desideraredi distruggere – i loro simili, a causa delle limitazioni dei loro corpi oscuri, generati.

Qui sta la vera radice del problema sociale. L’uomo separato da Dio è per lo stesso motivo separato anche dallo spirito dei suoi simili.

 

Essere di luce

Se, nel nostro modo di immaginare e di vedere, potessimo discernere l’uomo di luce attraverso l’uomo di tenebra, supereremmo questo problema. La maggior parte di noi semplicemente non è consapevole che sono il corpo e l’anima oscurata dal corpo, piuttosto che lo spirito, a irritarci al punto da spingerci al rifiuto e a indurci a distruggere un nostro simile. Pertanto, il primo compito di uno sforzo sociale illuminato deve essere quello di riconoscere tutto ciò e imparare a vedere attraverso l’oscuramento creato dal fatto che siamo tutti prigionieri oscuri della carne.

Le seguenti riflessioni possono rendersi utili in questa direzione.

Quando all’inizio l’uomo andò soggetto all’incarnazione, la sua carne era come una creazione nuova dello spirito. Come tale non era solo meno densa di quanto lo sia oggi – soffice, malleabile e simile a un fiore –, ma nella sua sensibilità di luce poteva rispecchiare l’interiorità vera, spirituale dell’anima.

Il tempo ha cambiato in peggio questo stato sotto due aspetti. La materia crebbe densa in tutti e quattro i regni; divenne opaca e sempre più resistente allo spirito della forma. Quindi la procreazione fisica introdusse un ulteriore elemento falsificatore: l’ereditarietà. A ogni nuova generazione, i corpi che venivano aiutati a scendere erano sempre più gravati dagli attributi fisici e animici di un antenato dell’uomo, oltre a quelli del loro proprio essere di materia oscurata. Questi attributi influivano in modo altalenante sull’entelechia individuale. Alla luce delle indicazioni di Rudolf Steiner in merito a quale pesante carico essi siano diventati in questo accumularsi fino ai giorni nostri, possiamo comprendere quando egli dice che oggi anche le anime più fortunate nella loro ereditarietà possono portare a incarnazione al massimo solo circa un settimo di quanto giace in loro. Quindi le anime umane del presente alla loro morte entrano nel mondo spirituale con la maggior parte delle loro capacità inutilizzate. Esse anelano solo più intensamente a trovare anime ancora incarnate che aprano se stesse alla loro ispirazione e che servano come canali attraverso i quali possano fluire le loro intenzioni creative nei confronti della Terra, che non hanno potuto realizzare.

Quale benedizione è conoscere tali fatti prima che moriamo, così che possiamo cooperare in modo più consapevole con il mondo spirituale e ricevere questa eredità!

Le intuizioni che si sviluppano dalle osservazioni di Rudolf Steiner sugli ostacoli rappresentati dal corpo possono davvero spingerci a guardare con compassione agli sforzi dei nostri simili, a cercare di capire la loro essenza spirituale, ad aiutarli piuttosto che continuare a ostacolare la loro evoluzione.

Anche solo sapere che li ameremmo, se li vedessimo, ci aiuta veramente a progredire nella direzione in cui li troviamo non oscurati. Gli atteggiamenti sociali diventano allora non un vago buonismo, un amore luciferico generalizzato per tutta l’umanità, ma la volontà di vedere attraverso l’apparenza esteriore del guscio che circonda coloro ai quali il nostro destino ci unisce e di scoprire lo spirito eterno che vi si nasconde.

Qual è la differenza tra un modo essoterico e uno esoterico di affrontare la vita, se non che il secondo risveglia la capacità di guardare oltre il velo dell’apparenza, cerca ovunque la realtà spirituale dietro quella fisica? Come aspiranti esoteristi noi facciamo poco onore ai nostri sforzi se, di fronte alla sfida più grande, l’uomo, abbandoniamo il nostro sforzo per comprendere e ricadiamo nella cattiva abitudine essoterica di prendere per vera la decima Gerarchia quale appare sulla Terra. Qui come da nessun’altra parte, la Maya chiede di essere compresa. E la Società Antroposofica può elevarsi al raggiungimento del suo compito esoterico e condurre il genere umano alla Nuova Gerusalemme, solo se si sforza e ha successo in quella comprensione, stabilendo quindi un nuovo ordine di rapporti intuitivi e amorevoli tra esseri umani.

 

Attitudini autenticamente sociali

Tutto, nei drammi teatrali e nelle conferenze di Rudolf Steiner, indica che egli si aspettava che atteggiamenti genuinamente sociali fiorissero tra i membri del Movimento Antroposofico, come risultato della ricerca esoterica. Quando ci si rompe la testa per capire perché ciò non sia ancora avvenuto in generale, diventa chiaro che, sebbene la nostra mente possa accogliere l’Antroposofia come concetto, l’abitudine alla Terra è così profondamente radicata in tutti noi, tranne che nei nostri momenti di meditazione privata, che non vediamo l’esoterismo come uno stile di vita onnicomprensivo che, se perseguito, cambia radicalmente i rapporti sociali. Fino a quel momento, anche se antroposofi, rimarremo nature corrotte della Terra, con la tendenza a seguire la via oscura della Terra nei nostri rapporti umani.

Un esempio di abitudine terrena che ostacola la pratica esoterica è la noncuranza del fatto che la partecipazione agli incontri antroposofici è la forma moderna di partecipazione ai Misteri. Gli incontri dovrebbero quindi essere concepiti come funzioni esoteriche, il cui scopo è quello di consentire ai partecipanti di varcare la soglia e avere un’esperienza comune del mondo spirituale.

Raggiungere questo obiettivo durante la vita terrena non è certo facile. Richiede un completo e deliberato rovesciamento dell’anima rispetto agli atteggiamenti che si tengono con il modo di vivere exoterico, un capovolgimento dall’esterno all’interno, una cancellazione delle percezioni e delle preoccupazioni mondane, in modo da rendere lo scenario interiore pronto per un’attività dell’anima puramente interiore. Eppure, in occasione di tali incontri, i nostri gruppi di solito non sono consapevoli della soglia. Prima dell’inizio dell’incontro, essi sono palcoscenici della strada al chiuso. Questo era vero anche quando il relatore era Rudolf Steiner! Le persone si affaccendano salutandosi, cercando il posto che preferiscono, chiacchierando, aggiornandosi sulle novità, cogliendo l’occasione per fare dell’ironia su un argomento con un membro a caso. Quando il maestro di cerimonia sale sul podio, spesso ha difficoltà a ottenere l’attenzione necessaria per dare inizio all’incontro, tanto è stato portato dentro il mondo esterno, tanto è dispersivo lo stato d’animo. Ne consegue uno spostamento dell’attenzione così tardivo e incompleto che la prima parte dell’incontro continua a risentire dell’impatto di onde di sensazioni essoteriche che si placano solo lentamente.

Quanto sono differenti queste scene sociali da quelle in cui l’anima mediatrice, sola con se stessa, si prepara degnamente ad entrare nei regni spirituali!

Il contrasto qui è molto stridente. Nei propri momenti di meditazione, l’aspirante è pienamente consapevole della natura esoterica del suo sforzo ed è determinato a modellarsi secondo quelle esigenze. Ma nelle riunioni di gruppo quella consapevolezza e quella determinazione non sempre sono presenti. Confrontando le due situazioni, diventa chiaro perché, sebbene i singoli progrediscano, siano sempre più profondi e diano contributi significativi al loro tempo, la Società come gruppo non riesca a tenere il passo, rimanendo per lo più piena di dissensi, indistinguibile da gruppi più mondani e molto meno feconda di quanto potrebbe essere.

Semplicemente non ha sviluppato il carattere esoterico concepito come sua ragione d’essere, né si è mossa nella direzione giusta per diventare il modello per una moderna scuola di Misteri.

Questi fatti possono avere un peso maggiore di quanto si riconosca generalmente. Sebbene ci si possa aspettare che una Società veramente esoterica basata sull’Antroposofia funga da potente lievito spiritualizzante nelle situazioni del XX secolo, finché la sua vita non raggiungerà quell’elevazione e non assumerà quel carattere, l’Antroposofia non potrà avere la dovuta influenza su questa epoca.

Ci sono due eccezioni a questo fallimento, dalle quali potremmo imparare molto sul modo per rimediarvi. Entrambi sono eventi sociali nella vita della Società: le riunioni della prima Classe e i funerali. In entrambi i casi tutti i partecipanti sono coscienti di trovarsi di fronte alla soglia, e prendono per scontato uno stato d’animo e un atteggiamento esoterico. Il secondo caso è particolarmente istruttivo. Infatti, in presenza del morto ogni critica cessa. I presenti cercano – alquanto tardivamente – di conoscere il defunto come spirito, di riconoscere i suoi sforzi, e di collaborare ad elevarlo verso una piena realizzazione del suo essere.

Si inaugurerebbe una nuova epoca se coloro che fanno questa commemorazione come una cosa naturaleriflettessero su quanto tali sforzi sarebbero stati molto più vitali – per il defunto e per il mondo – quando egli era ancora in vita e lottava perché il suo sforzo fosse utile sulla Terra.

La luce della Pietra di Fondazione della vera Società esoterica concepita da Rudolf Steiner brillerebbe dai caldi cuori, dalle menti illuminate dei suoi membri, per il miglioramento del futuro umano su questo pianeta.

 

La luce della comprensione

Rudolf Steiner ci dice che la missione della Terra è l’amore.

L’antroposofia serve direttamente questo traguardo. Lo fa non imponendo agli individui che la abbracciano di cambiare dall’oggi al domani da un atteggiamento denso di oscurità e pieno d’odio a uno di amore, ma attraverso la ricerca più meticolosa della realtà, grazie alla quale, a poco a poco, viene svelato il vero aspetto della realtà. Il contributo incommensurabile dell’antroposofia è quello di mostrare la realtà in una luce che rivela in modo specifico come lavora lo spirito. E vederla in quella luce significa amarla.

Questo non vale solo per i regni inferiori quando essi vengono osservati con comprensione. Vale anche nel caso degli Angeli caduti, Lucifero e Ahriman, che Rudolf Steiner ci ha insegnato a considerare come benefattori che meritano abbondantemente la nostra gratitudine per il loro sacrificioe la cui redenzione dipende dai nostri sforzi. E se rendiamo reale la luce della comprensione, non c’è forse ogni motivo di aspettarsi che questa luce ci consenta di vedere i nostri simili lottare coraggiosamente per uscire dalle tenebre con cui l’evoluzione terrestre ha oscurato i loro spiriti, di amare la loro lotta e la luce in fondo alla loro anima, e divoler sostenere i loro coraggiosi sforzi?

 

Il sentiero dell’amore

Il sentiero di amore che gli uomini percorrono a ritroso verso il mondo spirituale comporta un duplice obbligo: di aprirsi un varco verso la luce attraverso gli altri, e di manifestarla in se stessi. Cristo espresse così quest’ultimo concetto: «Lasciate che la vostra luce risplenda davanti agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone…». Chi segue il sentiero della luce compie opere di luce, illuminando la via per tutti: egli diventa una presenza luminosa in mezzo agli uomini, che lo amano liberamente. E attraverso il potere della luce così rafforzato in se stesso, egli è in grado di percepire la luce negli altri e di amarli. Duemila anni faCristo permeò la materia oscura del corpo con la luce del Suo spirito. Da allora, le anime illuminate dal Cristo possono fare lo stesso e, nei loro sforzi, diventare benefattori del genere umano. Questo è il compito che Rudolf Steiner nel suo discorso sulla Pietra di Fondazione assegnò a coloro che abbracceranno l’Antroposofia con serietà.

 

Imprigionamento nel corpo

Prima di poter amare i propri simili nel senso descritto da Rudolf Steiner nella sua Filosofia della Libertà e nel discorso sulla Pietra di Fondazione, è necessario aver sviluppato una certa comprensione di cosa sia la libertà.

