Close

BIOGRAFIA COME OPERA D’ARTE

L'anima - Disegno di Rudolf Steiner

Seminario sulla biografia
tenuto da Marcus Fingerle al Centro per l’Antroposofia di Torino il 4 febbraio 2018

Occuparci della biografia significa occuparci del mistero dell’essere umano, e chiederci come possiamo avvicinarci a questo mistero. Rudolf Steiner, in uno dei suoi primi scritti filosofici, si dedica al tema della conoscenza e in particolare alle sue diverse forme: egli dice che non si possono studiare realtà diverse con lo stesso metodo conoscitivo. È necessario che il modo in cui la conoscenza procede si adatti all’oggetto della conoscenza stessa. Dunque non possiamo studiare la biografia umana con lo stesso metodo con cui studiamo il mondo minerale e non possiamo nemmeno studiare l’uomo, comprendere, conoscere il suo sancta sanctorum, che è l’Io… con lo stesso metodo con cui studiamo il mondo organico, il mondo della vita.

Rudolf Steiner caratterizza questi diversi modi di procedere nella conoscenza perché è importante che noi comprendiamo e siamo consapevoli degli strumenti con cui ci accostiamo allo studio del nostro tema. Ora, qual è il metodo mediante il quale studiamo il mondo minerale? È il metodo deduttivo, quello delle scienze sperimentali. Il metodo che va alla ricerca delle cause dei fenomeni naturali.

Sarò sintetico, ma dobbiamo mettere i mattoni per costruire l’edificio. Il metodo sperimentale è quel metodo che cerca le cause dei fenomeni tra altri fenomeni, conformemente al principio di Telesio, secondo cui la natura si spiega con la natura iuxta propria principia (sulla base dei suoi stessi principi). Non possiamo uscire dalla base della natura, ma dobbiamo rimanervi: un fenomeno naturale non si può spiegare se non con altri fenomeni che possono essere sperimentati con i sensi. Il mondo sensibile si spiega con il mondo sensibile; vanno escluse le cause non sperimentabili, nella fisica non si può parlare di miracoli.

Questo modo di intendere la natura è tale per cui la causa viene sempre prima dell’effetto. Dico delle ovvietà, ma vedrete che ci saranno molto utili. La causa viene sempre prima, l’effetto viene dopo. Il tempo del mondo minerale è un tempo che dal passato o dal presente va verso il futuro, e si lascia dietro il passato. La causa viene prima, ed è la premessa per determinare un effetto che si verificherà dopo, perché io lo posso prevedere.

Bernardino Telesio,De Rerum natura justa propria principia

Bernardino Telesio, De Rerum natura justa propria principia

Cominciamo dunque a parlare del tempo, perché la biografia si sviluppa nel tempo. Il tempo del mondo minerale è un tempo lineare, che procede verso il futuro:

Passato-presente ———–> Futuro

È un tempo che si lascia alle spalle il passato, che accumula tutti gli eventi passati: le Alpi sono la conseguenza di eventi passati, sono lì, erano magma, erano materiale plasmatico. Ciò che nel remoto passato era in movimento adesso è fermo, è lì a testimoniare ciò che è accaduto molto, molto tempo fa. E il tempo procede verso il futuro. Possiamo parlare di una direzione del tempo, di una direzione lineare ———–>. Teniamolo ben presente… sono stati fatti dei tentativi di studiare l’uomo e la sua biografia, la sua vita sulla base di un modello conoscitivo dell’800: qualcuno ha avuto l’idea di costruire una “psico-fisica”, cioè di applicare le leggi della fisica allo studio dell’anima. Capite…?

Qualche decennio fa, ho letto un libro sulla memoria, un libro su cui si è formata una generazione di psicologi, in cui la memoria veniva studiata sul modello con cui funzionano i computer: è molto interessante! E via via (allora, nell’800, non c’erano i computer, ma oggi sì) si trasferiscono modelli che provengono dal mondo della fisica, o addirittura della subnatura, all’uomo… e poi si studia l’uomo sulla base di questi modelli. Naturalmente c’è tutta una tradizione della biografia che studia la biografia umana come una serie di eventi che si succedono nel tempo, dove ciò che viene prima è la causa di ciò che viene dopo. È quella psicologia che ha il carattere del determinismo: se tu hai questo problema, andiamo a vedere nel passato e troveremo sicuramente la causa. Dunque, una sorta di archivio archeologico, che a ritroso va a cercare la causa di ciò che avviene nel presente. Cosicché, secondo questo modello, noi dovremmo pensare che ciascuno di noi è esattamente il risultato, la somma, di tutto ciò che ha vissuto nel corso della propria vita.

