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PARZIVAL E LA PENTECOSTE

I Cavalieri di Re Artù intorno alla Tavola Rotonda per celebrare la Pentecoste

di Andrew Wolpert

Dopo gli eventi pasquali della Morte e della Risurrezione, e la presenza tra di loro del Risorto per 40 giorni, all’Ascensione i Discepoli  si sentono di nuovo privati del Cristo.

Ma dieci giorni dopo, in un momento in cui sono tutti insieme e si sentono interiormente all’unisono, il loro animo è pervaso da un sentimento di attesa, provano un anelito verso ciò che è stato promesso [dagli insegnamenti ricevuti dal Cristo].

Ed ecco che a Pentecoste, come descritto nel capitolo 2 degli Atti degli Apostoli, avvertono il suono di «Un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.»

Diventano Apostoli, e ora sono in grado di parlare per autorità propria, non più come discepoli – ma come testimoni, per esperienza propria. Poter parlare in modo che tutti i diversi popoli e le Nazioni di Gerusalemme possano comprenderli significa che le loro parole si rivolgono non a specifiche norme religiose e culturali, ma a realtà umane universali.

Queste tre caratteristiche della Pentecoste: l‘attesa; il risveglio della capacità d’iniziativa per parlare; l’essere compresi al di là dei paradigmi ereditati dalle nazioni e dalle culture, sono tutti aspetti dell’epopea di Wolfram von Eschenbach[1].

Artù e i suoi Cavalieri della Tavola Rotonda sono rappresentanti di una vecchia comunità che si ripresenta sempre di nuovo a Pentecoste, e sempre in uno stato d’animo di inquietudine e di vacua attesa. Tre volte Parzival li incontra, le sue speciali qualità vengono riconosciute, ma egli non è in grado di compiere ciò che da lui si aspetta.

Anche nel Castello del Graal si percepisce uno stato d’animo di attesa, ma più mirato.  La capacità di Parzival di portare la particolare guarigione che ci si aspetta è riconosciuta fin dalla sua prima visita, ma rimane una promessa non mantenuta.

Una delle grandi svolte dell’epopea avviene alla fine del Libro 14, quando Parzival rinuncia ai suoi desideri personali e si apre a tutto ciò che il futuro gli riserva.

Lasciar andare le sue aspettative personali e abbracciare con tutto il cuore l’ignoto gli permette di diventare uno strumento disinteressato del suo proprio destino, e del destino di coloro cui è al servizio.

È un’esperienza della propria sovranità.  Le difficoltà irrisolte che portava dal passato e i tesori che ha ricevuto diventano inseparabilmente parte della sua individualità.

È un’iniziazione, dove lo ierofante che è in lui lo chiama al suo destino.  Le parole di Paolo «…e non vivo più io, ma Cristo vive in me[2]»  caratterizzano questa svolta per Parzival.

Quando poi torna al Castello del Graal non è la vergogna per il suo precedente fallimento che lo spinge a porre la Domanda, e nemmeno il fatto di ricordarsi quanto gli è stato detto di fare.  La sua azione non è la conseguenza di ciò che gli è stato insegnato, ma nasce perché ciò che gli è stato insegnato e che ha imparato è diventato parte integrante di ciò che egli è.

Il suo “sì” incondizionato a quanto gli viene chiesto, significa che ora Parzival porta in sé la capacità redentrice, la qualità del Graal, la disponibilità disinteressata a portare il Graal nel suo cuore, verso il Graal stesso.

Fino a quel momento al Graal era stato chiesto di soddisfare i bisogni e i desideri dei Cavalieri, e di preservare la vita di Anfortas –  ma senza portare alcuna guarigione.

Poiché gli si chiedeva di sostenere la vita, il Graal non poteva che perpetuare la situazione esistente.  Quando invece Parzival si inginocchia davanti al Graal, non chiede e non si aspetta nulla: la sua Domanda è essa stessa un gesto del Graal.

Per la prima volta il Graal sperimenta la qualità del Graal in un essere umano che non fa richieste, ma offre.

La domanda che ora Parzival pone, libera il potere di guarigione nel Graal; l’altruismo in Parzival permette al Graal, per la prima volta in questa epopea, di portare un cambiamento. Non è la domanda che guarisce Anfortas, è ciò che vive in Parzival mentre pone la domanda che libera il Graal, e gli permette di guarire Anfortas.

Wolfram von Eschenbach non ha bisogno di dircelo, ma è chiaro che dopo la guarigione di Anfortas sussiste ovunque un nuovo ordine.