Essere imprigionati in un corpo gioca un ruolo fondamentale nel raggiungimento della libertà. È paradossale ma vero che per diventare liberi bisogna prima diventare prigionieri. La libertà di cui si gode prima di diventare consapevoli della propria prigionia richiama l’assenza dell’ego, l’irresponsabilità: è la libertà di un bambino piuttosto che quella di un adulto. E finché rimane un sentimento sconfinato e informe, non è ancora l’opera d’arte che l’uomo ne avrebbe dovuto fare secondo l’intenzione degli dèi. La libertà, per essere creazione dell’anima, deve nascere plasmata dal nucleo dell’individualità e deve riemergere attraverso una fresca metamorfosi ad ogni nuova sfida dell’arte morale.

La causa per la libertà richiede quindi che gli uomini siano rinchiusi in un involucro corporeo che separa le anime l’una dall’altra, affinché sviluppino in isolamento il senso dell’ego.

 

Interesse personale

Quando una persona viene tagliata fuori dal mondo circostante, all’inizio vive in un vuoto, un doloroso vuoto che chiede a gran voce di essere riempito. Tutto il ricco interesse che l’ambiente circostante le offriva deve essere sostituito con un nuovo contenuto. Questo può essere attinto solo dall’interno. Così il mondo interiore diventa fondamentale.

Tale è stato il corso dell’evoluzione umana. La comunione con gli dèi, con gli altri uomini e con la natura è diminuita in proporzione al progressivo immergersi dell’uomo nella materia densa e, man mano che ciò avveniva, la consapevolezza di sé si è rafforzata e un nuovo mondo interiore di attenzione per se stessi, di assorbente interesse per se stessi, emerse al suo interno.

Vediamo questo processo evolutivo ripetersi in ogni bambino appena nato. Il bambino, appena emerso dallo spirito universale in un corpo individuale e separato, riflette immediatamente l’interesse per se stesso nei suoi bisogni corporei, sebbene per qualche tempo la sua anima trabocchi ancora dell’amorevole e generosa abbondanza della sua origine cosmica. Questa generosità innata può a volte prevalere sull’interesse per se stessi al punto da spingerlo, ad esempio, a togliersi il cibo dalla bocca per offrirlo agli altri, anche se poi potrebbe chiederlo indietro. Gradualmente, tuttavia, l’interesse personale si indurisce man mano che l’anima incarnata cade sempre più fortemente sotto l’influenza del corpo; l’egoismo individuale che si realizza attraverso il corpo alimenta l’egoismo. Solo dopo aver percorso la lunga strada verso la maturità l’anima può tornare a dare liberamente, questa volta per il senso di abbondanza che le deriva dall’unione consapevole con lo spirito.

 

Battaglie dell’ego

Tuttavia, tale maturazione può richiedere molte incarnazioni. E fino a quando non viene raggiunta, la vita dell’uomo sulla Terra soffre per due principali effetti dannosi dell’incarnazione: in primo luogo, una percentuale impressionante del tempo di pensieri e di sforzi di ogni adulto è dedicata alla cura dei bisogni del corpo, come se quello fosse l’unico scopo dell’esistenza. In secondo luogo, è nella natura dell’egoismo corporeo che gli individui mantengano se stessi, nell’esistenza fisica, in feroce competizione con altri individui che hanno anch’essi scambiato la loro consapevolezza infantile dell’abbondanza con un senso di privazione legato alla terra. L’ego combatte apertamente con l’ego per ottenere e mantenere ciò che è suo, che è sempre concepito materialmente (anche se, quando si tratta di quei beni spirituali quali i pensieri, non sono forse tutti gli uomini desiderosi di condividere con gli altri ciò che producono?)

 

Impulso sociale

A contrastare il conflitto dilagante sulla Terra c’è, tuttavia, un’altra forza: l’impulso sociale.

Ci illudiamo che tutti questi impulsi siano totalmente generosi. Ma la verità è che anch’essi scaturiscono dal vuoto e dall’egoismo del giovane ego. In tutte le anime, tranne quelle altamente evolute e simili a Cristo, l’impulso sociale ha la sua origine nel bisogno di riempire gli spazi vuoti nel profondo di noi stessi, per alleviare l’opprimente isolamento dell’individuo. Più l’anima si sente vuota e sola, più cerca freneticamente la compagnia nel suo bisogno di completamento al di fuori di sé. Ogni individuo ha avuto modo di osservare questa pulsione in se stesso e in altri. È vittima di un bisogno primordiale che lo spinge a «cercare qualcuno da poter divorare».

Per quanto sia spiacevole guardare in faccia questi fatti, che ci risvegliano così bruscamente dal sogno idealistico di noi stessi, che coltiviamo con affetto, è possibile compiere ben pochi progressi verso l’obiettivo della Terra: l’amore e la comprensione, a meno che non vediamo gli ostacoli che costellano il nostro cammino e cominciamo a rimuoverli. E dall’inizio alla fine questo sforzo è un compito di natura esoterica.

 

Comunicare con il mondo spirituale

Un individuo singolo può forse verificare quanto sia avanzato lungo il percorso che lo trasforma da uno che prende a uno che dà, cercando di sentire se e quanto riuscirebbe a concepire di rimanere contento da solo con i propri pensieri e senza compiti materiali che lo occupino e lo distraggano. Se è in grado di comunicare con il mondo spirituale attraverso il pensiero, è un uomo che sa come procurarsi soddisfazione prestando attenzione a ciò che è al di là di lui e infinitamente più grande di lui. I suoi pensieri sono quindi una forma di adorazione dello spirito. Una persona del genere si dimostra un compagno affidabile per i suoi amici. Egli non è più un vampiro inconsapevole che preda gli altri per nutrire la propria anima.

Fino a quando non si raggiunge quel punto, tuttavia, la fame sociale può assumere molte forme. Tutte le forme assumono tipicamente le sembianze dell’amore disinteressato, per nascondere i motivi egoistici che si celano dietro di esse. E le anime superficiali ne sono completamente ingannate.

 

L’avvoltoio dell’agnello

Così si espresse Christian Morgenstern:

L’avvoltoio dell’agnello è un uccello molto famoso;
L’avvoltoio dell’agnello lo conosciamo ora.
Non dice ‘bee’, non dice ‘buu’.
Ti divora semplicemente mentre ti abbraccia.
Poi rivolge occhi devoti a Nostro Signore,
Ed è da tutti riverito e adorato.

Il politico è l’esempio più evidente di agnello-avvoltoio. Ma quasi tutti possono vedere, attraverso le sue pretese di amore sacrificale, l’egoismo che lo possiede. L’egoismo nella sua vita privata tende, tuttavia, a passare inosservato, tanto siamo abituati a prendere per oro colato la devozione del genitore, dell’amico, dell’amato o del coniuge, del professionista, e di chi si unisce a gruppi di amici; siamo abituati a pensare che egli ami e serva perché dice di farlo e assume tale atteggiamento. Dovremmo prestare maggiore attenzione alla frase usatada genitori e amanti infatuati: «Sei così dolce che ti mangerei!». Gli psicologi troverebbero pochi clienti se ciò non fosse realmente accaduto in così tanti casi.

 

Relazioni avvoltoio-agnello

Ci si potrebbe chiedere perché il bambino, l’amato o altre vittime di impulsi divoratori si sottomettano a essere inghiottiti; perché, in effetti, sembrino gradirlo e persino esserne grati. La risposta non può che essere che si sentivano soli o avvertivano la minaccia di una incombente solitudine, come accade agli individui isolati prima che maturino. La fame sociale li spinge ad accogliere qualsiasi tipo di unione con altri mortali, sia come inghiottitori che come inghiottiti.

Nelle relazioni avvoltoio-agnello, tra i partner esiste quindi un tacito accordo, solitamente stipulato in modo del tutto inconscio, un accordo del tipo «ti gratto la schiena dove serve, se tu gratti la mia» che, sebbene non venga mai menzionato, è comunque generalmente rispettato nella pratica. Molti gruppi hanno questo tipo di intesa con i loro membri. È un accordo fondato sul principio che fa funzionare così bene l’appartenenza alla tribù e le compagnie assicurative: «La nostra protezione sociale (o finanziaria) per la tua lealtà (o premio)». In effetti, alcune chiese barattano persino la protezione del loro gregge e la promessa di beatitudine eterna con la rinuncia alla libertà di coscienza del comunicando. In breve, essi lo hanno inghiottito ed egli ha trovato comodo acconsentire.

Tali baratti hanno una base relazionale negativa. Ciò è chiaramente evidenziato dal loro atteggiamento ostile di fondo, del tipo «noi due (o noi dieci, o noi dieci milioni) contro il mondo», che li spinge ad aggrapparsi l’uno all’altro per competere, resistere o attaccare altri gruppi. In tutto ciò, lo spirito di separatezza permane; le unità separate includono semplicemente più di un ego in ogni corpo sociale.

 

Le onde d’urto

Uno degli aspetti più sconcertanti di questa separatezza è che l’intelligenza sembra impotente a superarla – perché non l’avrebbe fatto molto tempo fa, se solo fosse stato possibile? Non è stato più che ampiamente dimostrato che la guerra, che sia tra nazioni o tra privati, non ripaga mai? Per entrambe le parti è una situazione perdente, una distruzione senza consolazione per i combattenti così fortunati da uscirne vivi. E alla fine della guerra si trovano ad affrontare un futuro che sarà per lungo tempo oscurato dalle loro perdite. E questo non vale solo per la guerra sul piano fisico. Chiunque litighi con un altro o pensi negativamente a lui mette in moto una spirale di distruzione sempre più ampia che influenza il mondo intero, e con esso anche se stesso. Chi si osserva in un momento simile può rilevare come la propria figura si contragga a causa dell’ostilità, percepisce le onde d’urto di atteggiamenti insensibili che raggelano il terreno dell’anima, dove altrimenti potrebbero aver luogo sviluppi fecondi, e sente quale privazione, quale povertà spirituale, si insinui quando la gentilezza amorevole viene negata.

E questo deplorevole stato di cose, questa incapacità di affrontare una sfida quotidiana fondamentale, sembra doversi verificare nell’ambito più vitale dell’esistenza umana! In campi quale quello della fabbricazione di trappole per topi o di materassi, una situazione del genere non durerebbe a lungo. Infatti, coloro che sono impegnati nella produzione di articoli utili, come trappole per topi e materassi, riconoscono il fatto che operano in quel settore per far funzionare il prodotto, e continuano a studiare per migliorarlo fino a raggiungere quasi la perfezione. Ma gli esseri umani sono sulla Terra (non è forse vero?) per nessun altro motivo che quello di far agire l’amore. Perché non ne siamo un po’ più consapevoli e non riflettiamo sul nostro compito giorno e notte? Perché continuiamo ad anteporre quasi tutto il resto al nostro vero compito, a evidente detrimento nostro e del mondo?

 

Occhio morale allenato

Se fosse così facile vedere cosa succede nel mondo dell’anima come lo è capire il funzionamento di una trappola per topi, apporteremmo sicuramente rapidi miglioramenti nella sfera sociale. Ma senza un occhio morale allenato non ci accorgiamo di come l’altro essere umano sia raggelato quando è sottoposto al vento freddo dei nostri atteggiamenti avversi. Noi siamo ignari della carneficina dell’anima. Non vediamo la povertà dell’anima che c’è intorno a noi. Manchiamo di fare sul piano dell’anima, con le potenzialità in germe, ciò che ogni agricoltore e ogni giardiniere fanno con i semi fisici: li considerano come potenziali germogli, li piantano e li curano.

Non dobbiamo forse dire, allora, che siamo materialisti ciechi come gli altri uomini? Che il mondo dell’anima e dello spirito è per noi ancora una realtà primaria solo in teoria? Che dobbiamo ancora concepire e adottare atteggiamenti genuinamente esoterici nell’ambito importantissimo dei rapporti sociali?