Come si spiega l’Io, secondo questo modello? Come si spiega la libertà dell’uomo? Ci sono, nell’ambito della psicologia, coloro che sostengono che sostanzialmente l’Io non ha una sua vera realtà – che in filosofia si dice ontologica – ha una sua funzione psichica, ma non ha una sua vera realtà. Anche la libertà è più un’illusione dell’uomo che non una vera e propria realtà. Lo affermava già Spinoza (e ci sono diversi studi sul rapporto fra Spinoza e Freud) che sostanzialmente l’essere umano non è un essere libero… ha l’illusione di esserlo, ma non è un Io, ha semplicemente una funzione che chiamiamo Io.

Rudolf Steiner dice che questi sono gli esiti di un errore conoscitivo (ascolteremo Freud e poi Jung, in particolare Jung, conosciuto da Steiner che gli ha dedicato, mi pare, tre conferenze), ovvero il trasferimento di un modello conoscitivo su un piano che è estraneo a questo modello. È molto importante, perché se veramente vogliamo occuparci di questo nostro tema, non ci possiamo avvalere di questo esito. Ciò non significa che l’uomo non sia inserito in una corrente del tempo, che va dal presente verso il futuro; vi è certamente inserito perché ha un corpo fisico.

L’uomo è anche soggetto alla legge di gravità, ma chi potrebbe veramente sostenere che la crescita dell’uomo, il suo sviluppo biografico, sia basato sulla legge di gravità? Così come se nevica sul ramo di un abete, il ramo si piega; ma chi potrebbe dire che la legge di gravità spiega la crescita dell’abete? Si può certo dire che è soggetto alla legge, ma non che la legge sta a fondamento della sua natura. Cosa sta dunque a fondamento della natura dell’uomo?

Steiner procede e dice: abbandoniamo il piano della realtà minerale e troviamo il Vivente, gli organismi viventi; e per la conoscenza del vivente ci dobbiamo avvalere di un metodo comparativo. Comparare… che cosa? Gli individui di una stessa specie. Naturalmente qui parla del metodo fenomenologico di Goethe e dice: comparando gli individui di una stessa specie (ad esempio il cavallo = specie equina) tra loro noi possiamo riconoscere il Tipo.

Il processo è già complesso, ma attraverso la comparazione noi possiamo risalire al Tipo, e cioè a ciò che sta a fondamento dell’esistenza di ogni singolo individuo appartenente ad una stessa specie. E questo Tipo, per Goethe e per Steiner non è un’idea astratta nel senso kantiano, cioè priva di contenuto e di realtà, ma è un’idea che opera nella realtà. Cosa che per la nostra coscienza ordinaria è impensabile. Noi distinguiamo fra la realtà e l’idea; ci viene spontaneo dire che una cosa è l’idea della sedia, un’altra cosa è la sedia su cui mi siedo. La nostra coscienza ordinaria, anche quella di noi antroposofi, fa la distinzione fra l’idea e la realtà.  Nessuna donna sarebbe felice di sentirsi dire: «Ti regalo la mia idea di rosa»… per quanto si possa apprezzare l’idea, il fatto che uno esca di casa, la compri e ti porti la rosa… è un’altra cosa! Dunque noi, nella nostra coscienza ordinaria facciamo distinzione fra l’idea e la realtà.

Steiner però dice: la nostra coscienza ordinaria ci inganna sulla realtà! La coscienza ordinaria ci inganna quando ci fa credere che il ramo che abbiamo messo nell’acqua sia spezzato: quando lo tiriamo fuori vediamo che è intero. Ciò da cui dipende il processo vitale, ciò da cui dipende la vita, ciò in cui la vita consiste, è qualche cosa che non possiamo rintracciare sul piano fenomenico.