Questo evento di Pentecoste non è solo per Anfortas e per la Compagnia del Graal, ma è per il mondo, per la Tavola Rotonda di Artù e per tutti coloro che sono pronti – non solo a riferire ciò che hanno ascoltato, ma ad esprimere ciò che nasce in loro stessi.

L’iniziativa di Parzival è il dono di Pentecoste per una nuova comunità. Il dono di Pentecoste di Wolfram von Eschenbach è raccontare la storia in modo tale che, al di là dei legami temporali e geografici dell’Europa medioevale, le sue verità umane universali si rivolgano a tutti i popoli, indipendentemente dalla cultura e dalla religione.

Hermann Hendrich Parsifal

Hermann Hendrich Parsifal

Sebbene non venga mai citato per nome nel poema, il Cristo permea l’epopea di Parzival, come l’Archetipo dell’Essere Umano, al di là delle confessioni religiose.

Un aspetto dell’epopea è l’ineluttabilità del destino: ci parla di come la sfortuna, il fallimento e persino la morte siano parte di un dramma più grande di quanto non si possa percepire superficialmente. Gli archetipi della biografia, l’operare del karma e il riconoscimento dei compagni di destino sono tutte caratteristiche di questo racconto: manifestazioni senza tempo di ciò che è spiritualmente presente nelle nostre imprevedibili vite.

Dove sperimentiamo, come antroposofi, questa differenza tra essere discepoli e apostoli?  Se è vero che le forze redentrici del Mistero del Golgota possono operare nell’evoluzione umana per tutti – indipendentemente dal fatto di avere Bibbie o di conoscere la vita sulla terra di Gesù Cristo – c’è forse un’analogia con l’opera di Rudolf Steiner?

L’azione del Cristo è il grande Archetipo che vive nella vita e nell’opera di Rudolf Steiner.

Le conseguenze del suo atto di fondazione dei Nuovi Misteri, sono a disposizione di chi medita, e dei ricercatori spirituali che non hanno letto di antroposofia o sentito parlare di Rudolf Steiner in questa incarnazione?

Questa domanda si riferisce alla Pentecoste nel contesto di una comunità.

Nel contesto dell’individuo si pone invece una domanda diversa.  Se il destino mi ha dato l’opportunità di incontrare l’opera di Rudolf Steiner, il lavoro con la scienza dello spirito comporta la possibilità di un cambiamento dall’essere un “discepolo” a diventare un “apostolo”?

È una domanda che non ha nulla a che vedere con uno status, o con onorificenze o riconoscimenti, e nemmeno con l’aver raggiunto o “superato” il maestro. Per niente.  Se questa domanda è fondata, si tratta di ammettere la fonte del mio riconoscere il mio legame con Rudolf Steiner, con Michele, con l’Antroposofia e con il Cristo.

Molti giovani che oggi trovano la loro strada verso l’antroposofia (forse non per la prima volta nella loro biografia karmica) non vogliono da principio essere indirizzati ai libri che contengono ciò che Rudolf Steiner ha scritto e detto, ma desiderano piuttosto conoscere l’opera e l’esperienza che si è realizzata e si sta sviluppando a partire dal tesoro che egli ha aperto per noi.

Poco prima della Pentecoste Matteo viene scelto per occupare il posto di Giuda, e così si ricostituisce la dodecuplicità.  Poi per la compagnia dei Discepoli riuniti arriva il momento del cambiamento: dall’aver imparato ad essere in grado di insegnare.

Possiamo esprimerlo come la differenza che c’è fra “conoscere” perché mi è stato insegnato,  e “conoscere” perché è diventata la mia esperienza.

La gratitudine al maestro per il tesoro dei contenuti diventa gratitudine al maestro per avermi, con questo tesoro, risvegliato al mio destino.

Forse oggi non lo viviamo come un evento, e forse nemmeno necessariamente come esperienza di gruppo, ma piuttosto come una delicata rivelazione, non ricordata ma raggiunta sempre di nuovo, intuita nel vento impetuoso e viva come fuoco.

E con essa arriva il desiderio di trovare compagni che la condividano con noi.

Andrew Wolpert

 

[1] Wolfram von Eschenbach (Eschenbach1170 circa – 1220 circa) è stato un cavaliere medievale e poeta tedesco alla corte di Turingia, uno dei più grandi poeti tedeschi del Medioevo. La sua fama è dovuta principalmente alla composizione, avvenuta attorno al 1210, del poema cavalleresco sul Sacro Graal intitolato Parzival. – (fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Wolfram_von_Eschenbach)

[2] Lettera ai Galati 2,20