Sebbene il mondo fisico offuschi effettivamente la realtà dell’uomo come spirito, il fatto essenziale della razza umana rimane che essa è una Gerarchia del mondo spirituale. La salvezza dell’uomo e della Terra dipende dal riconoscere questo fatto e dal porlo a fondamento delle nostre relazioni terrene.

 

Superare la Simpatia e l’Antipatia

Rudolf Steiner sottolinea ripetutamente quanto sia essenziale per chi aspira all’esoterismo superare la simpatia e l’antipatia. Anzi, ne fa un obiettivo primario del lavoro esoterico.

Tra le molte ragioni per cui egli dice questo, una spicca in particolare. È che superare la simpatia e l’antipatia significa raggiungere una profonda quiete interiore, senza la quale il mondo spirituale non può essere né avvicinato né conosciuto.

Non è forse questa la stessa quiete che deve essere raggiunta prima che la meditazione possa essere praticata fruttuosamente e che qui sopra è stata definita un prerequisito indispensabile per gli incontri esoterici?

Deve essere ovvio che qualsiasi incontro con il mondo spirituale richiede una completa quiete interiore come base per percepire ciò che vi si cerca. Come si può, allora, avvicinarsi allo spirito di un altro uomo con la speranza di trovare la sua realtà in uno stato d’animo diverso da quello di quiete, in cui simpatia e antipatia vengono messe a tacere? Uno stato d’animo così preparato è uno specchio senziente, il cui potere riflettente non è turbato dall’agitazione che possiede chi è spinto verso un altro per soddisfare la propria povertà sociale o che si ritrae da esso per evitare contatti indesiderati. Questa è certamente l’anima equilibrata, svuotata del proprio sé e di ogni egocentrismo, consapevole della soglia, pronta a sperimentare ciò che si trova oltre.

Solo così preparati si può percepire lo spirito di un altro essere umano.

 

Idolatria

I benefici che deriverebbero a un movimento esoterico da un’esclusione davvero rigorosa di atteggiamenti di simpatia e antipatia sono incalcolabili. Se ne possono scegliere e illustrare alcuni.

In primo luogo, significherebbe un avanzamento da reazioni incontrollate, inconsce e quindi infantili, a risposte consapevoli, controllate e veramente adulte. Sicuramente nessun altro cambiamento potrebbe essere più promettente per una disciplina esoterica.

Inoltre, il danno causato dall’idolatria, che è una simpatia esagerata, verrebbe eliminato. E questo sarebbe davvero un vantaggio per tutti i soggetti coinvolti: per coloro che vengono idolatrati, per i non idolatrati e per gli idolatranti. Perché idolatria significa formare una claque luciferica attorno a personalità presumibilmente speciali. Questo tende a tagliar fuori coloro che sono venerati dai membri non appartenenti alla claque, diminuendo così la loro fecondità: fa ingigantire menti che sarebbe molto meglio lasciare a grandezza naturale, e riduce al tempo stesso i membri della claque a persone insignificanti.

Infine, contrasta fortemente con la consapevolezza, di cui c’è grande bisogno, che tutti gli esseri umani hanno personalità uniche che meritano e richiedono di essere sviluppate. Impedire questo sviluppo porta a una perdita più irresponsabile di quanto qualsiasi iniziativa umana possa permettersi, pur continuando a sperare di prosperare.

L’esaltazione è quindi, sotto tutti e tre gli aspetti, una malattia – una malattia che si avvia verso un esito fatale, in quanto prosciuga gradualmente le forze dell’organismo, mentre alcune sue parti soffrono di gigantismo. Non è forse questo un cancro del corpo sociale?

 

L’orecchio: la base per una nuova arte dell’ascolto

Si potrebbe dire che l’esoterismo sia la pratica di un grado di attenzione superiore alla norma, che conduce a una consapevolezza al di sopra della norma: vedere la cosa significata nella cosa vista o sentire la cosa significata nella cosa udita.

L’orecchio raggiunge tale consapevolezza più facilmente dell’occhio. L’occhio è piuttosto un organo di superficie, disposto vicino alla realtà materiale e che risponde alla luce che rende visibile quella realtà, mentre la posizione dell’orecchio lo rende adatto all’interiorità. Esso non è, come l’occhio, in primo piano e curvato decisamente verso l’esterno, ma è piuttosto uno spazio in gran parte negativo, un sistema di cavità e gallerie che penetrano in profondità dentro la testa e si sistema bene dietro, dove la forma fisica è meno articolata. L’orecchio sembra ritrarsi, piuttosto che avanzare nell’esteriorità, invitando l’impressione percettiva a seguirlo all’interno, nel regno dell’anima. In una conferenza tenuta a Stoccarda il 9 dicembre 1922, Rudolf Steiner parlò dell’orecchio come di un filtro che separa il suono fisico dal contenuto animico del suono. È quindi molto più adatto all’uso esoterico di quanto non lo sia l’occhio.

Basta considerare la tendenza dell’occhio a rimanere alla superficie per averne conferma. La sua percezione di un essere umano è innanzitutto quella del corpo di quella persona; la sua attenzione è incline a lasciarsi catturare da aspetti corporei esteriori, come la struttura della pelle, o il modo in cui corre l’attaccatura dei capelli o la curvatura di un sopracciglio, a meno che non sia consapevolmente portata a cogliere maggiormente gli aspetti animici della fisionomia che sta studiando, a prestare attenzione a quella cosa nebulosa chiamata espressione. L’orecchio, invece, non si lascia ingannare così facilmente; tende ad andare subito al cuore di una questione e ha un’impressione immediata e completa dell’interiorità che vive e si muove dietro un’espressione.

L’orecchio è quindi l’organo di senso più adatto ad essere usato nella disciplina esoterica. E laddove i Misteri si estendono fino ad includere gli sforzi congiunti delle comunità, la coltivazione dell’orecchio come strumento esoterico diventa doppiamente vitale, in quanto costituisce la base per una nuova arte dell’ascolto.

 

Il non ascoltatore

Indicando la missione sociale dell’euritmia, Rudolf Steiner una volta commentò che l’ascolto è diventato un’arte che è andata perduta nel presente. L’ego è così isolato quando è incarnato che siamo tutti come se fossimo spiritualmente sordi. O, per dirla forse più precisamente, l’orecchio non invita più le impressioni a seguirlo all’interno; le lascia stare all’esterno, dove non possono essere comprese, mentre rivolge tutta la sua vera attenzione al sé. E questo è vero, non solo quando ascoltiamo una voce in modo astratto. Quante volte non riusciamo a cogliere un pensiero mentre leggiamo e dobbiamo tornare indietro e rileggerlo più volte per capirlo? Semplicemente non stavamo ascoltando. E se ci si chiede perché, l’auto-osservazione rende evidente che stavamo prestando attenzione esclusivamente ai nostri pensieri, impegnati in un dialogo continuo tra anima ed ego. In questi momenti, si assomiglia a quell’altra categoria di non ascoltatori: individui così egoisti che non smettono mai di parlare per sentire cosa hanno da dire gli altri ego – la dura realtà è che l’interiorità di nessun altro ha davvero molto interesse per loro.

Oggigiorno attribuiamo la mancanza di comunicazione a difficoltà di carattere semantico. Ma il problema ha un’origine più profonda e richiederà un certo sforzo per essere risolto: nientemeno che lo sviluppo di un sesto senso nell’orecchio.

Si possono trovare molti modi per conseguire questo sviluppo.

Tra questi c’è l’esercizio dell’euritmia (della quale Rudolf Steiner comunicò che proprio questa ha una missione sociale). Infatti, per rendere il linguaggio visibile, l’euritmista deve imparare a ritornare a vivere nel mondo spirituale del significato, dove viveva il pensiero del poeta prima che fosse espresso. L’euritmista ascolta non soltanto le parole, ma lo spirito che diede loro forma. E questa è un’attività attraverso la soglia, in cui ogni ascoltatore si deve impegnare, se vuole comprendere l’altro.

L’euritmia corale è un ulteriore mezzo di sensibilizzazione sociale, in quanto l’euritmista deve muoversi in armonia con gruppi che si muovono. Un’opera d’arte può essere raggiunta solo se vengono tutti guidati da un ascolto comune, nel quale ogni esecutore è consapevole non solo di un contenuto dinamico, ma della parte di tutti gli altri nel suo progetto.

Inoltre c’è, da parte dell’euritmista, l’attenzione alle parole. L’uso comune ottunde gli esseri umani alla loro meraviglia. Noi scorriamo le loro forme simboliche sulla carta e le rivestiamo nel discorso, dimentichi del fatto che ciascuna è un paesaggio pieno di contorni, con la musica che scorre attraverso di esso per poi raggiungere l’orecchio. Indubbiamente, queste forme e questi (l’ho introdotto)contorni e quella musica sono forze creative di un genere che non è secondo a nessuno nell’universo. È stato scritto che “In principio era la Parola” (…) e la Parola era Dio (…) E senza di essa niente fu fatto di ciò che è stato fatto”. Vogliamo rammentare al lettore la descrizione fatta da Rudolf Steiner di quel momento, nella vita dopo la morte, quando le anime rivelano le une alle altre ciò che esse sono: «C’è un tempo tra la morte e una nuova nascita in cui un essere umano diventa una parola spirituale: non una parola fatta di una sillaba o due, ma una parola tremendamente espressiva (…) che contiene l’individuo intero nella sua unicità. A questo punto (…) l’uomo è tremendamente e misteriosamente sapiente, ed egli rivela ciò che è al cosmo e ai suoi esseri». Ed egli continua: «Nella trasformazione, nel dopo-morte, delle forze dell’organismo inferiore nelle forze delle membra superiori della struttura corporea, è come se si desse forma ad un elemento plastico-spirituale, avendone il sentimento mentre si lavora. Si prende questo elemento plastico-spirituale, e lo si rilavora, ed esso si trasforma in una risonanza musicale ed infine nel parlare. (…) Ed ora rappresentatevi ciò che qualcuno (qui sulla Terra) esprime con le proprie parole fugaci e immaginate ciò che diviene (là) la rivelazione del vero essere della persona, una piena rivelazione di se stessi in parole. Ecco come gli esseri umani si confrontano, si distinguono e rivelano se stessi l’uno all’altro a metà della loro vita tra la morte e una nuova nascita. La parola incontra la parola; la parola articolata incontra la parola articolata; la parola vivificata incontra la parola vivificata interiormente. Ma queste parole sono le anime umane: il loro risuonare armonioso è un risuonare armonioso di parole articolate. Qui le anime vivono veramente l’una nell’altra. E la parola che un’anima è vive nella parola che è un altro essere (…) In tal modo noi parliamo assieme, ciascuno essendo esso stesso ciò che viene parlato». (Seconda conferenza, tratta da L’uomo soprasensibile alla luce dell’antroposofia).

Fa meraviglia quindi che, imparando ad ascoltarci l’un l’altro qui sulla Terra, noi possiamo sperare nuovamente di conoscere lo spirito dell’altro?

Durante le nostre vite terrene noi non siamo tremendamente sapienti come Rudolf Steiner riferisce che le anime siano nel periodo a metà tra la morte e il momento della reincarnazione. Non solo: noi non conosciamo gli altri, non conosciamo veramente noi stessi, eccetto che in pensieri consci e nelle pieghe superficiali dei nostri temperamenti, fino al momento in cui non avremo sviluppato organi per il mondo spirituale. Nel frattempo la nostra coscienza è così sommersa da strati terreni, che noi non possiamo né rivelare noi stessi, né udire altri che lo fanno, né le parole terrene che noi esprimiamo hanno alcuna rassomiglianza con la Parola cosmica.

Forse le parole sono superate, dovremmo ascoltare attraverso la voce, nello stesso modo in cui i Druidi guardavano attraverso la pietra dei loro cromlechs per scorgere la luce.

Se facessimo ciò, potremmo percepire l’ego nell’atto di formarsi e verremmo a conoscere l’uomo attraverso la sua attività.