Noi possiamo dire che la formazione di una valanga abbia una certa causa fisica: qualcuno ha attraversato la montagna in maniera incauta provocando la valanga. La causa viene prima e la valanga viene dopo… la causa e l’effetto li posso rintracciare tra i fenomeni fisici. Per la pianta le cose stanno altrimenti. Dove sta la causa della pianta: nell’acqua, nella luce, nell’aria? E allora l’aria dovrebbe far crescere tutte le piante nello stesso modo, ma le piante son tutte diverse, ovverossia i diversi tipi di piante non si spiegherebbero… dov’è la causa della pianta? Non sta sul piano fisico, si è come ritratta dal piano fisico, e si trova su un piano invisibile. Eppure la pianta è una realtà, ha una sua forma e cresce; e se è reale l’effetto, allora la causa dov’è? La causa non si trova sul piano fisico, non la troviamo, è l’idea di pianta che opera dentro la pianta. È una realtà invisibile, è sovrasensibile, benché ciò che si manifesta sia qualcosa di sensibile.

_________________________________

Georg Adam studi sulla pianta tra spazio terrestre e cosmico

Georg Adam Studi sulla pianta tra spazio terrestre e cosmico

Qui siamo su un piano conoscitivo che non è facile da raggiungere. Qui ci troviamo nel vivente. Dobbiamo… muovere i pensieri in maniera più sottile. E che cosa troviamo? Troviamo che – questo ci servirà quando parleremo della biografia –  ogni singola pianta, ma anche ogni singolo animale (entrambi organismi viventi) è un esemplare della specie. Molto importante. E la specie è sovra-ordinata rispetto all’esemplare. L’esemplare deve la sua forma, la morfologia, deve il suo ritmo di crescita e tutte le sue caratteristiche a questo Tipo, a questa realtà ideale sovra-ordinata e dunque c’è una relazione necessaria fra l’esemplare e il Tipo. Se un animale appartiene a quel Tipo (es. al leone) avrà necessariamente determinate caratteristiche, non ne avrà mai altre. Non scapperà mai davanti ad una gazzella, impaurito. È un leone!

Dice Steiner: «il destino dell’animale è il suo corpo» e il corpo non è nient’altro che la manifestazione esteriore dei suoi istinti. Dunque l’anima dell’animale è congiunta di necessità al corpo, il corpo è il suo destino. La gazzella non potrà digrignando i denti cercare di spaventare un leone, per quanto coraggiosa. Il suo destino è segnato dalla sua corporeità, è inchiodato al suo corpo. Per questo dico che la relazione tra l’esemplare e il Tipo è una relazione necessaria, il singolo animale è inchiodato, non ha scelta, non è libero. L’io dell’animale è fuori dall’animale, si trova nel Tipo.

È importante fare queste riflessioni! Se non parliamo di queste cose, va a finire che poi parliamo dell’uomo come di un animale – cosa molto frequente, di questi tempi – e non ce ne rendiamo conto.

Dunque, è bene segnare la differenza tra l’uomo e l’animale, e questi sforzi di pensiero che cerchiamo di fare dovrebbero costituire una sorta di impalcatura del vostro modo di pensare l’uomo. Ora, si potrebbe dire che sono stati fatti dei tentativi di applicare questo modo di pensare all’uomo. E che cosa ne viene fuori? Ne viene fuori una tipologia. Esistono diversi tipi di uomini… no? Il che non è sbagliato, ad es., Jung ha scritto Tipi psicologici… e non è un brutto libro! Certo, se lo legge un antroposofo si accorge che diverse cose non quadrano, ma non importa… Jung ha osservato diversi tipi psicologici… e come dargli torto? Alcuni sono introversi, altri sono estroversi, alcuni sono tipi di pensiero, altri di sentimento, altri sono tipi più intuitivi, altri più legati all’esperienza sensoriale…. Anche Assagioli ha costruito una tipologia, sono utili e importanti osservazioni. Ma se noi diciamo: «Siccome tu appartieni a questo tipo, si sa che ti comporti in questo modo, per forza», allora animalizziamo l’uomo, lo riduciamo a un Tipo, come se il suo Io fosse fuori di Sé. Così come l’uomo è soggetto alla gravità – perché vi è soggetto, ma la legge di gravità non è quella legge che sta a fondamento dell’esistenza dell’uomo – allo stesso modo l’uomo appartiene ai Tipi. Ma la tipologia non sta a fondamento dell’esistenza dell’uomo… l’uomo può avere nei confronti del Tipo lo stesso rapporto che può avere con qualunque altra realtà che può anche trasformare. Questo è molto importante: se vogliamo parlare della biografia dobbiamo adesso andare al nucleo, al fondamento dell’esistenza umana.