 

ASCOLTARE IN MODO PERCETTIVO HA CONSEGUENZE SOCIALI INCALCOLABILI

 

  1. Attenzione a chi parla

In primo luogo, c’è ciò che l’attenzione procura all’anima di chi ascolta. Ogni volta che egli presta veramente ascolto agli altri, dentro di lui avviene un miracolo di superamento di se stesso. Se vuole capire la persona che sta parlando, deve distogliere l’attenzione dai propri interessi e farne dono a chi parla; egli purifica la propria scena interiore come chi per un certo periodo lascia la propria casa agli altri, rimanendo egli stesso solo nel ruolo di servitore.

Gli ascoltatori intrattengono proprio letteralmente il pensiero di chi parla. «Non io, ma Cristo in me» diventa realtà in ogni atto di ascolto autentico.

 

  1. Crescita dell’Idea

In secondo luogo, vediamo ciò che accade a chi parla quando ha la fortuna di essere ascoltato con attenzione percettiva. Un altro tipo di miracolo avviene in lui, che può forse essere meglio descritto come un germogliare primaverile. Prima che la sua idea fosse espressa a un ascoltatore, viveva nella sua anima solo come potenziale; assomigliava a una forza germinatrice che giace incolta nella terra invernale. Essere ascoltati con autentico interesse agisce su questo seme come il Sole, il calore, la pioggia e altri elementi cosmici che forniscono impulso alla crescita: il terreno dell’anima in cui l’idea è incastonata prende magicamente vita. Sotto queste influenze benefiche, i pensieri crescono a pieno ciclo e mantengono la loro promessa. Inoltre, essi conferiscono fertilità al terreno per il semplice fatto di avervi vissuto. Ulteriori idee saranno accolte più facilmente in tale terreno e germoglieranno con più vigore per l’armonia della sua vita. E l’anima che le ospita inizia a essere la forza creativa in evoluzione che era stata concepita dagli dèi.

Si comprende quanto gravi possano essere i peccati di omissione quando si considera la potenziale fecondità che si perde per l’uomo e per l’universo a causa di ogni incapacità di far risplendere la luce del nostro interesse sulle anime dei nostri simili sulla Terra. Trascurare questi giardini del nostro spirito significa per tutti noi una scarsità di nutrimento e di bellezza maggiore di quanto sarebbe sostenibile, e allo stesso tempo un incoraggiamento per le erbacce, che spuntano rigogliose in ogni terreno deserto.

 

  1. Pienezza Cosmica

In risposta all’ascolto, non solo germogliano le idee: quando i gruppi riflettono su di esse e le intrattengono, esse assumono la pienezza cosmica e multilaterale che appartiene ai pensieri in quanto universali.

E c’è almeno un altro miracolo connesso all’ascolto, uno simile al miracolo dei pani e dei pesci, in quanto il seme proliferante dei pensieri viventi cade sul terreno dell’anima degli ascoltatori, di quanti stanno veramente ascoltando, e inizia in ciascuno di essi un nuovo ciclo evolutivo.

Infine, i gruppi che promuovono la fondamentale arte sociale dell’ascolto creano una coscienza comune più elevata, capace, come una coppa del Graal, di ricevere e dispensare il sangue vitale magicamente vivificante del mondo spirituale. Coloro che ascoltano in modo percettivo altri uomini viventi non mancheranno di sensibilizzare il loro ascolto anche nei confronti dei defunti invisibili e delle altre schiere celesti che stanno forse cercando di ispirarli.

 

Arte conversazionale del dare forma

Se l’ascolto è l’arte di aprirsi a ciò che vive nello spirito altrui, il dialogo o la conversazione allo stesso livello elevato aggiungono l’arte comunitaria di dare forma alla vita evocata con l’ascolto e, attraverso lo sforzo di gruppo, di farne emergere le più ampie possibilità. Colui che prende parte a questa attività può rammentare il lavoro che Rudolf Steiner dice che noi facciamo quando, prima della nascita, aiutiamo a modellare le forme della testa di coloro che hanno rapporti karmici con noi? [Cfr. L’uomo soprasensibile] Conversare in senso goethiano è proprio quel genere di modellaggio, solo che questa volta riguarda la luce che vive nelle teste. Non è forse anche questo amore messo in pratica? [Cfr. L’uomo soprasensibile]

 

Soggettività

In nessun luogo, tuttavia, c’è una necessità più stringente di elevarsi al di sopra del livello di simpatia e antipatia come durante l’ascolto e la conversazione. Non possiamo percepire lo spirito dei nostri simili se permettiamo alle nubi della soggettività di intromettersi tra loro e la nostra comprensione. Quello sforzo deve essere liberato da ogni oscuramento affinché possiamo diventare – come i disincarnati – straordinariamente sapienti, capaci di vedere con chi abbiamo a che fare e che cosa l’amore richiede da noi in quella situazione.

 

Atto di purificazione manicheo

Una cosa che l’amore ci richiede di fare è digerire non solo ciò che viene detto, ma anche chi parla.

Ma quanto è diverso questo atto da quello in cui un ego affamato ne divora un altro! Si può definire un atto di purificazione manicheo, per il cui tramite lo spirito di sacrificio di chi ascolta cancella, o per così dire, assorbe le imperfezioni di chi parla; è come se le scorie di quest’ultimo fossero purificate dal modo in cui gli amici ascoltano. Allora ciò che è eterno nel suo essere emerge chiaramente e può tornargli rispecchiato per la propria conoscenza di sé.

Il gesto manicheo indicato non è frequente ai nostri tempi, né viene naturale all’egoità moderna. Eppure ha qualcosa in comune con il nutrimento parentale di altissimo livello. Una madre saggia lo compie per i suoi figli quando, quasi senza parole, li calma quando sono turbati e li riporta alla serenità. Essa ha, per così dire, assorbito le debolezze che li rendevano vulnerabili al turbamento e, nell’assorbirle, le ha trasmutate nella sua propria forza, equilibrio e fermezza. Questo prodotto dell’opera del suo spirito essa lo irradia poi indietro e diventa terapia per il suo ambiente.

Il perdono non rimarrebbe forse un gesto vuoto e non cambierebbe assolutamente nulla in meglio se non implicasse l’aiuto ad alleggerire il peso morto di qualità inaccettabili di cui ognuno di noi è gravato? Parliamo di sopportarsi a vicenda. Ma sopportarsi è più che una tolleranza passiva. Significa assumere e portare attivamente ciò che l’altro sta trasportando: sempre un pesante fardello da redimere. Perdonare, come tutti gli atti d’amore, ha questa qualità attiva che trasforma sia chi perdona sia chi è perdonato.

È, inoltre, seguire direttamente le orme del Cristo, di cui ci viene detto che portò la salvezza «prendendo su di sé i peccati del mondo», cioè assimilandoli in atti di amore manicheo su scala cosmica. Egli «rese retto» il cammino del perdono, che iniziò ad essere percorso da coloro che dovrebbero diventare cristiani esoterici.


Rispecchiamento

E c’è un secondo servizio che l’amore richiede dagli ascoltatori e che anche la minima contaminazione da simpatia o antipatia può indebolire e rendere pericoloso. Questo è il compito del gruppo, di riflettere l’oratore a se stesso, come in uno specchio.

Basta una piccola incrinatura in uno specchio perché esso falsifichi ciò che riflette; per produrre immagini oggettive deve essere senza difetti. Inoltre, a meno che non sia tenuto assolutamente immobile, le immagini al suo interno non possono essere messe a fuoco.

La simpatia e l’antipatia introducono incrinature deformanti nell’attività di rispecchiamento dei gruppi, mentre l’immobilità necessaria per focalizzare le immagini viene infranta dal movimento insito in queste reazioni dell’anima.

Con il dovuto sforzo, i moti involontari della simpatia e dell’antipatia possono essere eliminati da un cerchio che sente la responsabilità della propria disciplina e quella di promuovere la coscienza di sé nei suoi membri. Ma lo sforzo deve essere comunitario oltre che individuale. Per riuscirci, tutti i presenti dovranno unire le loro forze per costruire una coscienza comune di «Cristo in me».

Questo può sembrare un obiettivo impossibile da perseguire. Non è certamente facile da raggiungere. Ma una vera vita di un gruppo esoterico è inconcepibile senza questo obiettivo. È la conditio sine qua non del successo di gruppo, tanto quanto la meditazione lo è nella vita esoterica degli individui. In effetti, è la meditazione nella sua forma più pura: un’azione interiore disinteressata, ponderata e pienamente consapevole, che porta le anime a sperimentare il mondo spirituale così come vive nello spirito umano e attraverso di esso.

 

Educare il sentimento

Le proposte di cui sopra per l’approfondimento della vita sociale sono concepite a partire dalla necessità dei tempi moderni di elevare ogni essere vivente da un livello senziente a uno cosciente. La spinta in avanti che ha portato l’umanità fuori dal Medioevo verso l’Illuminismo ha fatto progredire solo una parte della struttura umana, l’intelletto, lasciando il sentimento ancora quasi interamente nel regno dell’istinto. C’è una frattura chiaramente percepibile che attraversa ogni uomo di quel tempo e che separa nettamente mente e impulso –a meno che egli non adotti misure ponderate per sanarla e disciplini i propri rapporti con i suoi simili.

Ciò significa rendere il sentimento capace della stessa ampiezza di approccio, della stessa obiettività, della stessa dedizione alla chiarezza verso la quale avanzò il pensiero durante la sua crescita. A un certo punto della storia spirituale dell’uomo, il pensiero si è impegnato a rifuggire i pregiudizi. Ora è giunto il momento che il sentimento cessi di indulgere alla simpatia e all’antipatia e raggiunga una base di relazione più matura.

Intraprendere passi ponderati in questa direzione significa intraprendere il sentiero esoterico, e nel modo più adeguato al periodo in cui viviamo. L’Antroposofia lo conferma e dimostra la sua tempestività con la costante e delicata enfasi che pone sulla disciplina del sentimento.

Lo fa in vari modi.

In primo luogo, c’è il fatto che il cristianesimo costituisce il cuore stesso dell’Antroposofia, il cui intero insegnamento è in relazione con l’avvento del Cristo come evento centrale della storia cosmica. Vale a dire che l’amore redentore, alla cui benigna presenza simpatia e antipatia non possono sopravvivere, si dimostra essere il grande dono per l’evoluzione della Terra, così come ne è l’obiettivo.

In secondo luogo, c’è l’immagine di Rudolf Steiner di ciò che il pensiero può essere quando trascende l’intellettualità e giunge al suo pieno sviluppo come intuizione. Citiamo dalla Filosofia della Libertà, l’opera in cui lo descrive in modo più toccante: «… Chi esplora il pensiero nella sua essenza vivente troverà in esso sia la volontà che il sentimento, ed entrambi nella loro più profonda realtà» (cfr. Cap. VIII).

In terzo luogo, c’è la cura che l’Antroposofia riserva alle arti. Cerca di trasformare la Terra elevando la materia al di sopra del suo mero ordine naturale, affinché essa possa ricevere il battesimo dello spirito. Inoltre, le arti orientate antroposoficamente richiedono all’artista di elevarsi a un’eccezionale altezza di oggettività mentre ricerca la forma dietro la sua ispirazione. Si potrebbe dire che non sia lui, ma lo spirito del mezzo che usa a guidare l’artista. Eppure, esso opera attraverso il sentimento piuttosto che attraverso la volontà o il pensiero, e questo richiede una purificazione, una presa di coscienza della vita di sentimento che incontri realmente le esigenze del tempo.

In sintesi, si potrebbe dire che la disciplina antroposofica si pone l’obiettivo di far progredire la vita interiore dello studioso dalla mera sensibilità e intellettualità allo sviluppo dell’anima cosciente adatto all’epoca, e che il pensiero micheliano che essa promuove è costituito tanto di un puro fuoco di sentimento quanto di chiarezza.

 

ARTE MORALE DI GRUPPO – RIFLESSIONI SULLA FORMAZIONE DI COMUNITÀ 1

 

Simpatie e antipatie predestinate

Quando si usa il termine corpo sociale, ci si riferisce a qualcosa di chiaramente immaginato come un organismo singolo, indipendentemente dal numero di individui che lo compongono.

Considerando la difficoltà che gli esseri umani incontrano quando cercano di agire in armonia, il termine corpo sociale può sembrare sbilanciato a favore dell’unità sociale. Può forse la società agire con la stessa determinazione che normalmente caratterizza il comportamento di un organismo? Persino il più piccolo corpo sociale, la famiglia, è costantemente lacerato dalle differenze, tanto che molto raramente agisce come un’unità. Cosa giustifica, allora, che si pensi a gruppi molto più ampi – nazioni, razze, seguaci di varie religioni o filosofie e simili – come organismi?

La ricerca antroposofica ha rivelato un fatto importantissimo: il sentimento ha una funzione unificante nella vita dell’anima dell’uomo. È il sentimento che intreccia gli opposti della volontà e del pensiero in un unico organismo animico, che riflette la sua unicità in un corpo unico. E se poi esploriamo l’elemento che costituisce l’organismo chiamato corpo sociale, scopriremo che si tratta di una comunanza di sentimento. Quindi, se prendiamo in considerazione la più piccola unità sociale, è consuetudine parlare di sentimento della famiglia come di una forza reale che, almeno in una certa misura, supera gli effetti frammentanti del pensiero e della volontà che tendono a separare i membri della famiglia gli uni dagli altri. E gruppi più ampi delle famiglie si trovano contenuti in un’unica rete di sentimenti, che è il sentimento della famiglia, di una razza o di una nazione, o forse di una professione, o ancora di un’inclinazione condivisa verso un particolare approccio alla verità.

Queste reti in cui ci troviamo intrappolati sono tessute da Esseri spirituali, in particolare dallo Zeitgeist, dall’anima di popolo e dai nostri Angeli. E ognuno di noi appartiene a loro per destino. Ma uno dei mezzi principali che il karma usa per coinvolgerci con essi è l’anima senziente con i suoi impulsi ciechi, che assumono la forma di simpatie e antipatie predestinate. Esse ci spingono e ci tirano verso situazioni karmiche in cui ciò che dobbiamo imparare a fare può essere elaborato.

Qui sorgono due domande. La prima può essere causata dalla sorpresa che l’antipatia venga accomunata alla simpatia come coinvolgimento: come potrebbe la repulsione attrarci verso un altro? L’auto-osservazione chiarisce, tuttavia, che i sentimenti di avversione fissano la nostra attenzione su un altro essere umano in modo altrettanto irresistibile quanto l’amore o la predilezione.

La seconda domanda conduce nelle profondità di realtà esoteriche che solo Rudolf Steiner poteva illuminare, cioè: se simpatia e antipatia devono essere superate, eppure il karma agisce in gran parte attraverso di esse, come possiamo essere guidati verso il nostro destino?

Rudolf Steiner diede la risposta in una sublime prospettiva sul futuro, quando indicò che il karma può essere annullato dall’uomo che si lascia ispirare dal Cristo verso il compimento di atti d’amore. Allora egli compie – con la grazia speciale dell’amore e della libertà – proprio quegli atti che la necessità karmica gli avrebbe imposto di compiere, se egli avesse aspettato di esserne diretto; egli percorre, vedente e cosciente, lo stesso cammino sul quale altrimenti sarebbe inciampato, cieco e goffo.

Se la formazione di comunità qui immaginata è stata descritta come un’arte del relazionarsi, è perché essa si eleva deliberatamente alle altezze dell’amore, e ovunque ci sia amore, c’è abilità artistica.

Forse è chiaro che l’arte sociale che basa la sua pratica sull’intuizione morale (cfr. La filosofia della libertà) costruisce un corpo sociale molto diverso da quello generato dall’antipatia e dalla simpatia. Si tratta, in breve, di un corpo che l’uomo condivide con le Gerarchie celesti.

 

 

 

Polarità Sole-Luna che genera vita

Fin dai tempi della fondazione della Società Antroposofica, i membri si sono confrontati con il problema di come dare forma al tempo che trascorrono insieme. E hanno provato di tutto: conferenze, lettura e studio in comune di un libro di Steiner, tavole rotonde, presentazioni artistiche e persino il libero scambio intellettuale del forum (aperto a tutti).

Nessuna di queste pratiche è stata ancora adottata in modo generale o definitivo. Il fatto che la questione sia ancora irrisolta non dovrebbe forse indicare che la risposta perfetta – se esiste – non è stata trovata? E la domanda non dovrebbe forse diventare: «Abbiamo cercato nella giusta direzione?».

Sicuramente lo scopo di qualsiasi riunione, che sia mondana o esoterica, è quello di generare più vita (in un gruppo professionale, una maggiore vita di intuizione) di quanta se ne possa generare da soli; altrimenti le persone si risparmierebbero la fatica di uscire e userebbero il loro tempo da sole per uno scopo migliore. Ma come si genera la vita? Cosa la fa sviluppare più intensamente nel corpo sociale? Deve essere lasciata al caso o alla provvidenza? Oppure può essere pianificata, come fa un contadino quando prende provvedimenti per assicurarsi il raccolto?

Il cosmo non ha lasciato lo sviluppo della vita al caso; lo ha pianificato, ponendo un Sole e una Luna nel cielo come polarità attraverso e tra le quali (cfr. la conferenza di Rudolf Steiner La soglia della Luna e la soglia del Sole OO 240 – Ed. Arcobaleno) le forze del sistema planetario entrano in uno scambio che genera e accresce la vita – un processo senza il quale la vita, di qualsiasi genere, sarebbe impensabile.

Anche nell’anima umana la polarità funge da elemento generatore di vita. E gli esoteristi individuano un polo Sole-Luna nella vita dell’uomo come spirito, mentre egli si alterna tra agire attivo e pensare riflessivo.

Cosa si può imparare da tali considerazioni per dare forma alla vita sociale esoterica? Non è forse vero che l’interscambio è di fondamentale importanza? Questa eccessiva dipendenza dalla forma del genere “conferenza” – che fa del conferenziere il polo solare e del suo uditorio la Luna – compromette l’equilibrio della vita dell’anima negli ascoltatori e quindi nella società? La nostra società non soffre forse drasticamente per il modo di vivere inadeguato, dovuto al mancato inserimento in una direzione che avrebbe sviluppato la vita della massa in modo più vigoroso? Potrebbe davvero esistere una massa se avessimo basato la pratica di gruppo sul riconoscimento che ogni membro è un essere spirituale unico, un tesoro di benevolenza unico, da cui la vita in comune potrebbe essere arricchita? Alcune persone a cui sono state poste domande di questo tipo si sono mostrate così radicate nell’idea della conferenza che hanno ribattuto: «Ma non possiamo essere tutti conferenzieri!». Altri hanno ritenuto che i gruppi di discussione, che essi erroneamente immaginavano come proposta di sostituzione delle conferenze, non solo siano troppo “ordinari” per la vita esoterica, ma incoraggino l’espressione di idee immature e tendano a sottoporre le riunioni al dominio di individui nevrotici con l’impulso di parlare incessantemente. Inoltre, essi affermano, le personalità timide non parteciperebbero comunque, ma si limiterebbero ad ascoltare, come sempre, con atteggiamento lunare. E infine, «Non siamo qui per dire ciò che pensiamo, ma per studiare ciò che hanno detto coloro che sanno veramente».

 

Conversazione come meditazione condivisa

Questi potrebbero essere argomenti perfettamente convincenti contro l’organizzazione di gruppi di discussione su materie esoteriche. Ma non è questa malintesa direzione che abbiamo proposto. Infatti, per sua stessa natura, la discussione rimane un esercizio intellettuale e, come tale, si svolge al di qua della soglia. È quindi del tutto inadatta allo scambio esoterico, che ha come suo scopo quello di varcare la soglia e di entrare assieme nella vita spirituale. Ciò che viene proposto qui è, piuttosto, un dialogo nel senso della conversazione goethiana.

Le conversazioni del genere che Goethe aveva in mente diventerebbero quasi certamente il modus vivendi della vita di gruppo esoterica, se la differenza tra queste e le discussioni fosse meglio compresa. Esse sono in realtà una forma di meditazione condivisa, in cui il gruppo nel suo insieme cerca consapevolmente di farsi calice per la verità spirituale.

Per fare ciò, i membri del gruppo devono sapere cosa significa sperimentare i pensieri come esseri viventi. E, in effetti, l’idioma riflette un’ampia consapevolezza del fatto che le idee possono essere organismi viventi, poiché noi diciamo anche concepire un’idea. Chiunque abbia mai avuto un pensiero vivo sa quanto questo termine sia appropriato. Egli ha sperimentato il fatto che il pensiero inizia con la fecondazione dell’anima da parte di un’idea germinale. Si è consapevoli fin dall’inizio che essa è presente e sta crescendo, sebbene forse all’inizio non ne abbia ancora la forma o la pienezza. Poi gradualmente assume forma e sostanza. Solo dopo un intervallo di maturazione, il figlio di questa procreazione spirituale è pronto per nascere come intuizione pienamente sviluppata.

Quando parliamo dell’attività del pensiero come di un covare, riflettiamo anche il sentimento di un processo evolutivo, anzi, certamente, la consapevolezza del fatto che un pensiero evolve attraverso il calore dell’interesse e lo si deve sentire mentre cresce nella propria coscienza.

Deve essere ovvio che noi stessi cambiamo come risultato dell’aver albergato o nutrito progenie spirituali, le idee, e dell’averle portate a realizzazione. Ed è molto probabile che anche il mondo spirituale cambi attraverso la condivisione con noi del suo scopo creativo. «Per questo siamo venuti»: affinché tali cambiamenti possano avvenire.

I gruppi impegnati in conversazioni goethiane diventano sempre più coscienti del ruolo maturativo che il tempo gioca nell’evoluzione dell’essere del pensiero. Scopriranno, ad esempio, che non è né auspicabile né possibile che le idee sorgano già sviluppate dallo spirito dei loro membri il giorno stesso del loro concepimento. L’intuizione può crescere solo gradualmente e organicamente da piccoli inizi. E il gruppo che lavora pazientemente con un’idea lo sa. Riconosce di partecipare al processo vitale dell’universo morale. Tutti i membri del gruppo si sentono coinvolti nella sua fecondità. Si risveglia uno stato d’animo di fiducia in cui anche il più timido, non temendo più di esporre le proprie carenze, si sente in grado di dare il suo contributo.

Le idee germinali che diventano il fulcro della meditazione di gruppo vengono donate al gruppo per destino, esattamente come un figlio viene donato ai suoi genitori. Esse iniziano il loro percorso di vita come domande che hanno messo radici nell’anima dei membri e vengono poi portate al gruppo per essere coltivate.

Anche qui il tempo gioca un ruolo vitale. Non c’è la corsa innaturale, come in una conferenza, per trasmettere un’idea ad ascoltatori che potrebbero non aver mai nutrito un interesse pregresso per quell’argomento – un processo simile a quello di lasciar cadere il proprio bimbo in grembo a un altro e dire: «Ecco, prendilo; ora è tutto tuo». Con tale linea di condotta c’è una grande probabilità che gli ascoltatori non accettino o facciano ben poco di quello che ascoltano. Mentre, nel lento processo di crescita del gruppo qui delineato, le idee vengono accolte teneramente come doni dall’alto e diventano il neonato comune dell’intero gruppo.