Vorrei dire ancora una cosa a proposito della relazione uomo-animale. Nel ’900, in Europa, si sono sviluppate diverse forme di totalitarismo che si fondavano sull’ideologia che l’elemento collettivo fosse superiore all’individuo… giusto? Dunque, il comunismo, ma anche il nazismo, il fascismo, ritenevano che l’individuo si dovesse sacrificare alla superiore idea di Stato, e così via… si dovesse sacrificare ad una collettività sovra-ordinata… e a che cosa abbiamo assistito? Non la nostra generazione, ma ad esempio i miei genitori, hanno assistito a un progetto, spaventoso, di animalizzazione dell’uomo – non solo per i campi di sterminio, o i gulag, che sono l’orrore del secolo scorso – ma ad un progetto universale di animalizzazione dell’uomo, che non riconosceva all’individuo la sua natura di individuo, il fondamento dell’esistenza umana.

Adesso facciamo il terzo passo, e così ci avviciniamo al cuore del nostro tema. Qual è il metodo conoscitivo, proprio di coloro che vogliono accostarsi alla natura dell’uomo? Steiner dice: è il metodo introspettivo – consentitemi di dire fenomenologico-introspettivo. Steiner non lo dice, ma sulla base di studi che ho fatto credo di poter aggiungere fenomenologico-introspettivo. Se vogliamo conoscere l’uomo dobbiamo osservare noi stessi. Lasciamo perdere il mondo del vivente vegetale e animale in generale, e dedichiamoci all’osservazione di noi stessi. Mediante che cosa osserviamo noi stessi? Questo lo dice un grande studioso di Steiner, che ha scritto di meditazione e ha scritto una grande quantità di libri, in Germania è conosciutissimo, è morto non molto tempo fa. Egli afferma: questa auto-osservazione dell’uomo, questa attività introspettiva viene condotta dall’attenzione pensante. Per fare introspezione dobbiamo pensare.  È solo pensando che noi svolgiamo un’attività introspettiva. E che cosa osserviamo? In primo luogo, osserviamo la nostra anima, o se vogliamo, la nostra coscienza. Che cosa troviamo come prima cosa? Troviamo il pensiero… troviamo ciò che stiamo facendo adesso, troviamo il pensare… voglio sperare che noi tutti ora stiamo pensando! Troviamo anche il sentire e il volere, ma come prima cosa, quando noi osserviamo noi stessi introspettivamente, fenomenologicamente, dobbiamo osservare come procede il pensiero. Dobbiamo osservare ciò che il pensiero ci mostra, ciò che il sentimento ci mostra, ciò che la volontà ci mostra!

La volontà non si può osservare così facilmente, e neanche il sentimento; è più facile osservare il pensiero… e poi cosa possiamo osservare? Che esistono delle regioni che stanno al di sotto della nostra coscienza. Quante volte siamo costretti nostro malgrado a dire: «È stato più forte di me e mi sono comportato così»! Domando allora: chi ha fatto quel gesto?… è stato più forte di te, dunque sei stato sopraffatto… ma da chi? Dunque c’è una regione, che si trova al di sotto della soglia della nostra coscienza, o per lo meno ci sono  comportamenti, sentimenti, pensieri, la cui origine si sottrae alla nostra coscienza al punto tale che, se vogliamo meditare, ci sediamo con tanta buona volontà e decidiamo di liberare la nostra mente dai pensieri quotidiani…  tutti noi sappiamo che non lo facciamo…  e dunque, chi pensa quei pensieri, se io ho deciso di non pensarli? Sono ospiti indesiderati, ma chi li ha portati? Dunque c’è una regione che si trova… come dire?, al di sotto della coscienza e possiamo osservarla. Ma poi c’è un confine, un’altra regione, che buona parte della psicologia non riconosce (ma che sempre di più anche la psicologia riconosce, mi riferisco ad Assagioli e ad altri), al di sopra della coscienza, in cui si svolgono dei processi, in cui sono presenti forze che noi possiamo osservare.