 

Preparazione del gruppo di studio

Alla domanda «Dov’è Rudolf Steiner in tutto questo?» occorre rispondere: «Ovunque, dall’inizio alla fine». È a lui che dobbiamo la nostra conoscenza dell’esistenza di un mondo spirituale e la capacità di sentirci a casa in quel mondo. È a lui che lo dobbiamo, se lo studio delle sue opere risveglia in noi una tale ricchezza di quesiti germinali, che la vita non potrà mai più apparire povera o poco interessante. È lui che ha tracciato il paesaggio in cui troveremo le risposte alle nostre domande. E sebbene il tempo dedicato alle riunioni di gruppo possa non essere dedicato alla lettura delle sue conferenze, quello stesso materiale delle conferenze fornisce gran parte della sostanza della riunione. Si presume infatti che i libri o le conferenze riguardanti l’argomento in questione siano stati attentamente studiati (non semplicemente letti) dai membri prima dell’incontro. Quando il gruppo si riunisce, circonda così il pensiero del dottor Steiner con la vitalità aggiuntiva che quel pensiero ha generato in ogni studente. Il suo contributo acquisisce qualcosa che non sarebbe mai potuto nascere dalla lettura comune di una conferenza, fatta in una volta. Le conferenze, infatti, non lasciano tempo né per la maturazione né per uno scambio di vita spirituale maturata. Chi si è abituato alla riunione del tipo “conversazione” e all’esigenza che i partecipanti siano preparati e attivi, sente sempre più quale uso superficiale e dispersivo di sostanza spirituale sia implicato nella lettura o nell’ascolto delle conferenze fatto in una volta. Anzi, quest’ultimo metodo finisce per diventare irrispettoso nei confronti del relatore, le cui idee germinali cadono su un terreno in larga parte impreparato e quindi in gran parte insensibile.

 

Incontro in forma di conversazione

Si potrebbe obiettare che fu Rudolf Steiner stesso a scegliere la formula della conferenza o della presentazione del libro. Ma potremmo ricordare, innanzitutto, che quella era la fase iniziale dell’Antroposofia, quando era necessario dotare la Terra di un grande tesoro spirituale dal quale si potesse attingere per secoli, e che nessuno degli ascoltatori era in grado, a quel tempo, di offrire molto più di una coscienza ricettiva. In secondo luogo, potremmo ricordare che dalla morte di Rudolf Steiner ci troviamo in una fase completamente diversa, in quanto nessuno dei suoi successori ha posseduto la sua stessa statura e missione di usare i propri simili come cassa di risonanza per verità sublimi. In terzo luogo, che l’attività spirituale a cui egli ha cercato incessantemente di svegliarci sembrerebbe essere meglio servita, nella fase attuale, da una forma di impegno che susciti la massima partecipazione nei membri – un criterio che la forma “conferenza” non può soddisfare.

E non mostriamo forse una mancanza di fiducia nell’Antroposofia e nel suo potere di far germogliare le anime umane quando diffidiamo della conversazione come forma di incontro? Non stiamo forse affermando in pratica che la crescita è possibile per alcuni, ma non in misura significativa per altri? L’Antroposofia chiarisce che tutta l’umanità è coinvolta in un processo di crescita cosmico e che ogni anima apporta una sostanza unica a tale evoluzione. Stiamo davvero sfruttando in pratica ciò che ogni individuo offre e fornendogli il pieno stimolo del nostro interesse per la sua crescita futura?

Questa crescita ed evoluzione avvengono attraverso l’interscambio di due tipi di influenze: quella cosmica e quella terrena. L’Antroposofia fornisce l’elemento cosmico; è la luce solare per le anime che sono correttamente radicate sulla Terra. Ma una Terra deve esserci. E la terra in cui l’anima mette radici è la società, sono le associazioni grandi e piccole che si interessano e si assumono la responsabilità dello sviluppo dell’anima. Non importa quanto sole irradierà su un’anima, essa non può prosperare se la terra fornisce un nutrimento troppo povero.

Non dovrebbe quindi la Società Antroposofica considerare suo primo impegno di servire da modello di un vero lavoro di gruppo?

 

Società senza leader

Molti di noi sono così abituati a ciò che è sempre stato fatto che ci risulta impossibile concepire una società senza capi. Né ne vogliamo una; sembra essere una condizione carica di troppi pericoli. Così, quando un capo se ne va, ne cerchiamo subito di nuovi che ci salvino dalla nostra confusione, che dissipino i nostri incubi, rimettano il mondo a posto con le loro capacità superiori, esattamente come fanno i buoni genitori con i loro figli piccoli.

Ma desiderare ardentemente un capo è dipendenza – la stessa tendenza che fa perseverare la forma della conferenza. Certo, è più facile farsi indicare la via che trovarla da soli con uno sforzo autonomo, lasciarsi elevare verso le altezze piuttosto che prendere parte al faticoso lavoro di elevazione. Ma la sfida dei tempi è l’adeguatezza; l’adeguatezza che uomini liberi e amorevoli sviluppano attraverso il proprio interesse. Il sentiero esoterico non può essere per bambini legati, per così dire, al cordone rassicurante dei genitori, ma per adulti che si preparano deliberatamente a un’azione spirituale matura e creativa.

Difficilmente può esserci un allenamento migliore delle conversazioni. In tale attività, il capo – se così si può dire – non è una persona, ma il tema, il fatto spirituale in esame.

 

Coppa del Graal modellata

Anche in questo caso, è fondamentale distinguere tra discussioni e conversazioni. Gli intelletti attivi nella discussione in genere puntano dritto al bersaglio di una conclusione; essi penetrano i fatti come frecce mentali, ignari che il fatto possa essere un essere vivente che muore quando ci si avvicina, diventando nient’altro che un animale impagliato. Coloro che si impegnano in conversazioni vedono invece la loro funzione come un processo di gruppo che invita la verità, esattamente come inviterebbero un ospite umano, e mirato a rendere l’atmosfera ricettiva ad essa.

Essi non si aspettano tuttavia che i pensieri arrivino a loro nel mondo fisico. Essi stessi devono andare nel mondo del pensiero per vedere e plasmare la loro comprensione secondo la forma della verità. È come se si recassero ai confini del paese dove vive la verità e lì facessero delle loro anime una dimora adatta a ricevere e intrattenere la domanda. Oppure si potrebbe dire che il Santo Graal viene modellato con un esercizio comune di intuizione e viene elevato per accogliere la preziosa essenza del pensiero vivente.

I gruppi esoterici che affrontano il loro compito – come devono fare – intuitivamente (cioè, nel significato dato al termine nella Filosofia della Libertà) né hanno necessità di capi né saprebbero cosa farsene. Perché, lo ripetiamo, si incontrano per trovare ispirazione non al di qua della soglia, ma al di là di essa, in un regno in cui lo spirito del mondo è la loro guida e il loro conduttore.

È naturale chiedersi: perché Rudolf Steiner non avanzò proposte simili a quelle presentate più sopra, se esse realmente mantengono le promesse che sono state avanzate?

Il fatto è che egli lo fece, centinaia di volte. Noi cerchiamo di mostrare come tutto ciò che è stato presentato qui sia stato preso nella sua essenza dalla sua Antroposofia.

Pochi fra coloro che leggono la sua Filosofia della Libertà per la prima volta lo definirebbero un libro sull’abilità artistica sociale. Eppure questo lavoro, che realizza in modo così notevole la redenzione del processo del pensiero, celebra anche – nel suo delineare l’uomo quale libero pensatore –1’uomo che, poiché vive nello spirito con il suo pensare, ama. E (nel capitolo VIII) troviamo Rudolf Steiner che molto significativamente paragona la fantasia morale al tatto, 1’esercizio dell’arte più elevata di sentimento sociale. Inoltre, egli indica ciò che metterà fine alle guerre quando mostra (nel Capitolo IX) quanto siano armoniose le intuizioni, essendo esse prese da quell’unico ed eguale monde delle idee. Egli conclude: «L’incomprensione e il conflitto semplicemente non possono svilupparsi tra esseri umani moralmente liberi». È ragionevole anche applicare le parole con le quali egli termina il capitolo IX alle società esoteriche, così come alla società in generale: «L’ordinamento sociale esiste per nessun altro scopo che per promuovere lo sviluppo degli individui».

Se La Filosofia della libertà può essere considerata il fondamento straordinario sul quale Rudolf Steiner basa tutti i suoi successivi contributi sociali, sicuramente si può ritenere che, con il suo messaggio, in occasione della posa della Pietra di fondazione del secondo Goetheanum, egli abba delineato e completato la sua visione di una vera Società. Occorre solo leggerlo in modo intuitivo per trovarvi il frutto maturo del concetto originato nella Filosofia della libertà. Qui, nuovamente, egli celebra l’individuo libero, che nel compiere con tutta l’anima i propri doveri, incarichi e missione nel mondo, arrivi a conoscere 1’interiorità dell’«amore universale che tutto governa, che fa parte della totalità dell’essere cosmico (…) giunge a comprendere l’amore cosmico che governa, mentre è in azione». «Instillando il calore del cuore nell’organismo della sua testa, egli sperimenterà i pensieri cosmici che governano, lavorano e tessono». «E da questa sostanza umana (la medesima sostanza con la quale i gruppi edificano la comunità dell’anima che forma il calice comune per lo spirito) «in cui vive lo spirito delle altezze, la forza del Cristo, e lo spirito delle profondità (…) formiamo nei nostri cuori la pietra di fondazione dodecaedrica (…) che nell’operare futuro della Società Antroposofica possiamo trovare il nostro posto su questa solida Pietra di fondazione…». «Allora essa brillerà all’esterno per la visione della nostra anima, quella Pietra di fondazione fatta della sostanza dell’amore universale. (…) E il terreno adatto sul quale dobbiamo porre la nostra Pietra di fondazione oggi è nei nostri cuori, attraverso la loro cooperazione armoniosa, la loro buona volontà, nella loro risoluzione – permeata costantemente dall’amore – di portare il fine dell’antroposofia su tutta la Terra. Questo verrà sempre rispecchiato, in modo da mantenere lo scopo sempre in evidenza, dalla luce del pensiero, dalla Pietra dodecaedrica dell’amore che noi oggi posiamo nei nostri cuori». Quindi egli va avanti a mostrare l’origine di quella luce e di quell’amore nell’impulso del Cristo, che duemila anni fa fece un cammino irraggiante nell’atmosfera terrestre. E termina il suo messaggio dicendo che, se anche noi affineremo la nostra percezione per udire risuonare nei nostri cuori il segreto triplice del rapporto dell’uomo con l’universo: Ex deo nascimur; in Christo morimur; per Spiritus Sanctum reviviscimus, «vi troveremo una vera unione di esseri umani nell’Antroposofia, e porteremo nel mondo lo spirito che domina nella luce risplendente del pensiero che circonda la pietra dodecaedrica dell’amore, che possa fornire la luce e il calore necessari per l’avanzamento del mondo, dell’uomo».

Tra la suddetta remota seminagione e la più tarda fioritura di questa visione dell’uomo libero, da lui concepita e vissuta, Rudolf Steiner lavorò incessantemente per condividerla con i suoi ascoltatori. E lo studente di Antroposofia attento al messaggio sociale di Rudolf Steiner arriverà gradualmente a una mole incalcolabile di commenti che illuminano tutti i punti presentati qui e molti altri (vedi ad esempio le conferenze del 6, 13, 27 e 28 Febbraio, 2, 3 e 4 Marzo 1923, in Rudolf Steiner, La formazione della comunità antroposofica, [O.O. 258] Ed. Antroposofica, Milano, 1922). Molto di questo materiale è così intrecciato con altri temi da passare inosservato, a meno che non si sia alla ricerca. Ma per coloro che cercano quel materiale, lo si può trovare attraverso tutto l’intero corpo dell’Antroposofia come sangue del suo cuore; con la sua vita raggiante esso si pone ovunque di fronte allo studente.

È chiaro dal messaggio della Pietra di fondazione, che Rudolf Steiner concepì questa vita come qualcosa da realizzare nel presente, non semplicemente come un faro che manda segnali da un lontano futuro.