Dunque, attraverso l’attenzione pensante osserviamo noi stessi. Adesso, procedendo con la nostra indagine, voglio avvicinarmi al centro, al fondamento dell’essenza umana, che non è la coscienza. Steiner giustamente dice che l’essere umano, a differenza dell’animale, non è un esemplare di una specie, ma è una specie a se stesso. Cosa vuol dire? È un’affermazione rivoluzionaria e al contempo molto enigmatica. L’essere umano è una specie a sé significa che non ha un Io sovra-ordinato, come l’animale. L’Io non trascende l’individuo, non è sopra, l’uomo non vi è inchiodato come l’animale, che è incatenato a se stesso. L’uomo non è incatenato a se stesso perché l’Io dell’uomo non è trascendente, non trascende il singolo, ma è immanente, è presente nel singolo. E dunque il Tipo, che nell’animale è sovra-ordinato, nel singolo uomo è immanente. Ognuno è Tipo a se stesso, ognuno è un Tipo diverso da tutti gli altri. La figura di ogni uomo è diversa da quella di qualsiasi altro. «Ogni uomo è specie a se stesso» vuol dire che l’Io dell’uomo è immanente, è l’uomo stesso, vuol dire che il singolo è un Io.

Adesso ci dobbiamo chiedere: che cos’è l’Io? Si potrebbe dire: ok, adesso abbiamo capito. Allora, l’uomo è una sfera inconscia, poi c’è la coscienza, poi c’è l’uberbewusstsein (super coscienza)… e poi c’è l’Io che sta al centro. Ma che cos’è l’Io? Le parole che ho usato sono chiare, tutti sappiamo bene che cos’è l’Io. Dico sempre: Io ho sete, domani ci vediamo, Io arriverò puntuale… Come sappiamo usiamo questa parola così comunemente che crediamo di sapere cosa vuole dire. Ma se ci chiediamo che cosa è l’Io, lo vedete, abbiamo qualche difficoltà. Vorrei suggerirvi due esercizi, uno mi è stato suggerito dal dott. Varvelli e l’altro l’ho trovato scritto in una conferenza pubblicata del prof. Köhler. E ve li presento, sono esercizi che si possono fare veramente, si può fare una meditazione; se volete, ve li potete costruire come un processo meditativo.

Primo esercizio. Voi potete chiedervi: chi sono io? Quando dico Io non intendo nessun altro tranne me. È una particolarità, che il contenuto di una parola s’identifichi con chi la pronuncia – cosa che non vale per la parola sedia – se dico sedia, dico la stessa cosa che intende chiunque di voi dica sedia – ma se io dico Io, intendo ciò che nessuno di voi può intendere, nel senso che nessuno di voi può dire Io intendendo me che vi parlo – a meno che non abbia una patologia psichica – ma di per sé non è possibile. Dunque è legittimo chiedersi: chi sono io?

Sono un italiano, ma voi sapete che di italiani ce ne sono molti, dunque sono ancora lontano da me. Posso dire che sono nato in una certa regione… e lì sono già in buona compagnia, e posso andare avanti, posso dire che faccio una certa professione, ma questo non identifica proprio me… e poi, voglio avvicinarmi un po’ di più, posso dire che io sono parte di una famiglia che ha una sua storia, però anche lì, anche se non siamo tanti quanti gli italiani, siamo comunque un buon numero…. Posso dire che io sono un Fingerle, e ancora non ho detto chi sono io. Posso avvicinarmi un po’ di più e dire che appartengo a un certo sesso, che sono un introverso, oppure un sanguinico. Anche Steiner ha usato le sue tipologie, i 7 caratteri e i 4 temperamenti, anche lui si è servito delle sue tipologie, non certo per inchiodare l’individualità ad un carattere…

i 4 temperamenti (da Libera scuola R.Steiner)

I 4 temperamenti (da Libera scuola Rudolf Steiner)

Riprendendo, mi devo spogliare del mio essere italiano perché io non sono un italiano.  Se voglio dire chi sono, non posso dire che sono italiano, non sono nemmeno torinese o non so che, non mi identifico nemmeno nell’essere maschio – per fortuna, altrimenti non potrei capire l’altra parte dell’umanità… giusto? E non posso identificarmi nemmeno con il mio carattere. Devo cominciare a spogliarmi di quella che chiamo la personalità attributiva, tutti i miei attributi. Mi tolgo i vestiti, lasciamo perdere che io sono italiano, lasciamo perdere la mia professione, lasciamo perdere che io sono un maschio, lasciamo perdere che io ho questo temperamento… chi sono Io? Voi capite che a un certo punto Io devo ammettere che qualsiasi cosa io dica, non sono Io. E dunque l’Io si riduce a un nulla di determinato. Nulla che io possa attribuire a me stesso…. Se mi libero dalla personalità attributiva mi resta un nulla di determinato. L’Io è un nulla. È sorprendente, non trovate? È un po’ anche spaventoso!

Del resto, qualche volta, facciamo questa esperienza: detto con sincerità, chi di noi non ha attraversato dei momenti depressivi, nella vita? È anche auspicabile che sia così. La vita del tutto ok non è particolarmente profonda. Se si vuole vivere profondamente, attraversare la vita con autenticità, non si può evitare anche un’esperienza depressiva, di lutto, di dolore, e lì sperimentiamo molto da vicino questo essere nulla, è dove ci avviciniamo all’esperienza dell’Io. Sembra paradossale! E questo è il primo esercizio.

Secondo esercizio. Possiamo pensare alla nostra biografia, al tempo, e dunque possiamo cominciare a dire: come sono Io, adesso? È difficile dire «io sono così come sono adesso», perché alcuni anni fa ero un po’ diverso e allora se io sono come sono adesso, non sarei come ero qualche anno fa. E allora vado ancora più indietro e per quanto io vada indietro, tutto ciò che trovo è ciò che io sono diventato. Quello che sono adesso e ciò che io sono diventato, ma è già passato. Io sono diventato così come mi vedete adesso nel corso di 61 anni. Ma questo essere diventato è il risultato di un processo, capite? Fate attenzione alla formulazione della frase: c’è un verbo al passato. Ciò che sono diventato, è al passato, è già passato. E più vado indietro, più incontro un già passato, ha la caratteristica di non essere più, di non essere l’essere.

D: È un già passato che però agisce nel presente…

R: Ma è naturale, tutto il mio passato agisce, io non potrei mai parlarvi se non mi ricordassi anche le cose che ho detto qualche anno fa, sarei proprio messo male, dunque le cose che vi sto dicendo in questo momento sono il frutto non solo di molti anni di studio, ma di molti anni di esperienza, di molti anni di dolore e anche di alcuni momenti di gioia… questo è sicuro! Dunque io non sto parlando così dal nulla. Questa considerazione è giusta, ma non fa parte dell’esercizio. L’esercizio richiede un certo rigore.

Dobbiamo dire: così come sono adesso è un già divenuto. Se io vado indietro trovo un altro già divenuto, e se vado alla ricerca di me stesso prima del già divenutoil già divenuto di chi? Vado alla ricerca dell’Io divento prima di ogni divenuto. Vado a cercare me stesso, non cerco i miei vestiti, non cerco la pelle che come un serpente ho lasciato! Se voi mi venite a chiedere: «Che cosa ha fatto lei nella vita?», Io vi presento tutte le pelli come se fossi un serpente, tutte le mie mute, ma son tutte morte. E se poi mi chiedeste: «Ma chi è lei?» Non vi posso presentare una pelle che è già divenuta, devo presentare me stesso, cioè l’Io divento prima di ogni divenuto… giusto?

Mi dite però come faccio a spiegarvi, a pensare l’Io divento prima di ogni divenuto? Qui siamo di fronte ad una grande difficoltà, perché di nuovo mi trovo di fronte al nulla, e non posso pensare nulla, perché appena penso qualche cosa, penso a… potrei dire… a una cellula fecondata, ma anche quello è già divenuto…a un feto?… per quanto io vada indietro, molto indietro, trovo sempre qualcosa che è già divenuto. Ma io sto cercando l’Io divento che precede ogni divenuto, questo sto cercando… sto cercando l’atto di cui il già divenuto non è altro che l’esito, il risultato, il prodotto. Non cerco il prodotto, ma il soggetto che produce. Cerco me stesso, ma appena lo cerco mi trovo di fronte al fatto che non lo posso pensare, perché quando lo penso, penso al nulla, e di nuovo siamo approdati al nulla.