Noi non possiamo fare di meglio che chiudere questo commento con le parole di Rudolf Steiner, in cui egli descrive come una persona possa rapportarsi agli individui e ai gruppi in un modo che sia fecondo per la grande missione della Terra, l’amore. In una lettera a un corrispondente che sembra essere stato amaramente deluso da un amico egli scrisse: «Cerchi di formare un concetto veramente eroico di lealtà. Ciò che gli individui chiamano lealtà è così evanescente. Cerchi di rendere così la sua lealtà: troverà che ci sono momenti fugaci nella sua esperienza con gli altri in cui essi appaiono soffusi e illuminati dagli archetipi dei loro propri spiriti. E poi giungono altri momenti – forse molto lunghi – durante i quali i loro esseri sono come oscurati. Lei potrà imparare a dire in tali momenti: “Lo spirito mi rende forte. Penso all’archetipo del mio amico, che intravidi una volta. Nessun inganno, nessuna apparenza esteriore può mai strappare quell’immagine da me”. Lotti incessantemente per mantenere questa visione. La lotta stessa è lealtà. Nello sforzo di essere leale in questo senso, l’uomo giunge vicino al suo simile con la forza e nell’atteggiamento di un Angelo custode.».

 

E di tutti noi egli potrebbe dire (Il guardiano della soglia, scena 10):

I miei allievi hanno spalancato, ciascuno di loro, le loro anime
Allo spirito di luce, e nei modi
Adeguati ai loro destini individuali
Ciò che hanno conquistato per se stessi
Ciascuno di loro lo renderà fruttuoso per gli altri.
Questo lo possono fare solo se ora le loro forze,
Qui in questo luogo sacro,
In armonia di misura e numero,
Formeranno volentieri un’unità superiore.
Questa unità sola può risvegliare alla vita vera
Ciò che singolarmente deve rimanere un mero esistere.
Essi stanno qui sulla soglia del tempio.
Le lore anime si riuniranno, una all’altra,
E suoneranno all’unisono secondo le regole
Registrate nel libro del destino cosmico.
Possa l’armonia degli spiriti realizzare
Ciò che ciascuno da solo non potrebbe mai conseguire.
Essi porteranno nuovi impulsi al vecchio
Che qui governa degnamente dal tempo dei tempi.

Guardiamo nuovamente il possente messaggio:

Questa unità sola può risvegliare alla vita vera
Ciò che singolarmente deve rimanere un mero esistere

e

Possa l’armonia degli spiriti realizzare
Ciò che ciascuno da solo non potrebbe mai conseguire.

Se l’eredità di Rudolf Steiner non fosse così vasta da avere l’effetto di ridimensionare anche espressioni tali da far tremare il mondo, affermazioni come queste – e ce ne sono molte – avrebbero ricevuto una considerazione più adeguata. Dare loro il giusto peso con l’azione potrebbe ancora rendere la Società Antroposofica una forza all’altezza del compito di curare il corpo sociale della razza umana.

ARTE MORALE DI GRUPPO – L’ARTE DELLA CONVERSAZIONE GOETHIANA 2

di Marjorie Spock

PARTE 1

Conversare, secondo Goethe, è l’arte delle arti. Il punto preciso in cui questo argomento viene menzionato nelle sue opere ci permette di intuire il posto speciale che occupava nella sua considerazione. Si tratta di una scena chiave della sua fiaba Il serpente verde e la bella Lilia. Qui, i quattro re saliti al trono nel tempio sotterraneo dei Misteri vengono risvegliati all’albeggiare di una nuova Era dell’Uomo quando il serpente, reso luminoso dall’oro che aveva inghiottito, penetra con la sua luce nel loro santuario oscuro, e ha luogo il seguente dialogo:

“Da dove vieni?” chiese il re d’oro.
“Dalle fessure dove dimora l’oro”, rispose il serpente.
«Cosa c’è di più splendido dell’oro?»
«La luce!»
«Cosa c’è di più vivificante della luce?»
«La conversazione!»

Se non si capisce cosa intendesse Goethe, si può rimanere delusi dalla risposta del serpente, che non sembra affatto la rivelazione che ci si aspettava. Infatti, la conversazione quale noi la conosciamo nel XX secolo è davvero più splendida dell’oro, più vivificante della luce? Difficilmente! Attribuiamo questo termine a ogni scambio casuale, alle chiacchiere più oziose e insignificanti. Sicuramente, pensiamo, il termine deve aver perso valore dai tempi di Goethe, subendo una grave riduzione nella sua caduta nel declino.

 

Che questo sia effettivamente vero diventa evidente quando ricordiamo i salotti dei secoli passati, dove grandi menti si riunivano per conversazioni significative. Queste occasioni erano di un genere completamente diverso dai nostri eventi sociali. Erano disciplinate, mentre le nostre sono caotiche, erano costruite attorno a uno scopo comune, erano di arricchimento reciproco piuttosto che di esaurimento. È impossibile immaginare i partecipanti a un salotto che parlano tutti contemporaneamente, chiacchierando di tanti argomenti quante erano le coppie di conversatori presenti. No! Il tema principale aleggiava sull’assemblea come su una roccia tempestata di cristalli, e le menti cristalline, scintillanti in maniera rispondente, si alternavano nell’esprimere le riflessioni che in loro si risvegliavano.

Ma le conversazioni goethiane differiscono da quelle dei salotti almeno quanto i salotti differiscono dai ricevimenti di oggi. Il loro scopo è quello di suscitare una pienezza di vita spirituale, non di mettere in scena spettacoli di fuochi d’artificio intellettuali. Non hanno nulla in comune con il gioco formale dei salotti, dove i punti luce brillano di un freddo bagliore stellare. Al contrario, esse lottano per entrare nel regno scaldato dal sole dei pensieri viventi, dove un pensatore usa tutto se stesso come strumento di conoscenza, dove – attraverso il suo modo di pensare – partecipa come spirito creativo all’incessante processo creativo del cosmo.

Ma questo significa che una vera conversazione goethiana avviene oltre la soglia, nel mondo eterico, dove i pensieri sono intuizioni (cfr. La filosofia della libertà di Rudolf Steiner), e che essa si apre un varco nel regno delle Cause Prime.

Generi minori di interscambio non lo fanno mai; rimangono puro esercizio mentale, speculazioni, argomentazioni, racconti di esperienze, offerte di opinioni, resoconti. Nel migliore dei casi non sono altro che discussioni disciplinate, nel peggiore dei casi incoerenti associazioni disattente.

Sebbene la maggior parte di queste forme minori di scambio possano essere utilizzate per scopi utili, il fatto che rimangano da questa parte della soglia le condanna alla sterilità spirituale; esse lasciano la Terra e coloro che vi prendono parte insoddisfatti. Non possono superare l’isolamento da cui si sente afflitto ogni uomo nato dopo Adamo.

Le vere conversazioni hanno invece questo potere. Mentre i partecipanti lottano per entrare assieme nel mondo del pensiero vivente, ciascuno accorda la propria percezione intuitiva al tema. E lo fa nella speciale atmosfera generata dall’avvicinarsi alla soglia del mondo spirituale: uno stato d’animo di ascolto attento in modo soprannaturale, dell’apertura più ricettiva alla vita del pensiero, nella quale lui e i suoi simili stanno ora entrando. In tale stato d’animo, la coscienza di tutti coloro che lo condividono si modella in un unico calice per contenere quella vita. E partecipando a quel nutrimento divino, essi partecipano anche alla comunione, all’associazione; vivono l’esperienza del Graal dell’uomo moderno.

 

PARTE II

Abbiamo visto Goethe descrivere la conversazione come l’arte delle arti. Se è davvero così, e noi aspiriamo a raggiungerla, cosa richiede da noi questa pratica? Sicuramente non sarà sufficiente alcun ammonticchiare ispirazioni fatto a tentoni; occorre coltivare tecniche di ordine molto speciale.

Forse il primo pre-requisito è essere consapevoli che il mondo spirituale oltre la soglia desidera essere conosciuto da noi così vivamente quanto lo desideriamo noi. Non occorre che lo si prenda d’assalto; esso ci viene incontro volentieri, proprio come un insegnante saggio e amorevole corrisponde al calore dell’interesse di un allievo. E nessuno che sia sinceramente desideroso di avvicinarsi a un tale insegnante con la dovuta riverenza manca di provocare una corrispondenza. Il mondo spirituale non è meno desideroso di soddisfare il nostro interesse. Ricordiamo l’assicurazione di Cristo al riguardo: «Cercate e troverete. Bussate e vi sarà aperto».

Lo stato d’animo del ricercatore si rivela così una bacchetta magica evocativa che, come la verga di Mosè, libera un flusso di vita spirituale. Occorre che lo si riconosca come una verità, sia nel nostro caso che in quello altrui. Allora la coscienza del gruppo diventa veramente un calice comune nel quale ricevere quell’ispirazione divina che il mondo oltre la soglia può, in ogni occasione data, ritenere opportuno offrire.

Noi non possiamo però con un unico balzo passare dal pensiero ordinario e dalla chiacchiera alla conversazione goethiana. Quest’ultima richiede la preparazione più amorevole. I pensieri devono prima essere concepiti come bambini, e poi meditati dagli spiriti dei pensatori. A tal fine, il tema dell’incontro viene stabilito in anticipo. Ogni membro del gruppo vive con questo tema come con un interesse da sviluppare nella propria meditazione. Man mano che il giorno dell’incontro si avvicina, egli comincia ad anticipare il raduno come una festa di luce che, se lui e i suoi compagni avranno svolto bene il proprio lavoro, porterà alla loro illuminazione da parte del mondo spirituale.

Cosa si intende specificamente per lavoro in questo contesto? Certamente non l’esibizione di qualsiasi concetto perfetto, l’accumulo di citazioni da fonti autorevoli, la stesura del riassunto di una lettura effettuata. Il pensiero e lo studio che precedono un incontro servono piuttosto a stimolare l’anima alla massima attività, affinché essa possa giungere in presenza della percezione spirituale. Il lavoro di questo genere serve ad animare, ravvivare la coscienza, per rendere l’anima una dimora ospitale per l’intuizione. Bisogna essere disposti a sacrificare il pensiero pregiudiziale, come si fa nel secondo stadio della meditazione, per liberare la scena a una nuova illuminazione.

Il principio qui è lo stesso di quello avanzato da Rudolf Steiner quando consigliò agli insegnanti di preparare meticolosamente le loro lezioni e poi di essere pronti a sacrificare il progetto preparato al dettame delle circostanze, che potrebbero indicare un approccio completamente nuovo alle materie. Se si è ben preparati, diceva, si troverà l’ispirazione necessaria. In effetti, il principio è comune a tutti gli sforzi esoterici: invitare lo spirito diventando spiritualmente attivi, e poi mantenersi aperti alla sua visitazione.

Coloro che arrivano al luogo dell’incontro così preparati non porteranno con sé la strada sotto forma di ogni genere di chiacchiera che distrae. Dopo tutto, non ci si avvicina alla soglia in uno stato d’animo ordinario; e quando l’avvicinamento è preparato, la scena in cui avviene l’incontro diventa lo scenario di un tempio dei Misteri. Ciò che viene rivelato lì dovrebbe armonizzarsi con l’atmosfera di un tempio. Le cortesie convenzionali verso la persona seduta accanto, i commenti sul tempo, la transazione di un piccolo affare, sono tutte completamente fuori luogo e non conformi.

Astenersi dalla chiacchiera significa imparare a vivere senza alcun senso di disagio la situazione di sospensione equilibrata. Ma allora un rispetto e una tolleranza molto speciali verso il silenzio devono essere la condizione sine qua non della vita esoterica, sotto la quale rientrano anche le conversazioni. Ciò significa un cambiamento radicale rispetto alle abitudini consolidate. Nei normali rapporti sociali le parole devono fluire, altrimenti non c’è prova della relazione; i silenzi segnalano l’interruzione della comunicazione. Ma man mano che si cresce nella consapevolezza della soglia, le parole fine a se stesse sembrano disturbare la pace. Le espressioni verbali non necessarie invadono e distruggono la calma interiore concentrata che funge da matrice per lo sviluppo della vita dell’intuizione.