D: non è un’idea?

R: e qual è il contenuto?

D: il divenire…

R: se lei dice: Io sono il divenire, posso dire la stessa cosa anch’io. Ma allora siamo uguali…

Siamo di fronte ad una difficoltà. Siamo arrivati agli estremi confini di una regione che si chiama intelletto. L’abbiamo percorsa, abbiamo percorso un cammino e siamo arrivati all’estremo confine, oltre al quale non si può andare, se ci serviamo dell’intelletto. Perché per l’intelletto, l’essere è una cosa e il nulla è un’altra. Dobbiamo dire allora che l’Io non ha alcuna realtà, che è un’illusione… sì, diciamolo: l’Io non esiste, è un puro nulla, è una funzione psichica. Dobbiamo pure mettere insieme le nostre esperienze in qualche modo, dobbiamo sintetizzarle, dobbiamo dire che quello che sta parlando e che ha contemporaneamente caldo, freddo, sono sempre io. È una specie di centralinista, che prende tutte le sensazioni e dice: tutte fanno capo allo stesso centro, e quel centro sono io. Togli le sensazioni, e hai tolto il centro… Potremmo anche ragionare così. E così l’Io è un centralinista, che finché ci sono stimoli da raccogliere svolge la sua funzione, se no lo licenziano, non ha più niente da fare. Scusate la semplificazione, ma rende l’idea.

Dunque adesso siamo veramente in difficoltà. E la difficoltà sta nel fatto che dobbiamo abbandonare un terreno sicuro, che è il terreno del pensiero concettuale. Non possiamo più procedere… non so se vi rendete conto che se io dico: «Io sono nulla», devo dirmi che se il soggetto di questa frase, cioè Io, fosse nulla, la frase non avrebbe senso. Perché Nulla dice che io sono nulla, dunque se è nulla che dice, non c’è neanche l’idea, non dovrebbe esistere neanche la frase, ma invece la frase esiste, l’ho detta! Ma non doveva nemmeno esistere questa frase, perché se io sono nulla, chi ha detto «Io sono nulla?». Se io, italiano, dico: «Tutti i cretesi mentono», va benissimo… Ma se io sono un cretese, e dico: «Tutti i cretesi mentono», allora non va più bene. Vi ho fatto un esempio di Steiner su questo argomento. Notate la differenza? Se io dico: «Tutti i torinesi mentono», e io non sono torinese, vi sembrerà strano a dirsi, ma da un punto di vista logico sta in piedi, perché no? Ma se io sono un torinese, non ha più senso la frase. L’intelletto ci porta all’assurdo, alla contraddizione, a contraddirci con noi stessi… la bussola funziona finché non andiamo al Polo Nord, poi non funziona più… e così è l’intelletto: funziona finché non parliamo dell’Io… poi non funziona più. Dobbiamo abbandonare l’intelletto. Il che non significa abbandonare il pensiero, questo è un grande equivoco. Abbandonare l’intelletto non significa abbandonare il pensiero, dobbiamo continuare a pensare, ma non attraverso concetti. Steiner dice: «Dobbiamo pensare in modo immaginativo». Questa è la cruna dell’ago…

Ecco perché è difficile parlare della biografia, cioè è più facile parlare della biografia seguendo la linea del tempo che dal passato va verso il futuro e allora si dice: c’è la prima fase, il primo settennio, il secondo, il terzo… mettiamo tutto bene in ordine. Se nel primo settennio qualcosa non è andato tanto bene, allora è possibile che nel terzo settennio arrivino certi problemi. E possiamo ragionare in termini antroposofici proprio seguendo questa linea, che è assolutamente contraria allo spirito dell’antroposofia… e cadiamo in un grande errore.

A questo punto siamo di fronte al fatto che l’intelletto si contraddice. Bello! Possiamo fermarci, e dire: siamo arrivati alle Colonne d’Ercole, non si può più andare avanti. Steiner dice: «No, si può procedere oltre con un pensiero immaginativo, per immagini». Koheler dice: «Quello che mi affascina di Steiner non è tanto quello che dice, ma come lo dice». È il suo modo di pensare che affascina.  Steiner abbandona il periodo dell’intelletto e dei concetti e comincia a pensare in modo muovo. Proviamo a pensare in modo nuovo, abbandonando l’idea che la realtà non sia contradditoria. La realtà è contradditoria. Accettiamola, diceva Pavel Alexsandrovic Florenskij, filosofo russo vittima dello stalinismo. Diceva: «Dobbiamo imparare ad abitare la contraddizione». Lui partiva dalla Trinità; è contradditorio, ma non per questo è falso. La Trinità: come un’unità possa essere trina, tre persone, un’unica sostanza. L’intelletto cerca risposte, noi dobbiamo imparare a fare le giuste domande e cercare la risposta, come faceva Socrate. Florenskij nella sua bellissima opera Stupore e dialettica, un piccolo libricino, un vero gioiello, dice: «Dobbiamo ritornare al pensiero socratico, all’amore per la verità che sa fare le giuste domande, che sa interrogare il mistero, che abbandona la presunzione dell’intelletto, che libera la mente da tutto ciò che pensa già di sapere».  Ed è ciò che stiamo cercando di fare adesso. Siamo arrivati a un punto zero, siamo arrivati al nulla, alla contraddizione che io sono nulla, ma non lo posso neanche dire, perché se lo dico mi contraddico… e dunque siano arrivati a un punto in cui tocchiamo con mano i limiti dell’intelletto e ciò che ci porta avanti è l’eros filosofico, l’amore per la verità, questo «interrogare amoroso», come dice Florenskij, interrogare amorosamente il mistero finché il mistero non risponde. E la domanda è questa: «Come spossiamo pensare fino in fondo questa contraddizione a cui siamo approdati»? Allora proviamo di nuovo a riprendere in mano le cose dette finora: «Che cos’è l’Io»?

Pawel Florenski (a destra) e Michail Nowoselow 1913

Pawel Florenski (a destra) e Michail Nowoselow 1913

L’abbiamo pensato come Io divento. L’Io divento è un’attività, è un verbo. L’Io è un atto, non è un essere, è un atto. Se noi cerchiamo che cos’è non lo troviamo, ma l’Io è l’atto da cui dipende l’essere di qualcosa. E l’atto è sempre attuale, è sempre presente, l’Io è l’atto nella sua presenza, ma l’attore, colui che agisce e l’azione che compie, sono due cose diverse? Non può essere che siano due cose diverse: la causa e l’effetto coincidono. Io sono la causa di me stesso. Nessuno mi può fare diventare un Io, ve lo immaginate un genitore che dice al bambino di 6 mesi: «Guarda, tra un po’ diventerai un Io e adesso ti insegno come si fa», non ha senso! Si può insegnare a scrivere, ma come si fa a insegnare a un bambino a diventare un Io? E se un bambino a 5 anni ancora non dice «Io» (ne ho conosciuto uno) non si può dire: «Adesso facciamo un programma pedagogico-curativo in modo che dica Io».  Lo si può aiutare, si possono creare le condizioni, ma il momento in cui dirà Io è un momento di autogenerazione, è una creazione dal nulla! Non c’è nulla che possiamo fare… capite? È una auto-posizione, l’Io pone se stesso, la causa e l’effetto coincidono, ma questo la logica non lo ammette. L’intelletto dice che la causa e l’effetto non possono coincidere. La causa è la causa, e l’effetto è l’effetto.  Se definiamo il concetto di causa e il concetto di effetto abbiamo due concetti diversi; se li confondiamo, allora non capiamo più niente… ma è esattamente ciò che accade quando parliamo dell’Io. Perché diciamo che l’Io è libero? Perché è causa sui, non è determinato da fuori, l’Io si autodetermina.

Questo è difficile, vero? Sì, divento ciò che divento, l’Io è un’azione, l’Io è l’atto.

                                                           Prima parte – continua con la seconda parte