Le conversazioni, quindi, dipendono tanto dalla capacità di preservare il silenzio quanto dal parlare. E quando si tratta di quest’ultimo, non si può trovare guida migliore verso il raggiungimento dell’ideale di quella offerta da un altro frammento di intuizione goethiana. Il poeta vedeva la necessità come criterio dell’arte (“Qui c’è necessità; qui c’è arte”). E ciascuno può affinare il proprio senso del necessario al punto che una conversazione si sviluppa come un organismo vivente: con ogni parte essenziale e in equilibrio, con ogni partecipante che si prende la pena di elevarsi e mantenersi al di sopra del livello di sfoghi informi. Per ottenere la vera conversazione occorre, in breve, costruire con la materia dell’intuizione. E per raggiungere queste altezze, bisogna sacrificare tutto ciò che è di natura personale e senziente. Solo allora una conversazione può trovare la propria strada verso la necessità.

Quando lo fa, essa diventa una conversazione con il mondo spirituale, così come con gli abitanti della Terra propri simili.

 

PARTE III

Sebbene i gruppi siano molto diversi tra loro, di solito è necessaria una lunga pratica per sviluppare la capacità di una conversazione goethiana. La maggior parte delle persone oggi è talmente abituata alla discussione che difficilmente riesce a concepire livelli di scambio più elevati. Siamo condizionati dalla terra; il regno eterico ci è diventato estraneo.

Esistono diversi modi per educarsi nel pensiero eterico. Quello principale è, naturalmente, la meditazione come insegnata dall’Antroposofia. Un altro è lo studio ripetuto della Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner, effettuato con particolare attenzione al modo in cui fu scritto questo libro, che inizia partendo dal terreno consueto dell’argomentazione filosofica-intellettuale, improvvisamente l’abbandona per librarsi, alato, in regni dove ogni pensiero si vivifica e diventa atto creativo libero. Il semplice fatto di seguire questa metamorfosi significa ricevere un’infusione di forze eteriche che ravvivano il proprio pensiero e sintonizzano la mente con la percezione intuitiva.

Una trasformazione simile viene conseguita immergendosi nelle fiabe e nella grande poesia. I ritmi e le immagini pullulano di vita spirituale e, mentre li si assorbe, si può sentire la propria vita magicamente ravvivata.

È del tutto contrario al concetto di formazione di comunità veramente moderno affidarsi ai conduttori in una conversazione. Piuttosto, la creazione della coscienza del Sacro Calice richiede un cerchio integro di individui pienamente attivi e responsabili, la cui sola guida è il mondo spirituale. Se, prima di riunirsi, ogni individuo fa rivivere in sé il tema dell’incontro e poi, una volta arrivato alla riunione, sopprime i pensieri che ha avuto, offrendo allo spirito la vita che essi hanno generato, lo spirito non mancherà di concedere fresche intuizioni a un gruppo pronto a riceverle. Questo può essere sperimentato più e più volte. Basta essere attivi e mantenere la strada sgombra, sapendo che «dove due o più sono riuniti nel mio nome, Io sono là in mezzo a voi».

La speranza di quella Presenza può essere rafforzata imparando ad ascoltare i propri simili esattamente come si ascolterebbe il mondo spirituale: in modo evocativo, con riverenza, astenendosi da qualsiasi traccia di reazione, facendo della propria anima un terreno fertile per le idee germinali degli altri.

Questo non significa che l’ascoltatore rinunci alla minima misura di discernimento. Egli valuta ciò che ascolta. Ma lo fa in modo nuovo, purificandosi dalla simpatia e dall’antipatia, per fungere da cassa di risonanza obiettiva contro cui le parole di chi parla suonano vere o false.

In questo modo, chi parla è portato ad ascoltare se stesso e a riflettere sulle proprie affermazioni. La correzione – nel senso di un risveglio – avviene senza che gli altri lo giudichino.

Ma non è tutto. Ascoltare in modo evocativo è un’azione splendente come il Sole. Irradia calore e luce di interesse in ciò che fa rinascere la vita di pensiero nel cerchio e incoraggia un vero e proprio germogliare.

Una domanda che spesso viene posta da coloro che si interessano all’esplorazione delle conversazioni è: come ci si comporta nella scelta dei temi?

Certamente non nel solito modo arbitrario. Non si può, come forse accadeva nei salotti, cercare il tema intellettualmente più attraente, né, come nei gruppi di oggi, scorrere con il dito un elenco degli argomenti del giorno cercando di fermare l’indice su quello più attuale. Al contrario, vedranno la luce argomenti brucianti che hanno trovato rifugio nelle anime dei partecipanti, argomenti che sono scaturiti da un interesse del cuore per questioni dello spirito e che sono quindi già pieni di vita, di fuoco e radicati in qualcosa di più profondo dell’intelletto. Grazie alla loro vitalità, queste questioni esploderanno per attirare l’attenzione della riunione.

Spesso un tema è così ricco di vita che dovrà attraversare una lunga serie di metamorfosi nel corso di molti incontri prima di poter essere esplorato. Temi di questo tipo sono particolarmente preziosi, perché tendono a diventare interessi spirituali che durano tutta la vita per tutti i membri, ed è facile vedere come le conversazioni su tali argomenti leghino indissolubilmente i partecipanti di questa conversazione.

 

PARTE IV

Affinché una conversazione diventi un’opera d’arte, la sua vita deve essere modellata all’interno di una cornice. Altrimenti vagabonderebbe in modo amorfo.

La struttura che mantiene la forma delle conversazioni è costituita in parte da elementi temporali e in parte da un rituale molto semplice. Sarà quindi opportuno fissare l’ora esatta di inizio e di fine degli incontri e rispettarla puntualmente, mentre tutti coloro che intendono partecipare capiscono che dovrebbero arrivare con largo anticipo per prepararsi ad aiutare a varare le attività della serata in uno stato d’animo raccolto. Queste sono regole invariabili della pratica esoterica. Il rituale consiste nell’alzarsi e recitare insieme una o più frasi scelte per il loro contenuto spirituale, che orientano in modo spirituale, ad esempio: “Ex deo nascimur (Da Dio siamo nati)”; “In Christo morimur (In Cristo moriamo)”; “Per spiritum sanctum reviviscimus (Attraverso lo Spirito Santo vivremo di nuovo)”. La stessa o un’altra meditazione può essere recitata per concludere l’incontro, sempre esattamente a un’ora prestabilita.

Si potrebbe temere che limiti di tempo rigidi inibiscano il libero svolgersi di una conversazione. Questo timore si rivela infondato. L’ispirazione di un pittore non è limitata dalle dimensioni della sua tela. Piuttosto, i limiti servono in ogni forma d’arte come stimoli, affinando la consapevolezza di ciò che può essere realizzato, e la composizione si adatta sempre intuitivamente allo spazio dato.

Per creare una composizione coerente, come deve essere perché la si consideri arte, è necessario che il cerchio impegnato nella conversazione adotti misure insolite per preservare la propria unità. Anche in questo caso, c’è una grande differenza tra una discussione e una conversazione. Nella prima, pochi provano il minimo rimorso nell’impegnarsi in “assolo”. Per quanto questi pochi siano disorganizzati, scortesi e tradiscano presunzione nel loro sottintendere che ciò che uno sta bisbigliando al proprio vicino è ovviamente molto più interessante di ciò che sta dicendo chi ha la parola, non sono poi un disastro irrimediabile come quando questi “assoli” avvengono durante una conversazione. Le discussioni si basano sull’intelletto, e il pensiero intellettuale tende naturalmente alla separatezza. Ma le conversazioni appartengono a un ordine di pensiero in cui i cuori illuminati fungono da organi dell’intelligenza e la tendenza dei cuori è all’unisono. Il gruppo di conversazione deve fare di se stesso un cerchio magico; la minima frattura nell’unità del suo Santo Calice farebbe disperdere la preziosa sostanza di luce generata dalla riunione. I partecipanti sensibili percepiranno gli “assolo” e le interruzioni come nient’altro che un’interruzione dell’incontro con il mondo spirituale.

Molti individui sentono che nessuna conversazione potrebbe mai eguagliare l’ispirazione di una conferenza di alto livello. Di conseguenza, tendono a pensare che conversare sia una perdita di tempo, che sarebbe molto meglio impiegare leggendo o ascoltando conferenze.

Senza dubbio le lezioni svolgono funzioni importanti. Preparate con cura, esse trasmettono concentrati di sostanza spirituale agli ascoltatori, che si siedono come davanti a un pasto che qualcun altro ha preparato per loro. Ma per continuare l’analogia, i frequentatori incalliti di conferenze mangiano sempre al ristorante, senza mai imparare la stupenda arte della cucina casalinga.

C’è qualcosa di tristemente unilaterale in questo stile di vita. Si evitano le responsabilità e si trascurano le opportunità di crescita creativa, ma non solo: ciò significa anche rimanere dipendenti in modo infantile nella fase più importante dell’evoluzione umana, quando si dovrebbe passare dal ricevere la verità rivelata allo scoprirla attraverso la propria attività.

Rudolf Steiner non era affatto favorevole alla dipendenza, in nessuna forma. Raramente dava alle persone la soluzione a un problema, e lo faceva solo quando la pressione eccezionale del tempo lo richiedeva. Piuttosto mostrava il modo per risolvere i problemi da soli. Ed è questo che i tempi ci chiedono di fare: che diventiamo spiritualmente auto-attivi, imparando a trarre sostentamento dal mondo spirituale per il rinnovamento della Terra.

Le conversazioni goethiane si riveleranno una disciplina ideale per questo compito di primaria importanza.

 

*

MARJORIE SPOCK

Nacque l’8 settembre 1904 a New Haven, nel Connecticut, seconda figlia e prima femmina di sei figli.

La famiglia Spock era molto in vista a New Haven; suo padre era un avvocato aziendale e suo fratello maggiore, il dottor Benjamin Spock, divenne un rinomato pediatra.

Marjorie studiò Antroposofia a Dornach, ove si recò negli anni ’20 all’età di diciott’anni. Studiò euritmia e la insegnò poi per parecchi anni alla Rudolf Steiner School di New York e alla Waldorf School di Adelphi, a Garden City. Insegnò inoltre in varie classi alla Dalton School e alla Fieldstone Lower School, entrambe a New York.

Fu anche giardiniera biodinamica, autrice e traduttrice di numerosi testi. Tra questi: una serie di conferenze di Rudolf Steiner pubblicate con il titolo Awakening to Community, la conferenza singola Christ in the 20th Century, e altre; Nutritione The Nature of Substance del dr. Rudolf Hauschka, così come il libro Rudolf Steiner on his Book The Philosophy of Freedom di Otto Palmer.

Tra I libri da lei scritti: Nature Spirits e Fairy Worlds and Workers (entrambi illustrati da Ingrid Gibb), Eurythmy e Teaching is a Lively Art.

Nel centesimo anno della sua vita produsse, diresse e coreografò un video sull’euritmia, seguito da due cortometraggi didattici quando aveva 101 e 102 anni.

Quando praticava l’agricoltura biodinamica a Long Island, New York, citò in giudizio il Governo degli Stati Uniti per aver spruzzato DDT al fine di controllare l’epidemia di falena gitana. Il suo caso arrivò alla Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1960, attirando l’attenzione di Rachel Carson e fornendo lo spunto per il suo libro Silent Spring. Perse la causa, ma il governo fu obbligato a effettuare una valutazione ambientale e l’azione della Spock contribuì alla nascita del movimento ambientalista.

Morì nella sua casa nel Maine il 23 gennaio 2008, all’età di 103 anni.

*

Lavoro svolto per uso privato di studio

Fonti:

https://web.archive.org/web/20120421234027/http://philosophyoffreedom.com/node/2105

https://web.archive.org/web/20120608052929/http://philosophyoffreedom.com/node/2122

http://westdalechildrensschool.weebly.com/uploads/1/7/7/9/17799545/article_-the_art_of_goethean_conversation.pdf

Rivista antroposofica n. 6 del 1996, n. 1, 2 e 3 del 1997

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